Sara Settembrino, Il Messaggero 31/1/2015, 31 gennaio 2015
FANGO, SMS E TELEFONATE ECCO TUTTE LE ACCUSE AL MARITO DI ELENA CESTE
TORINO Tranquillo. Così descrive chi ha visto Michele Buoninconti nel suo primo giorno di carcere dopo l’arresto per l’omicidio della moglie, Elena Ceste. L’accusa è tra le più infamanti: aver soffocato la madre dei suoi quattro figli ed essersi liberato del corpo nascondendolo in un canale di scolo del rio Mersa, a neanche un chilometro dalla loro casa di Costigliole d’Asti. Il vigile del fuoco non parla, legge la Bibbia e ieri ha mangiato e visto i giornali. Può darsi che nelle 48 ore che lo separano dall’interrogatorio di garanzia analizzerà le ricostruzioni riportate dai quotidiani di quella gelida mattina del 24 gennaio di un anno fa: l’omicidio avvenuto, secondo chi lo accusa, in casa mentre Elena, nuda, si stava preparando, e la concitazione nel raccogliere i vestiti, caricare tutto in auto e liberarsi del corpo
LA VISITA DAL MEDICO
Un delitto in cui non c’è una pistola fumante, ma tasselli raccolti da carabinieri e pm fino a formare un mosaico di indizi che puntano il dito contro un marito che odiava la moglie ritenuta «inadeguata», dopo i tradimenti rivelati. Indizi che partono da quel terriccio sui vestiti della donna consegnati da Michele ai carabinieri. «Li ho trovati abbandonati in giardino», aveva raccontato. Ma le tracce sono «compatibili» dicono gli esperti, con il terreno di frazione Motta dove è stato trovato il corpo, e non con quello del giardino dei coniugi. Fango che sarebbe gocciolato su collant e pantaloni dalle mani sporche dell’uomo che aveva appena abbandonato il corpo nel rio. Non gioca a suo favore nemmeno la visita dal medico pochi giorni dopo per una contrattura addominale e che gli investigatori legano allo sforzo di sollevare, trasportare e nascondere il corpo della moglie.
LE SCELTE ILLOGICHE
Il delitto sarebbe avvenuto tra le 8.43 e le 8.55, mentre nei sei minuti successivi l’uomo si sarebbe liberato del corpo. Fondamentale il filo dei movimenti del cellulare dell’uomo seguito dai carabinieri attraverso le celle telefoniche. Per prima cosa Michele chiama sul telefono fisso i vicini di casa per «verificare chi fosse presente in casa» dicono gli investigatori, perché «solo dopo essersi sincerato del numero e della qualità delle informazioni in possesso di altri poteva fornire il proprio racconto». Ma sono due telefonate al cellulare della moglie, ormai in quest’ipotesi morta, a fare la differenza. Perché Michele risulta «in movimento», precisano gli esperti: oltre a quella di casa il telefonino aggancia la cella della zona dove è stato trovato il corpo, per poi tornare alla prima in un percorso «circolare», di andata e ritorno. Senza contare il «depistaggio» delle indagini. Tornato a casa chiede ai vicini aiuto per cercare la moglie, ma lui va verso Govone, paese dei suoceri. Scelta illogica: come poteva Elena, nuda e senza occhiali, raggiungere scalza il paese vicino in una gelida mattina di gennaio? In più lui essendo un vigile del fuoco conosce bene le modalità e i luoghi di ricerca delle persone scomparse. Restano poi le «stridenti contraddizioni» nei suoi racconti, la personalità «intransigente» e il suo atteggiamento nei dieci mesi prima del ritrovamento del corpo della moglie. Come quegli sms a una donna in cui parlava di «sostituire Elena». Ora i suoi quattro figli, affidati ai nonni, aspettano il nulla osta per seppellire la madre.