Tino Oldani, ItaliaOggi 30/1/2015, 30 gennaio 2015
LA FORTE RIPRESA (+ 18,8%) DEGLI ORDINATIVI DI MACCHINE UTENSILI SEMBRA CONFERMARE CHE, QUESTA VOLTA, LA RIPRESA C’È SUL SERIO
Se provate a cliccare su Google la frase «recessione finita in Italia», nel tempo di 0,28 secondi avrete in risposta ben 235 mila files. Dal maggio scorso in poi, in parallelo con l’ottimismo del governo di Matteo Renzi, gli annunci di «recessione finita» hanno avuto, sui media, una crescita esponenziale, salvo essere smentiti poco dopo dagli stessi centri di ricerca che li avevano diffusi. Questo fino a tutto dicembre 2014. Tre giorni fa, la svolta: il Centro studi della Confindustria, nello stilare le previsioni per il 2015, ha sfornato due dati che non si vedevano da anni: più 2,1% del pil nel 2015, e più 2,5% nel 2016. Se si considera che fino a un mese fa le previsioni della stessa Confindustria erano molto più basse (più 0,5% nel 2015 e più 1,1% nel 2016), il balzo in avanti è straordinario. Quanto basta perché si parli di inizio di una ripresa vera dell’economia.
A rafforzare questa previsione ha contribuito anche Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia: martedì 27, parlando al convegno degli analisti finanziari, ha anticipato una correzione al rialzo dei dati contenuti nell’ultimo Bollettino della Banca d’Italia, reso noto in dicembre. Grazie al quantitative easing di Mario Draghi, al forte calo del prezzo del petrolio e al cambio più favorevole euro-dollaro, Panetta si è detto certo che si andrà ben oltre le precedenti previsioni di aumento del pil (più 0,4% nel 2015, più 1,2% nel 2016). E l’economista Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, studioso tra i più attenti del settore manifatturiero, intervistato dal sito Sussidiario.net, non ha esitato a prevedere «una crescita del 2,6% nel 2015 e del 3,6% nel 2016», tassi positivi che non si vedevano da molti anni.
È curioso notare che lo stesso Fortis, non più tardi di un mese fa, aveva dato una lettura differente della situazione. A suo avviso (vedi ItaliaOggi del 2 gennaio 2015), il calo del prezzo del petrolio avrebbe sì aiutato le famiglie a pagare bollette meno care e a risparmiare qualche euro sul pieno di benzina, ma avrebbe danneggiato l’export del Made in Italy, a causa dei minori introiti di Paesi esportatori di petrolio come la Russia, l’Iran e il Venezuela. Da qui la previsione che il calo del greggio sarebbe stato per l’Italia «un’arma a doppio taglio». Ora però Fortis vede altri fattori che potrebbero compensare le eventuali minori esportazioni del Made in Italy: oltre all’euro svalutato verso il dollaro, al quantitative easing e ai tassi d’interesse più bassi favoriti dalla Bce, si riferisce infatti al successo della nuova legge Sabatini, che agevola l’acquisto di nuovi macchinari per l’industria manifatturiera.
Per effetto di questa legge, spiega Fortis, nel quarto trimestre 2014 gli ordinativi di macchinari utensili sono aumentati del 18,8% rispetto allo stesso periodo 2013. Ciò significa che la nuova normativa «sta innescando una serie di ordini che, non appena si trasformeranno in produzione, genereranno nuovo pil”. Il che, sommato all’effetto dei fattori monetari, dovrebbe produrre un consolidamento della ripresa economica nel 2015. Che sia un atto un cambio di passo del settore manifatturiero è convinto anche Dante Speroni, direttore dell’Ucimu (l’associazione dei produttori di macchine utensili), che, per la verità, ne ascrive il merito maggiore al progetto della Commissione Ue intitolato «Industriale Compact», approvato nel 2012, che si è posto come obiettivo, per il 2020, di portare il manifatturiero a pesare il 20% sul pil europeo, contro il 15% attuale. A seguito di questa iniziativa, che ha avuto nell’ex commissario Antonio Tajani un fautore decisivo, Speroni sostiene che «la manifattura è tornata al centro della politica industriale in tutta l’Europa».
I Paesi più solleciti nell’assecondare il nuovo corso sono stati la Germania, la Francia e la Gran Bretagna, con piani poliennali volti a favorire l’high techstrategico, fondamentale per accrescere la produttività a livello nazionale. Perfino gli Stati Uniti, dopo avere trascurato per anni il settore industriale, si sono dotati di nuove leve strategiche come il Darpa (il procurement della Difesa) e i forti incentivi pubblici alla ricerca, proprio per rilanciare il manifatturiero Usa. L’Italia, se si esclude la nuova legge Sabatini, è invece in ritardo nel definire una strategia di politica industriale che tenga conto dei cambiamenti intervenuti negli anni della crisi. Tuttavia, conclude Speroni, dopo anni e anni in cui si è parlato solo di finanza speculativa, di credit crunch e di manovre recessive, il fatto di avere rimesso l’industria manifatturiera al centro della politica con la legge Sabatini, è già un segno di cambiamento, da salutare con fiducia.
Se l’Italia non ha le pezze al culo come la Grecia, lo deve proprio al fatto di essere la seconda manifattura in Europa, dopo la Germania. Rilanciare questo settore, dopo anni di crisi, è di vitale importanza per restare tra i grandi Paesi industriali. E se davvero, come dice Fortis, la nuova legge Sabatini sta facendo aumentare di quasi il 20% gli ordinativi in nuove macchine utensili, questa volta l’annuncio della ripresa nel 2015 risulta più credibile che in passato. Finalmente, una buona notizia.
Tino Oldani, ItaliaOggi 30/1/2015