Roberto Mania, la Repubblica 31/1/2015, 31 gennaio 2015
“EFFETTO DI MINI-EURO E ESPORTAZIONI ANCORA PREMATURO PARLARE DI SVOLTA”
ROMA.
«Da dove venga esattamente questo dato positivo sull’occupazione non lo sappiano ancora. Sono numeri aggregati. Non sappiamo se sono contratti a tempo indeterminato, contratti a tempo determinato; nuove assunzioni nei servizi oppure nell’industria. Certamente è una buona notizia, ma è anche un dato un po’ sorprendente ». Enrico Giovannini è professore di Statistica economica all’Università di Tor Vergata a Roma, è stato presidente dell’Istat, ministro del Lavoro, capo statistico all’Ocse, ora presiede un gruppo di esperti mondiali incaricati dall’Onu di definire l’agenda per lo sviluppo post 2015.
Dunque è ancora difficile interpretare le ultime rilevazioni dell’Istat sugli occupati e disoccupati relative al mese di dicembre del 2014, secondo le quali l’occupazione è aumentata di 93 mila persone rispetto a novembre e di 109 mila rispetto allo stesso periodo di un anno fa.
Siamo fuori dalla crisi? «Direi di no. Anche se i segnali positivi sull’andamento del ciclo si moltiplicano», risponde Giovannini. Il circuito della ripresa economica non parte mai dall’occupazione. Anzi il lavoro è sempre l’ultimo fattore a cambiare segno quando il ciclo economico inverte la tendenza. E poi con una dinamica del Pil probabilmente piatta nel quarto trimestre e in leggera ripresa nel primo del 2015 è improbabile che possa crescere di molto l’occupazione. Cautela, allora. Anche perché l’ultimo trimestre dello scorso anno, nonostante il dato positivo di dicembre, si chiude con la perdita di 33 mila posti rispetto al trimestre precedente.
«I dati sono molto irregolari. L’aumento di dicembre non era affatto atteso dagli analisti, così come non erano attesi gli scivoloni dei due mesi precedenti», spiega Giovannini. Quello di dicembre, quindi, è un dato anomalo, «stranamente positivo» nell’unico trimestre (il quarto) del 2014 nel quale gli occupati sono calati. Perché dal primo al terzo trimestre l’Istat ha sempre rilevato un segno positivo rispetto al trimestre precedente. Segni di stabilizzazione della crisi, di una frenata dell’emorragia di posti di lavoro dopo quasi sette anni di recessione. E di ripresa molto contenuta.
Ma, allora, perché è un dato strano e inatteso da parte degli analisti? «Perché — risponde Giovannini — si pensava che le imprese avrebbero atteso il primo gennaio di quest’anno per assumere, visti gli incentivi previsti dalla legge di Stabilità, eliminazione dell’Irap dal costo del lavoro e azzeramento per tre anni dei contributi sociali per le nuove assunzioni. In coerenza con questa tesi era stata interpretata anche la caduta dell’occupazione a novembre: gli imprenditori, si disse, hanno rinviato al prossimo anno le assunzioni. Invece non sembrerebbe così». Gli imprenditori avrebbero anticipato le assunzioni senza utilizzare gli incentivi, compreso il nuovo contratto cosiddetto a tutele crescenti, che sono scattati all’inizio di quest’anno o stanno per scattare. Possibile?
Ma c’è un’altra anomalia nei dati di ieri dell’Istat. In genere il percorso che conduce alla ripresa dell’occupazione si compone di alcune tappe conseguenti all’aumento della domanda. La sequenza prevede l’aumento delle ore di lavoro per far fronte ai nuovi ordini. E per questo in genere si ricorre al riassorbimento dei lavoratori in cassa integrazione, o all’aumento delle ore lavorate di chi è già occupato, non a nuove assunzioni. «Gli indicatori, invece, sembrano dire che si sta avverando tutto insieme: il rientro dalla cig e l’incremento dei posti di lavoro». Una anomalia che si può provare a spiegare con quelli che Giovannini chiama «movimenti asimmetrici» nel sistema produttivo italiano. Aziende che assumono, trainate dalla domanda estera, aziende ancora rattrappite, dipendenti dalla domanda domestica. È la nuova polarizzazione delle imprese italiane: quelle che fatturano non meno dell’80 per cento all’estero (nei cosiddetti mercati emergenti, in particolare) e le altre.
Di anomalia in anomalia si arriva all’aumento, a dicembre, anche delle persone inattive, cioè di coloro che non sono né occupate né disoccupate perché non cercano lavoro. In genere quando si percepisce la fine della crisi e quindi la ripresa aumentano coloro che cercano il lavoro (per questo l’indice di disoccupazione tende a crescere nella fase iniziale della ripresa) perché ritengono di avere maggiori opportunità. Un dato, insomma, che contraddirebbe l’idea dell’inversione del ciclo. «D’altra parte — osserva Giovannini — l’autunno del 2014 ha visto una riduzione della fiducia, in ripresa a gennaio, e quello dell’Istat è appunto un dato riferito a dicembre».
La svolta arriverà quest’anno? Giovannini non si sbilancia, anche se ricorda come il quantitative easing, la riduzione dei prezzi, la svalutazione dell’euro e l’aumento del reddito disponibile delle famiglie dovrebbe spingere la crescita e quindi l’input di lavoro. Teme il rischio del cosiddetto «effetto carosello», come è accaduto nel passato. «Non essendo vincolati gli incentivi all’incremento dell’occupazione si potrebbe assistere allo scambio di lavoratori all’interno di una medesima area distrettuale». Un lavoratore licenziato andrà in un’altra azienda dalla quale arriverà il suo sostituto, il che consente ad ambedue le aziende di risparmiare sul costo del lavoro. Prima di brindare alla fine della crisi occupazionale, dunque, è meglio aspettare ancora un po’.
Roberto Mania, la Repubblica 31/1/2015