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 2015  gennaio 28 Mercoledì calendario

BASTA TROIKA, LA SPERANZA DI PERAMA

All’Assemblea aperta di Pèrama non è un giorno come gli altri. Oggi a una donna che si chiama Spe­ranza è nato un bam­bino e loro ci scher­zano su, gio­cando sullo slo­gan della cam­pa­gna elet­to­rale di Syriza «la spe­ranza sta arri­vando»: «Non solo è venuta ma ha pure partorito».
C’è eufo­ria, alla riu­nione set­ti­ma­nale di que­sti ex por­tuali, ex camio­ni­sti, ex lavo­ra­tori, tra­volti dalla crisi dei can­tieri navali del Pireo come la stra­grande mag­gio­ranza degli abi­tanti di que­sto sob­borgo di 30 mila abi­tanti della Grande Atene che affac­cia su uno dei più impor­tanti porti del Medi­ter­ra­neo. In que­sta zona un tempo ope­raia e sto­ri­ca­mente di sini­stra, ridotta allo stremo dai tagli al wel­fare e dalla man­canza di lavoro, nono­stante non tutti abbiano votato per Syriza le aspet­ta­tive verso il nuovo governo sono tante. Tha­nas­sis, per esem­pio, è del Kke, il Par­tito comu­ni­sta che da que­ste parti con­serva un radi­ca­mento di tutto rispetto, e da lui ti aspet­te­re­sti fuoco e fiamme con­tro i cugini-coltelli di Syriza. Invece lui ritiene che il governo della sini­stra sia «un fatto molto posi­tivo» e crede che «Ale­xis Tsi­pras farà quello che ha pro­messo, soprat­tutto a livello sociale».
Qui tutti atten­dono che il neo pre­mier fac­cia quel che ha pro­messo per risol­vere l’emergenza uma­ni­ta­ria, innan­zi­tutto: bloc­care gli sfratti, sospen­dere i distac­chi della luce e dell’acqua ai morosi, garan­tire tra­sporti gra­tuiti ai disoc­cu­pati. Si tratta di pro­blemi che vivono sulla loro pelle. Non passa giorno che, soli­dali gli uni con gli altri, non deb­bano inter­ve­nire per evi­tare che qual­cuno venga but­tato fuori di casa, non si fion­dino nei tri­bu­nali a pre­si­diare le aste per evi­tare che i corvi delle società immo­bi­liari fac­ciano man bassa degli appar­ta­menti con­fi­scati, non vadano negli uffici dell’ente per l’energia elet­trica per impe­dire che stac­chino la cor­rente a qual­che pove­rac­cio, non fer­mino i clienti dei super­mer­cati per farsi rega­lare un pacco di pasta, una bot­ti­glia d’olio, un chilo di riso da distri­buire a chi non rie­sce a met­tere insieme un pranzo e una cena, non invi­tino chi è senza lavoro a non fare il biglietto del bus e a mostrare ai con­trol­lori la tes­sera da disoc­cu­pati, con il risul­tato che, pur non avendo otte­nuto «quello che ave­vamo richie­sto», «l’azienda dei tra­sporti non manda più i con­trol­lori a Pèrama», come spiega sor­ri­dendo Gior­gios, uno dei par­te­ci­panti all’Assemblea.

«Il male necessario»
Sem­bra fan­ta­scienza, ma è realtà. Fino a qual­che anno fa que­sto comune di 25 mila abi­tanti era un digni­toso sob­borgo ope­raio affac­ciato sul mare, insieme alla vicina Kera­tsini era il luogo in cui risie­de­vano i por­tuali, una pre­senza sto­ri­ca­mente di sini­stra, mas­sic­cia­mente sin­da­ca­liz­zate (con l’egemonia del Pame, il sin­da­cato vicino ai comu­ni­sti del Kke), pro­ta­go­ni­sta di tante mani­fe­sta­zioni e scio­peri. Poi è sal­tato tutto. La fine della con­trat­ta­zione col­let­tiva (che Tsi­pras pro­mette di rein­se­rire, dovrebbe essere uno tra i primi prov­ve­di­menti del governo), la pre­ca­riz­za­zione del lavoro e su tutto la chiu­sura dei can­tieri navali l’hanno tra­sfor­mato nel più grande ser­ba­toio di disoc­cu­pati della Gre­cia, che qui sfio­rano l’80 per cento della popo­la­zione, quasi il tri­plo della media nazionale.
