Gabriele Romagnoli, la Repubblica 1/2/2015, 1 febbraio 2015
BENVENUTI A CODY, LA CITTÀ-SALOON DOVE FINÌ L’UTOPIA DI BUFFALO BILL
E poi ci sono uomini capaci di sognare una città. Il problema è realizzarla. Puoi sognare e realizzare una casa, perfino una vita, ma una città? È un sogno troppo grande. Per farlo bisogna non avere contezza della realtà, del tempo, della legge. Per questo a provarci sono spesso criminali (come Bugsy Siegel a Las Vegas), che ridefiniamo visionari. La piazzano in un deserto, o in una prateria, dove tutto sembra possibile. Se non inventano un nome, la città si prende il loro. Diventa l’estensione di quell’uomo e di ciò su cui l’ha fondata: non che cosa è stato, ma come si è rappresentato, uno spettacolo. Poi, inevitabile, una replica. Buffalo Bill e Cody, Wyoming, il suo doppio.
Dopo una curva dell’interminabile I-90, dopo tutta quella strada nel nulla, quando hai imparato ad amare l’assenza e l’ultima cosa che vorresti è un’aggregazione di edifici e persone, ecco Cody, poco più di 8 mila abitanti (in massima parte bianchi e quarantenni) e di 24 chilometri quadrati. Small town, America. Come ti hanno insegnato alla nausea: dimentica New York, Los Angeles, e perfino Philadelphia e Houston, se vuoi vedere la faccia della nazione è qui che devi guardare. Alla macchia sulla cartina. Ci sarebbe nato anche Jackson Pollock, ma quella è una macchia sulla tela, la notano altrove. Cody è William Cody, in arte Buffalo Bill, in scala 8.000 a 1. Niente di più. È la città a farsi sineddoche di un uomo.
Il suo nome è su tutte le insegne: dai motel ai ristoranti, dal museo al rodeo. Il nome d’arte. Quello vero è soltanto nel cartello all’ingresso della città. La verità è che William Cody ha recitato una vita, inventandosi un mondo e la sua città ha fatto il bis: cavalli selvaggi e sparatorie in strada, scalpi del nemico e gloria oltre la frontiera. Il tutto, affondato nell’alcol e nella benedizione dell’esilio. Spaesamento e saloon.
Questo hotel doveva chiamarsi semplicemente Irma, come una dei quattro figli, poi non hanno resistito alla tentazione di aggiungere “Buffalo Bill’s Irma Hotel”. Il bancone è una zattera di lucente legno di ciliegio, regalo della regina Vittoria affascinata dall’esibizione del gran baro a cavallo. A forza di raccontare la propria storia finì per crederci. Credette perfino di poter creare l’ennesima Utopia, fatta con tecnologie e valori inattaccabili. O almeno, riuscì a convincere chi doveva finanziarla. Poi, quando nacque, l’abbandonò. Esattamente come aveva fatto con moglie e figli. Io l’ho conosciuto Buffalo Bill. Era mio nonno. Sparì per seguire il circo lasciando a mia nonna il compito di allevare quattro figli, affrontare una guerra, insegnare qualcosa a qualcuno. Poiché nei ritagli di tempo lei curava le piaghe imponendo le mani, alla sua morte venne un prete per suggerire di farla santa. Mio padre, come Sergio Castellitto nel film L’ora di religione , scosse la testa e tramandò quel che aveva imparato: «La santità è facile, la santità è un dono. È il senso del dovere che ti rende speciale: fare ogni giorno il proprio dovere, senza chiedere niente». Lui non conosce Kant, ma sa riconoscere i miracoli.
Neppure Louise Frederici, la moglie di William Cody, era santa, ma faceva ogni giorno il suo dovere. Ne leggo le memorie appoggiato al bancone della regina, circondato da uomini e donne che recitano la loro parte e vorrebbero condividere avventure e viaggi, curiosi copricapi e rischiose acconciature.
Louise sopravvisse a tutti: al marito e ai quattro figli. Quando l’ultima, Irma, morì, scrisse a un amico: «Se n’è andata ieri, ora c’è ancor più lavoro in albergo ». Non era insensibile, era l’unica a non dire quel che ci si aspettava da lei, ma a fare quel che era necessario e basta. Se togli l’aria la vita è una questione di cibo, sonno, scelte e dedizione. Chi sa darselo, ci aggiunga pure il coraggio. Ma si aspetti gli applausi all’indirizzo sbagliato, all’eroe di cartapesta.
Nell’ultima pagina Louise scrisse: «E qui a Cody, ora, affronto il tramonto. Sono rimasta sola, la mia vita è stata vissuta, le mie mani si giungono. Qui nel West, dove ogni tramonto è più splendido del precedente, io provo un senso di soddisfazione che durerà finché vedrò svanire l’ultimo, quello del mio piccolo mondo e potrò riunirmi ai bambini e all’uomo che ho amato, nei sentieri dell’aldilà».
Ogni tramonto è più splendido del precedente. Facile: l’orizzonte non ha opposizione, tende all’infinito, o almeno al Colorado, dove Buffalo Bill andò a morire. Cody non ha realizzato l’utopia. E il politicamente corretto ha svalutato il suo mito: scoperchiare nativi americani non è più considerata un’attività meritoria. Che cosa varrà da qui a cent’anni il ricordo che oggi la sostiene? Niente, come ogni ricordo. Ma oggi è la sola cosa che la manda avanti e dà da mangiare ai suoi figli, per cui lo custodisce, non perché sia la sua fede, ma perché è qualcosa di più: il suo dovere.
Gabriele Romagnoli