Elena Comelli, Nòva – Il Sole 24 Ore 1/2/2015, 1 febbraio 2015
TRACCIABILITÀ E CONFEZIONI PER TAGLIARE LE PERDITE
Se lo spreco alimentare fosse un Paese, sarebbe più grande del Canada e si collocherebbe al terzo posto, dopo la Cina e gli Stati Uniti, nella graduatoria di quelli che emettono più gas a effetto serra del mondo. Non basta, quindi, il danno di perdere in discarica un terzo del cibo che cresce nei campi, equivalente a 750 miliardi di dollari all’anno buttati dalla finestra. A questo bisogna aggiungere le beffe di tutta la fatica e l’energia consumata per coltivarlo, con le relative emissioni, lo spreco di acqua e via dicendo. Un vero e proprio bagno di sangue per il settore agro-alimentare, oltre che per il pianeta.
I danni maggiori si verificano prima ancora che il cibo raggiunga i canali di distribuzione. Le perdite dei raccolti per carenze di magazzinaggio o di refrigerazione sono abbastanza simili a tutte le latitudini: dal Nord America all’Africa, gli sprechi a livello di produzione agricola oscillano fra i 150 e i 200 chili pro capite l’anno. In base ai dati Fao, il 45% del riso raccolto in Cina e l’80% di quello raccolto in Vietnam non arriva sul mercato, per carenze nei sistemi di magazzinaggio e trasporto. Qui si sta tentando di correggere il tiro: il programma europeo Spin è riuscito a dimezzare le perdite di una rete di piccoli coltivatori in Vietnam applicando una tecnologia di confezionamento basata sull’atmosfera protettiva (Modified Atmosphere Packaging), che permette di aumentare il periodo di conservabilità dei prodotti alimentari imballati, sostituendo l’aria interna con una miscela di gas, per ridurre il contenuto di ossigeno o eliminarlo del tutto. Il successo del programma europeo potrebbe aiutare a diffondere questa tecnologia nel Sud Est asiatico.
Un’altra tecnologia decisiva entra in gioco al momento del trasporto: la registrazione di tutti i passaggi, dei tempi di attesa, ma soprattutto delle temperature attraversate, può consentire di avviare una cassetta di pomodori alla vendita più rapidamente in caso di attese eccessive sotto il sole, salvandola dalla pattumiera. Per questo tipo di tracciabilità ci sono dei sistemi, come quello della californiana Intelleflex, capaci di mettere insieme in un chip l’identificazione a radiofrequenza, il posizionamento via Gps e la registrazione delle temperature, inviando poi tutte queste informazioni al network di riferimento, con un costo estremamente ridotto.
I prodotti alimentari, però, non sono da considerarsi salvi nemmeno quando sono arrivati al mercato: un buon 15% degli sprechi alimentari globali avviene a valle della distribuzione, per futili motivi, tipo le imperfezioni estetiche di alcune partite di frutta o verdura, che sembrano meno appetibili di altre e finiscono in discarica. FoodStar è una piattaforma di comunicazione che lavora con la grande distribuzione nordamericana per consentire ai consumatori di approfittare di quelle partite di prodotti alimentari freschi che il supermercato decide di vendere a prezzi scontatissimi, perché non rientrano nei criteri ottimali di qualità: frutta e verdura bruttina o troppo matura, ma perfettamente commestibile, che viene salvata dalla pattumiera con un annuncio flash su FoodStar. Gli iscritti vengono allertati in tempo reale sulle vendite di questo tipo in atto nei paraggi e possono decidere se aderire o no: a un anno dalla fondazione, FoodStar è già in attivo grazie al notevole successo riscosso sia presso la distribuzione che tra i consumatori.
Sistemi analoghi, anche se più artigianali, si stanno sviluppando in Europa, come nel caso di Fruta Feia, sistema portoghese di distribuzione della frutta e verdura rifiutata dai supermercati, che ha un network di migliaia di clienti. La stessa grande distribuzione ci prova: la catena francese Intermarché ha deciso da qualche mese di mettere in vendita la frutta “brutta” in alcuni supermercati, a prezzi molto competitivi. In Italia, è nota l’esperienza del Last Minute Market, uno spin-off dell’università di Bologna, che ha messo a punto nel 2000 il primo sistema professionale di riutilizzo di beni invenduti dalla grande distribuzione.
Gli sprechi a valle della distribuzione sono i più diffcili da evitare, ma c’è chi ci sta provando. LeanPath, ad esempio, offre un sistema automatizzato per ristoranti, ospedali, università e altri gestori di mense, in cui i dipendenti sono invitati a registrare il tipo di cibo che viene buttato, la quantità e la ragione della perdita. L’analisi dei dati ha consentito agli oltre 150 clienti di LeanPath di ridurre i loro sprechi all’80 per cento.
Elena Comelli, Nòva – Il Sole 24 Ore 1/2/2015