Qui la crisi uma­ni­ta­ria si tocca con mano. Per ren­der­sene conto basta farsi una pas­seg­giata. Méde­cins du monde, che è arri­vata a for­nire assi­stenza sani­ta­ria, ha denun­ciato per­sino pro­blemi di denu­tri­zione nei bam­bini. Pagare una bol­letta per molti è un pro­blema insor­mon­ta­bile: all’Assemblea aperta mi rac­con­tano che sono dovuti inter­ve­nire per impe­dire lo sfratto di una loro com­pa­gna che non riu­sciva a pagare 700 euro di arre­trati dell’acqua. I sus­sidi di disoc­cu­pa­zione, 300 euro men­sili, sono ter­mi­nati da tempo e la mag­gio­ranza della popo­la­zione vive con appena due­cento euro al mese. Per que­sto all’Assemblea aperta, uno spa­zio sociale nato nel 2011 sull’onda del movi­mento di Piazza Syn­tagma (ai tempi degli Indi­gna­dos e degli Occupy) si danno una mano l’uno con l’altro: quando uno di loro non può pagare si inter­viene, se qual­cuno ha biso­gno di cibo glielo si trova, e così via. Baste­rebbe que­sto a spie­gare la grande voglia di cam­bia­mento che si respira. Nem­meno l’alleanza con il par­tito di destra dell’Anel non è presa in grande con­si­de­ra­zione. «Un male neces­sa­rio», la defi­ni­scono sor­ri­dendo a denti stretti.
Lo spar­tiac­que, nella Gre­cia di oggi, è tra chi ha soste­nuto l’austerity e chi invece vi si oppone, e per que­sto in molti vedono meglio un accordo di scopo con l’Anel che una trat­ta­tiva con Potami, l’altro par­tito (di cen­tro­si­ni­stra) che avrebbe potuto allearsi con Syriza, con­si­de­rato invece troppo euro­pei­sta. E il Kke? In molti qui l’hanno votato, però, dice Tha­nas­sis, «l’unica volta in cui i due par­titi sono stati insieme (alla fine degli anni ’80, ndr), è stato un disa­stro». Viene apprez­zato anche il primo atto pub­blico del neo­pre­mier: quello di andare a deporre dei fiori al poli­gono di tiro di Kesa­riani, dove due­cento greci furono uccisi dai nazi­sti. A Baghel­lis, un altro par­te­ci­pante all’Assemblea che vuole qual­che infor­ma­zione sui cen­tri sociali ita­liani, piace il lin­guag­gio nuovo che parla Tsi­pras, «meno ideo­lo­giz­zato e ste­reo­ti­pato di un tempo». «Se vuoi qual­che rife­ri­mento cul­tu­rale», mi dice, «devi cer­carlo nella demo­cra­zia dell’antica Gre­cia, nell’autonomia e nel ‘68».
