Alberto Mattioli, La Stampa 1/2/2015, 1 febbraio 2015
IL GIORNO DI MATTARELLA: 665 VOTI ALFANO CI RIPENSA, BERLUSCONI NO
Il primo applauso parte dai banchi di Sel e arriva in anticipo. Sono le 12 e 57 e i voti sono soltanto 495. Da sinistra ne approfittano per far partire il conto alla rovescia, tipo veglione di Capodanno: dieci... nove... otto... Altro battimani, un minuto dopo, ancora fuori tempo. Al fatidico 505, ovazionissima di quattro minuti. Sergio Mattarella è eletto Presidente della Repubblica al terzo applauso. Proprio in quel momento entra Giorgio Napolitano, applaude, viene applaudito, si commuove e commuove. I simboli sono importanti.
Il film della giornata ha il lieto fine ma manca di suspence. I giochi sono ampiamente fatti, specie dopo che l’Ncd ha deciso che Mattarella venerdì non andava bene e sabato sì. Si capisce che non ci saranno sorprese vedendo i peones entrare a Montecitorio con i trolley: non è sicura solo l’elezione, ma anche la partenza verso casa. La «chiama» inizia alle 9.30, però il rituale sarebbe stato un po’ lento anche ai tempi di Giolitti, quindi per il cazzeggio sono disponibili quasi quattro ore. Il Transatlantico è affollatissimo e non c’è pericolo di annoiarsi. Gongolano soprattutto i diccì, passati, presenti e futuri, e i siciliani, compreso il governatore Rosario Crocetta con sciarpone multicolor al collo (qui al Nord fa freddo).
OPPOSIZIONE
Nemmeno ai leghisti, tutto sommato, dispiace la situazione: tutta Schadenfreude per le disgrazie di quel che resta del centro-destra. Roberto Calderoli esibisce una vignetta irriferibile nella quale Renzi mattarella Berlusconi in una parte poco nobile della di lui anatomia. Angelino Alfano moltiplica le interviste per spiegare il suo inspiegabile voltafaccia, mentre mezzo partito gli si ribella contro. Quelli di Forza Italia, parlandone da vivi, sono lividi. Matteo Renzi sbuca dalla stanza del governo dove ha seguito il voto insieme con Napolitano e va a prendersi un caffè alla buvette con la stessa faccia del duca di Wellington la sera di Waterloo (non pervenuta quella di Napoleone: Berlusconi è ad Arcore). Furoreggia l’anagramma di Sergio Mattarella. È «Matteo si rallegra».
Inizia lo spoglio, è ora di entrare in Aula. L’emiciclo è sovraffollato perché ci sono anche i senatori e i delegati regionali, ma si nota subito dove stia la maggioranza: a sinistra c’è una densità di grandi elettori per metro quadrato da metropolitana di Tokyo all’ora di punta, a destra perfino qualche scranno libero. Però, a conferma del fatto che qui in realtà non si prendono decisioni, ma si ratificano quelle altrui, non ci sono i leader dei quattro maggiori partiti italiani: Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini. In compenso arriva rigidissimo Mario Monti, che come al solito dà l’impressione di aver indossato la giacca senza averla prima tolta dalla gruccia. Lo stato maggiore del Pd, Guerrini, Speranza e Serracchiani, è in piedi fin dall’inizio, forse per la tensione: con il voto segreto, in effetti, non si sa mai.
TROLLEY
Presiedono due donne, bel segnale, Laura Boldrini e la vicepresidentessa del Senato, Valeria Fedeli (Grasso si sta godendo gli ultimi minuti da Capo dello Stato). Lo spoglio tocca alla Boldrini: una valanga di Mattarella, però la fantasia politico-lessicale dà il suo meglio nelle infinite declinazioni del modo di scrivere il nome, Mattarella Sergio, S. Mattarella, on. Mattarella, prof. Mattarella, vecchio trucco parlamentare per contare e controllare i voti di correnti e sottocorrenti. Per le stesse ragioni tattiche, alla «chiama» i forzisti erano stati gli osservati speciali: chi passava in fretta sotto il «catafalco» probabilmente aveva obbedito agli ordini di scuderia e deposto una scheda bianca, chi indugiava forse ci aveva scritto Mattarella per contestare Berlusconi. Chissà.
Un mormorio accoglie un voto a Verdini, una risata quelli a Roby Facchinetti e Lino Banfi, un ghigno quello a Razzi l’Ineffabile che c’è e fa subito segno di no, non è stato lui ad autovotarsi. Ci siamo: Mattarella finisce a quota 665 e va bene così, perché un voto in più avrebbe dato una cifra poco simpatica, specie per un supercattolico. Sportivamente, lo applaudono anche da destra; da sinistra, rendono la cortesia per gli altri classificati, da Imposimato a Feltri in giù. Quelli del partito dell’Irrilevanza, insomma i grillini, non sorridono e non applaudono mai, ma tanto non se ne accorge nessuno.
È finita. Il Transatlantico si svuota in fretta, anche perché ormai è arrivata l’ora del bucatino e poi ci sono da recuperare i trolley. Non è stata una brutta giornata.
Alberto Mattioli, La Stampa 1/2/2015