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 2015  gennaio 28 Mercoledì calendario

PERISCOPIO

Quirinale – Chiunque tu sia, facci sognare. Jena. La Stampa.

Tsipras ha chiesto i voti su un programma di sinistra e va al governo con un partito di destra. Il Pd ha chiesto che almeno Syriza paghi i diritti Siae. MF.

Il trionfo di Tsipras in Grecia è il più grande successo della sinistra italiana dai tempi di Zapatero in Spagna. Spinoza. Il Fatto.

Era il penultimo giorno di novembre 1977 e Torino mi appariva una città sempre più chiusa in se stessa. Carlo Casalegno, il vicedirettore de La Stampa, era morto da poche ore al Policlinico, con il volto devastato dalle rivoltellate di un gruppo di fuoco della Brigate rosse. Che serata orrenda! La radio dava notizie di disordini per un giovane di Bari ucciso da fascisti. C’era ansia e timore per il raduno dei metalmeccanici a Roma. Le strade erano deserte. Cadeva un nevischio compatto che i tram semivuoti fendevano con rassegnata ostinazione. Mi aspettava Piero Fassino. In quel tempo era un funzionario del Pci di 28 anni con un aspetto fisico e un carattere che da allora non sono cambiati molto. Altissimo, magrissimo, un grissino di ferro, sempre in moto, iperattivo, agitato, «faraginato». E soprattutto capace di una dedizione totale al compito che si era dato. Giampaolo Pansa, Tipi sinistri. Rizzoli.

Di garbo, D’Alema non ne aveva proprio. Trattava amici e nemici a pesci in faccia. Però non era mai stato soccombente in un congresso, come ricordò altezzoso. Ispirava devozioni masochistiche tra i suoi, timor panico nella classe media giornalistica. Conoscevo una groupie molto speciale che lo adorava, le faceva sangue, anche con i calzini grigio-topo, anche con quel carbonio esagerato della barca a vela e il costume leopardato da bagno. Fama di cinico spezzaferro molto accudita, prima di rifugiarsi nel wine-bore umbro e nella rosiconeria propagava una sua immagine clandestina di ultimo comunista, ma con scarpe tamarre su misura, a braccetto con il leader Hezbollah, tutore di una «grande esperienza collettiva», primo presidente del consiglio ex pioniere di Togliatti, sguardo corrivamente bieco, lingua opaca, sorriso assassino, intelligenza di grado superiore (e stupido non era). Vanità planetaria: «Bye bye Condie», riferì di aver detto al telefono al Segretario di Stato americano, e se ne vantò in una conversazione estiva dall’isola di Marettimo. Fondazioni, soldi, relazioni pericolose con capitani di ventura del capitalismo italiano. Mormorazioni di quelle che lusingano gli uomini di potere, secondo la legge da me scoperta che per contare in politica non devi essere capace di ricatto ma ricattabile, solo così entri in una vera nomenclatura. Paginate a stampa devote dei grandi giornali, lui trattava le iene dattilografe da servi. Diceva loro, ricambiato di affettuose attenzioni: non ti faranno mai direttore gli Agnelli, passa con noi che sappiamo proteggere. E loro passavano. Ma poi fu Berlusconi a farli direttori, anzi direttorissimi perché l’uomo ha la sua capacità di enfasi. Quando era in manovra, quando si dava per novatore, D’Alema flirtava con i cattivi sul set di Stranamore, si guadagnava insulti e sospettose malignità per la sua merchant bank con le pezze al culo, voleva cambiare la Costituzione più bella del mondo, fu baciato da qualche sobrio apprezzamento vecchia scuola (anche mio, bacio della morte, che lo immaginavo presidente della repubblica in mancanza di qualcosa di frizzante). Scomparso dai radar. Giuliano Ferrara, The Royal baby. Rizzoli

Ho mosso i primi passi al Tribune, settimanale socialista diretto da George Orwell, l’autore della Fattoria degli animali o di 1984. Lì ho imparato molto su di lui, era severo con i miei testi, proprio come farebbe un mastro calzolaio con un apprendista. Mi diceva: guarda come hai fatto questo «tacco», non è abbastanza solido. Io lo correggevo, mi ripresentavo, e lui: adesso non è male, però continua a pensarci su, si può fare meglio. Mi ha insegnato la precisione, il rigore. John Berger, nel romanzo G, Neri Pozza.

Germi aveva dei problemi. Dei tic tremendi. Era un maestro riservato. Non egoista. Più innamorato degli attori che di se stesso e animato da una passione che mi incantava. Piangeva, urlava, cantava, disponeva tutto e si affidava all’operatore solo quando ogni cosa era pronta. Lo spiavo. Lo studiavo. Ero ammirata, ma all’epoca di Divorzio all’italiana non avevo ancora pienamente il senso del mio lavoro. Ero spensierata e poco professionale, tra un ciak e un altro me ne andavo in giro per negozi. Lui mi faceva delle scenatacce. E io calma: «Lei mi ha scelto e io la ringrazio, ma non si incacchi così perché io del cinema non so nulla e a tornare a casa impiego un minuto». In qualche modo lo ricattavo. Ma il famoso schiaffo che mi avrebbe dato in un momento di esasperazione non è mai esistito. Germi era severo, ma conosceva il rispetto. E io, senza restituirne almeno cinque, gli schiaffi non li avrei presi da nessuno. Men che mai sul set. Stefania Sandrelli, attrice (Malcom Pagani e Fabrizio Corallo). Il Fatto.

Io penso che il rapporto deformato fra magistratura e politica sia il più serio problema della democrazia italiana. Non è semplice risolverlo, perché in un paese ad alto tasso di corruzione, le pulsioni giustizialiste vengono periodicamente alimentate e le cause liberali non sempre vengono perorate da stinchi di santo. Ma la soluzione va trovata: è proprio nella confusione dei ruoli che la legge diventa incerta e arbitraria e favorisce, a sua volta, l’illegalità. Claudio Velardi, L’anno che doveva cambiare l’Italia. Mondadori, 2006.

«Di ritorno da un bagno termale — ho trovato nel letto — un uffizialetto — della Guardia Reale – travestito da pacco postale. — Mi stupisco, Signor Generale!». Alberto Arbasino. Corsera.

In Conservatorio c’era un insegnante, Antonio Braga, innocuo compositore, pasta d’uomo ma molto, molto effemminato. Una volta ero in Direzione col maestro Gargiulo e il maestro Vitale: viene annunciato Braga che vuole ossequiare il direttore. Entra e, mangiava moltissimo, si presenta con un incredibile pancione. Vitale. «Antuné, v’hanno acchiappata?» (Antonietta v’hanno messa incinta?»), e Braga: «Sì, Maestro, ma ’o guajo é cche nun s’é arrivat’a capì che ev’ ’pate!»). («Sì, Maestro, ma il guaio è che non siamo arrivati a capire chi è il padre!»). Paolo Isotta, La virtù dell’elefante. Marsilio.

Nessuno si sveglia se non gli racconti una storia. Alessandro Bergonzoni. ilvenerdì.

Bisogna trovare una moglie al Milite Ignoto. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 28/1/2015