La verità è che la situa­zione, da que­ste parti, non è più soste­ni­bile, le per­sone sono allo stremo delle loro forze e a nes­suno viene in mente di fare oppo­si­zione pre­ven­tiva a un governo che annun­cia di voler risol­vere, come prima cosa, la crisi uma­ni­ta­ria. Neran­tzis Sidi­ras, 56 anni e un infarto alle spalle, scuote la testa: «È per colpa di Sama­ras se siamo in que­sta con­di­zione». Mi rac­conta la sua sto­ria: licen­ziato dai can­tieri navali già alla fine degli anni ’90, si era messo a fare il camio­ni­sta per una ditta che tra­spor­tava allu­mi­nio, un metallo di cui la Gre­cia è grande pro­dut­trice. Quando è comin­ciata la crisi eco­no­mica, prima gli hanno dimi­nuito lo sti­pen­dio («ero arri­vato a gua­da­gnare, con l’anzianità di ser­vi­zio, 1100 euro»), poi nel 2012 l’hanno licen­ziato, per­ché aveva rifiu­tato la pro­po­sta di lavo­rare per 480 euro al mese. Ora vive con la pen­sione di inva­li­dità: 350 euro al mese, 300 dei quali se ne vanno per l’affitto. Sua moglie non lavora e lo stesso vale per i due figli. Fosse stato da solo, sarebbe finito per strada. «Ho saputo che c’era qual­cuno che pro­vava a resi­stere e sono venuto qui. Quando mi hanno tagliato la cor­rente elet­trica e l’acqua, me le hanno rial­lac­ciate. Loro mi aiu­tano e io col­la­boro alle atti­vità». Neran­tzis, come gli altri che si par­te­ci­pano all’Assemblea, fa i turni davanti ai super­mer­cati e col­la­bora alle diverse ini­zia­tive. Un gio­vane mi spiega di aver gua­da­gnato qual­cosa per due mesi con i 400 euro dei corsi di for­ma­zione euro­pei, poi è finita.
Si fa fatica a pen­sare che, fin­ché c’erano i can­tieri navali, que­sto era un comune dall’edilizia sel­vag­gia ma fio­rente, con una forte soli­da­rietà ope­raia e una discreta cul­tura poli­tica, di cui riman­gono gli echi tra i par­te­ci­panti all’Assemblea aperta. Com’è stato pos­si­bile ridursi in que­sto stato? A chi adde­bi­tare le respon­sa­bi­lità: alla classe poli­tica greca, all’Europa che ha badato solo ai pro­pri inte­ressi? Qui hanno pochi dubbi: vor­reb­bero che i poli­tici che hanno retto il Paese negli ultimi vent’anni, in pri­mis Anto­nis Sama­ras ed Evan­ge­los Veni­ze­los (i segre­tari di Nea Demo­cra­tia e del Pasok, rispet­ti­va­mente ex pre­mier ed ex vice­pre­mier), fos­sero giu­di­cati in un’aula di tri­bu­nale. Un altro ex ope­raio se la prende invece con i tede­schi e urla «basta con il capi­ta­li­smo della Merkel».

Gli indi­gnati di Pèrama
All’Assemblea aperta di Pèrama si discute cosa fare ora che in Gre­cia, per la prima volta nella sto­ria, c’è un governo di sini­stra. C’è chi dice che biso­gna aspet­tare le prime misure di Tsi­pras e poi com­por­tarsi di con­se­guenza, chi sostiene che è neces­sa­rio valo­riz­zare le affi­nità piut­to­sto che le dif­fe­renze tra i mili­tanti, in buona sostanza cer­care di tro­vare i punti in comune tra la base filo-Syriza e quella filo-Kke, chi pro­pone di darsi degli obiet­tivi come i tra­sporti gra­tis per stu­denti e disoc­cu­pati e chi invece sostiene che «biso­gna pen­sare anche alla que­stione cul­tu­rale», in un quar­tiere dove il 30% degli abi­tanti non ha finito nep­pure la scuola ele­men­tare. C’è in vista l’organizzazione di una festa, hanno otte­nuto che l’ingresso nei tea­tri sia gra­tuito per i disoc­cu­pati e al sin­daco, che è di Syriza, chie­de­ranno di asse­gnare loro uno spa­zio pub­blico per­ché per il locale in cui si riu­ni­scono a fatica rie­scono a rac­co­gliere i soldi per pagare i tre­cento euro dell’affitto.

