Ugo Magri, La Stampa 1/2/2015, 1 febbraio 2015
LA VISITA ALLE FOSSE ARDEATINE “NO AL NUOVO TERRORISMO”
Il dodicesimo Presidente della Repubblica si presenta all’Italia, un’ora dopo l’elezione, sorridente e un po’ tirato in volto. Veste come usa tra i politici educati, grisaglia con camicia bianca e cravatta tutt’altro che vistosa. Rivolge poche parole ai «concittadini». Assicura che il suo pensiero è diretto «soprattutto e anzitutto» alle loro «difficoltà e speranze». Poi restituisce il microfono, «è sufficiente» quasi si schermisce. Il primo discorso alla nazione dura in tutto 16 secondi, ma a Sergio Mattarella sembra già di aver detto tanto.
Ed effettivamente ha scoperchiato il suo stato d’animo: davanti agli occhi ha un paese che soffre, nella sua nuova veste ne avverte la responsabilità politica e morale. Un tempo, quando questo linguaggio andava ancora di moda, lo si sarebbe definito «spirito di servizio».
NEL SALONE DELLA CONSULTA
La scena si svolge lì, tra stucchi e specchi, perché Mattarella è giudice della Corte (al passato, ormai) dal 2011. Accanto a lui, in piedi, la presidente della Camera Laura Boldrini. Appena oltre Valeria Fedeli, supplente al Senato fino alle 10 di dopodomani, quando il nuovo Capo dello Stato presterà giuramento e Piero Grasso tornerà a presiedere l’aula di Palazzo Madama. La notifica del verbale che attesta l’elezione è una cerimonia semplicissima, molto formale, eppure mai le telecamere vi erano state ammesse. Stavolta, invece, un passetto avanti nella trasparenza mediatica.
IN PANDA GRIGIA
Mattarella si accomoda al fianco del guidatore, allaccia la cintura sopra al cappotto, saluta con la mano dietro al finestrino una piccola folla, e con la scorta rispettosamente a distanza va alle Fosse Ardeatine. Una visita dai molti significati, lontani e presenti. Il Presidente li evoca in una dichiarazione resa pubblica subito dopo: «L’alleanza tra nazioni e popolo seppe battere l’odio nazista, razzista antisemita e totalitario di cui questo luogo è simbolo doloroso. La stessa unità in Europa e nel mondo saprà battere chi vuole trascinarci in una nuova stagione di terrore». Specificare a cosa il discorso si riferisca, sarebbe del tutto superfluo.
L’INSEDIAMENTO
A Montecitorio, durante le votazioni, erano in molti a chiedersi che settennato sarà. Si contrappongono due tesi, da una parte quelli che scommettono su un rapporto collaborativo e complementare col premier, dall’altra quanti invece pronosticano una riservata ma ferma «moral suasion», più con gli atti che con le parole. Capiremo meglio martedì, dal discorso alle Camere riunite. Mattarella lo scriverà tra oggi e domani, consapevole che ogni virgola verrà studiata al microscopio. Altri impegni, come la nomina dello staff, seguiranno con la dovuta calma. Del resto i collaboratori non mancano, il neo-presidente può sceglierne anche fuori dal circuito di amici e fedelissimi. Alcuni dei quali (da Garofani a Giacomelli, da Soro a Bressa a Pistelli) si sono riuniti subito dopo l’elezione in un ristorante romano, come ai vecchi tempi della sinistra Dc.
IL TRASLOCO
Anche quello, senza fretta. Qualcuno, come il vecchio amico Tabacci, pensa che farebbe un gran gesto se occupasse solo qualche stanza del Quirinale trasformando l’antico palazzo dei papi in un museo della Repubblica. Al momento Mattarella resta nella foresteria della Consulta, un ambiente molto piccolo. Per seguire in famiglia le votazioni alla Camera ha preferito andare (sempre con la Panda) nell’appartamento della figlia in via Flaminia dove c’erano la sorella, gli altri figli, una frotta di nipoti e l’amico economista Piero Barucci. Festeggiamenti anche a Palermo, la patria d’origine.
LE CONGRATULAZIONI
Qualcuno ha chiamato per telefono. Renzi, si capisce (poi ha pure twittato: «Buon lavoro Presidente. Viva l’Italia!»). Grasso. Alfano. Berlusconi s’era fatto vivo in mattinata, poi ha spedito un telegramma. Come Putin. Come Obama. Come Papa Francesco che, con molto rispetto, auspica un impegno «al servizio dell’unità». Ma soprattutto, Mattarella ha ricevuto una chiamata molto amichevole da Mario Draghi. Col presidente della Bce presto si vedranno, perché grandi questioni incombono.
Ugo Magri, La Stampa 1/2/2015