Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 28/1/2015, 28 gennaio 2015
L’ART. 18 ERA SOLTANTO UN TABÙ
[Intervista a Bepi Covre] –
«Ma di che cosa abbiamo parlato in tutti questi anni? Tutti a sbraitare di non toccare l’articolo 18 quando poi, quando l’azienda andava in crisi, si licenziava eccome»: a dirlo è Bepi Covre, industriale a Gorgo di Monticano (Tv), dove produce componenti per l’industria mobiliera.
Covre, classe 1950, ha avuto una notorietà politica non da poco negli anni ’90 quando, da sindaco di Oderzo (Tv) aderì alla Lega Nord, di cui fu uno dei primi deputati. E quando lasciò la politica attiva, ne divenne una delle anime critiche, tanto da meritarsi l’appellativo di «leghista eretico».
Domanda. Covre, allora tutte queste resistenze al Jobs Act ce le potevamo risparmiare.
Risposta. Bisogna smuovere queste incrostazioni e questi tabù. L’articolo 18 era un dogma di fede, un’ipocrisia. Questa nuova legge non introduce novità sconvolgenti ma dà un po’ di fiducia, dopo anni di pessimismo, di negatività.
D. Ma lei che cosa farà? La utilizzerà?
R. Assolutamente sì, noi trasformeremo molti contratti a termine in altrettanti a tempo indeterminato.
D. Viva Matteo Renzi, allora...
R. Beh, lei sa quanto io lo stimi.
D. Un leghista renziano.
R. Direi, meglio, un federalista.
D. C’è ancora spazio per il federalismo in questo Paese?
R. Sì, perché vede anche il Jobs Act oppure i Patti di stabilità hanno un grosso limite: sono fatti a Roma e spalmati uniformemente su tutto il territorio, dal Brennero alla Sicilia, come se la situazione economica, sociale, manifatturiera fosse la stessa.
D. Cosa che, in effetti, non è...
R. Il fatto di non riconoscere questa diversità è un’ipocrisia tipica del buonismo italico, forse frutto anche della nostra cultura cattolica e, lei lo sa, parlo da cattolico.
D. Lo so, infatti.
R. Ecco, immaginare che i problemi del Nord Est o del Nord siano gli stessi della Basilicata o della Calabria, può funzionare? Le pare un modo intelligente di operare? Se lei ha tre figli di 15, 10 e tre anni, si sognerebbe di dare a tutti le medesime regole, dagli orari a le paghette? Ecco perché rimango un inguaribile federalista.
D. E Renzi?
R. Renzi mi piace perché ha fatto il sindaco, perché conosce i problemi dal basso e li sa affrontare. Se cominciasse a pensare federalista sarebbe perfetto.
D. E l’altro Matteo, Salvini intendo?
R. Lui non parla più di federalismo. E ogni tanto me lo chiedo: perché lo fa? Certo, tocca temi importanti, l’immigrazione, la lotta alla criminalità...
D. L’euro...
R. Eh, no, lo sa che sull’euro non vado per niente d’accordo con Salvini. Sono scettico di questa sua insistenza.
D. Scettico dell’euroscetticismo padano. Come Flavio Tosi...
R. Salvini dovrebbe rimettersi a pensare federalista. Fa bene a farsi apprezzare anche al Sud, ma dovrebbe spiegare che la diversità è una ricchezza. Dovrebbe far capire, per esempio, che la Sicilia dovrebbe seriamente mettersi a fare il turismo o anche diventare il polo formativo, con le sue università, di tutta l’area del Maghreb, invece di fare cose come Termini Imerese (PA).
D. E cioè?
R. Puttanate, mi scusi. Come era stato un po’ più a Nord con Gioia Tauro ai tempi di Giacomo Mancini.
D. Va beh, lì hanno rimediato facendoci un porto per container che mi pare funzioni. Senta, qualcuno dei governatori padani, come il suo Luca Zaia o il lombardo Roberto Maroni, non parlano più di federalismo ma hanno scoperto l’autonomia. Ora vogliono fare i referendum per chiedere la modifica costituzionale.