I kil­ler di Kil­lah P
La situa­zione dispe­rata di Pèrama ha pro­dotto anche i suoi mostri. La notte del 18 set­tem­bre 2013 Pavlos Fis­sas, meglio cono­sciuto come Kil­lah P, rap­per e sin­da­ca­li­sta metal­mec­ca­nico, pro­prio da que­ste parti fu aggre­dito da una banda di neo­fa­sci­sti e col­pito a morte, in pre­senza della sua fidan­zata e, secondo i testi­moni, di alcuni poli­ziotti che inter­ven­nero solo a gio­chi fatti. L’uccisione di Fis­sas è stato il peg­giore atto di vio­lenza nel quar­tiere a danno degli anti­fa­sci­sti, ma non l’unico. Le aggres­sioni sono all’ordine del giorno e ne hanno fatto le spese anche alcuni mili­tanti del Kke. Alba Dorata fa poli­tica attiva nel quar­tiere ed è pure andata bene alle ele­zioni, ali­men­tando le con­suete guerre tra poveri e pescando nelle sac­che di popo­la­zione che sfo­gano il loro risen­ti­mento con­tro gli immi­grati. I neo­na­zi­sti si sono messi a loro volta a distri­buire cibo, «solo ai greci, mostrando la carta d’identità, con gran bat­tage media­tico ma senza grande suc­cesso», sor­ride Athina, un’altra atti­vi­sta, che poi rac­conta come, nel con­si­glio dei geni­tori della scuola media, di cui fa parte, dodici per­sone su quin­dici abbiano votato per loro. Alba Dorata ha pro­vato per­sino a met­tere in piedi un suo sin­da­cato che, mi spie­gano, «è arri­vato a pro­porre salari di 18 euro al giorno», una sorta di brac­cio armato degli arma­tori per com­pri­mere salari e diritti e con­tem­po­ra­nea­mente avere il con­trollo di una massa di lavo­ra­tori man­te­nuti in con­di­zioni di ipersfruttamento.
L’Assemblea aperta è nata nel 2011, sull’onda del movi­mento di piazza Syn­tagma, al tempo degli Indi­gna­dos e degli Occupy, e il suo sim­bolo è una bus­sola con quat­tro punti car­di­nali: soli­da­rietà, autor­ga­niz­za­zione, resi­stenza e ribal­ta­mento (che in ita­liano potremmo tra­durre anche come rivo­lu­zione). «All’inizio era­vamo pochis­simi, ma a Syn­tagma abbiamo incon­trato, in quei giorni, altre per­sone di Pèrama. È lì che abbiamo deciso di aprire uno spa­zio di demo­cra­zia diretta, per togliere la gente dall’isolamento. Fino ad allora capi­tava di incon­trarsi nei bar, senza però discu­tere di poli­tica», spiega Babys, un atti­vi­sta della prima ora. Il pro­blema, spiega Neran­tzis, è che «i greci sono rima­sti addor­men­tati per vent’anni, erano abi­tuati al denaro facile. La crisi ha con­tri­buito a sve­gliarli». Oggi all’Assemblea par­te­ci­pano un’ottantina di per­sone. Tolti tre pen­sio­nati e altret­tante per­sone che fanno lavo­retti sal­tuari, sono tutti disoc­cu­pati. Uno di loro, Gior­gios, dispensa una pic­cola lezione di demo­cra­zia: «Il lavoro fon­da­men­tale dell’Assemblea è quello di col­pire la men­ta­lità della delega. È pro­prio per­ché abbiamo lasciato fare a poli­tici di pro­fes­sione e tec­nici che ci siamo ridotti così. Cer­chiamo di far capire alle per­sone che è dovere di ogni cit­ta­dino eser­ci­tare i pro­pri diritti e cre­diamo che il popolo debba avere coscienza dei pro­blemi ed essere infor­mato sulla loro risoluzione».
Tutto ciò si risolve, oltre che nel mutuo soc­corso uma­ni­ta­rio, nel coin­vol­gi­mento di chiun­que si avvi­cini a loro, con l’unico punto fermo dell’antifascismo, e nel cer­care di otte­nere dei risul­tati con­creti. Baghel­lis sostiene che biso­gna com­por­tarsi come con i governi pre­ce­denti: «Dob­biamo mobi­li­tarci, par­te­ci­pare, riven­di­care e imporre i nostri diritti anche con Tsi­pras, sem­pre con azioni col­let­tive e stando sulla strada, per­ché le pres­sioni sul governo saranno grandi». Al di là di tutto, all’Assemblea aperta atten­dono fidu­ciosi che arrivi un segnale che l’era dei sacri­fici insen­sati e del mas­sa­cro sociale è stata defi­ni­ti­va­mente archi­viata. E’ quello che si aspet­tano le vit­time dell’austerità di Pèrama.