R. Ma che porcheria, mi scusi.
D. Prego?
R. L’autonomia, dico. Quella che abbiamo conosciuto in Italia è una porcheria da cancellare subito, altro che. A me ’sta roba non entusiasma affatto: è come sparare col fucilino di legno, immaginare di andare alla guerra con lo schioppetto finto, non fai paura neppure alle formiche. Come l’altra roba della macroregioni.
D. Già, sembrava fatta...
R. Si diceva che Piemonte, Lombardia e Veneto, tutte a guida leghista, l’avrebbero fatta. Non ne parlano più, hanno altri problemi mi pare: mancano le risorse e c’è da governare. E quei progetti macroregionali sono stati opportunamente messi da parte. Non raccontiamoci balle.
D. E allora, qual è la via?
R. Guardi la strada è una delle poche cose della gestione di Umberto Bossi che mi pare rilevante: i costi standard, ossia la misurazione esatta dei costi delle attività pubbliche e la loro comparazione. In modo che si veda chi è efficiente e chi spreca. Nella sanità si comincia a vedere qualcosa.
D. Dunque, per tornare a Renzi, gli facciamo un appello a essere federalista? D’altronde anche il Pd è un partito federale, come recita lo statuto.
R. Appunto. E, tra l’altro, un grande europeista come Altiero Spinelli fu a lungo nel Pci.
D. È vero. Fu cacciato alla fine degli anni ’30 e poi riaccolto alla fine degli ’70. E Renzi?
R. Renzi viene da un Comune e allora faccia sua questa bandiera dei costi standard che è il primo federalismo, e la applichi al magna magna della Pubblica amministrazione.
D. Per farlo, Renzi dovrebbe scornarsi coi sindacati, più di quanto non faccia già. Sono forze molto centraliste, non le pare?
R. La stupisco se le dico che, qui da noi, la Cgil non è affatto male? Paolino Barbiero, segretario a Treviso, è una persona che ammiro. E anche all’Electrolux, la Cgil ha fatto bene.
D. Sì, ma a contare sono i pensionati, la Pa, altroché.
R. Quello è il sindacato che fa politica a Roma, è Susanna Camusso. Ha fatto bene Renzi a impedire la solita concertazione del cazzo, mi perdoni l’espressione. Il governo governi e la Cgil faccia il sindacato. Però, ripeto, i sindacati che sono sul territorio quassù sono un’altra cosa. La Cisl, poi, è totalmente deideologizzata.
D. Veniamo alla sua Lega. Come la vede?
R. C’è stato un grosso ricambio è innegabile. Come c’è stato d’altra parte nel Pd. Non in Forza Italia, ché lì c’è ancora il Lider Maximo, Silvio Berlusconi. Però Salvini...
D. Però?
R. Mi pare un po’ isolato. Non vedo una squadra che gli dia una mano. Basta vedere in tv: c’è solo lui, dappertutto, giù e su. Va bene, buca lo schermo, per carità, ma uno fa per uno, eh. Siamo al deus ex machina, al Bossi atto secondo.
D. Anche Tosi non mi pare felicissimo: voleva essere il candidato nazionale della Lega, come gli era stato promesso, in caso di primarie. Ora Salvini non molla: il leader è lui...
R. Tosi è un caro amico. Politicamente è più acuto di Salvini. Ma ha dimostrato un limite e glielo ho fatto capire: come segretario veneto, in due anni, non ha pacificato. Doveva avvicinare i due argini, leghisti 2.0 e cosiddetti lealisti bossiani, e non ci è riuscito. Ha minacciato espulsioni, più che farlo, ma le divisioni sono rimaste e lui s’è mangiato un’opportunità di leadership. E poi, sa, le primarie del centrodestra: ma chi lo sa se e come si faranno? Chissà se e quando si voterà?
D. Il «quando» dipende molto da chi diventerà capo dello Stato. Se sarà un presidente non ostile al premier Renzi, c’è chi pensa che lo si farà presto. Lei chi vedrebbe bene al Colle?
R. Il mio presidente ideale sarebbe Franco Bassanini.
D. Per via del decentramento amministrativo che ha introdotto, immagino.
R. Esatto, le sue leggi sono state importanti. Non me lo dimentico. Ed è stato un politico competente e onesto, di sinistra ma non comunista. Senza mai essere un antiberlusconiano. Sarebbe un buon capo dello Stato, mi creda.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 28/1/2015