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 2015  gennaio 28 Mercoledì calendario

Notizie tratte da: Olivier Marchon, Il Monte Bianco non è in Italia. E altre bizzarrie della geografia, Clichy 2014, pp

Notizie tratte da: Olivier Marchon, Il Monte Bianco non è in Italia. E altre bizzarrie della geografia, Clichy 2014, pp. 280, 13,90 euro.

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• «Baarle è un villaggio olandese-belga. Baarle-Hertog (la zona belga di Baarle) è composta da quattro parti che si trovano in Belgio, lungo il confine tra i due Stati, e da ventidue enclave in territorio olandese situate nel centro di Baarle-Nassau (la zona olandese di Baarle), che è anch’essa composta da una parte principale, da sette contro-enclave in due delle ventidue enclave di Baarle-Hertog e da un’altra enclave che si trova in una delle parti di Baarle-Hertog in Belgio... non ci avete capito niente? È normale». L’assurda articolazione di Baarle affonda le sue radici nel Medioevo, e sfidando i secoli e i rivolgimenti storici è giunta sino ai giorni nostri. «Baarle oggi ha due consigli municipali, due poste, due polizie, due reti elettriche, due sistemi di numerazione delle case ecc. In terra sono stati disegnati i confini che attraversano le strade, i negozi o le case: non si possono fare più di dieci metri senza cambiare Paese! A questo proposito una leggenda narra che basta spostare la porta di casa di pochi metri per cambiare nazionalità e beneficiare di un migliore regime fiscale. La storia della casa che ha la porta d’ingresso a cavallo della frontiera è invece tutta vera: questa casa ha due indirizzi, uno per ogni Paese».

• Particolarmente complessa e tortuosa è la zona del confine settentrionale tra il Bangladesh e l’India. Sono ben centosei le enclave indiane in Bangladesh e novantadue le enclave bengalesi in India, tra le quali tre contro-enclave indiane (territori indiani all’interno di enclave bengalesi in India), ventuno contro-enclave bengalesi (territori bengalesi all’interno di enclave indiane in Bangladesh) e l’unica contro-contro-enclave esistente al mondo (un territorio indiano all’interno di un’enclave bengalese a propria volta appartenente a un’enclave indiana in Bangladesh), corrispondente a un appezzamento di 0,69 ettari che almeno fino al 2002 risultava appartenere a un certo Kiri Prashad Babu. «Questo insieme complesso è noto con il nome di “enclave di Cooch Behar”, dal nome dell’antico regno della regione. Le enclave sono di varie dimensioni: la più grande ha un’estensione simile a quella di una città come Trento o Bergamo, la più piccola quella di un appartamento di tre stanze. Le enclave hanno una popolazione che varia da cinquantamila a centomila abitanti, chiamati i “Chhitmahali”».

• A complicare ulteriormente il tutto sono i cattivi rapporti tra i due Paesi, che non hanno mai trovato un’intesa per gestire la situazione nell’area. «Se un Chhitmahali desidera uscire dalla sua enclave deve passare in territorio straniero e quindi deve avere i documenti con sé. Ora, per ottenere i documenti si deve rivolgere alle autorità del suo Paese d’origine. Ma questo non ha una rappresentanza all’interno delle enclave e pertanto il Chhitmahali deve recarsi nel suo Paese per poter avere i suoi documenti. Così, per ottenere i documenti che gli permettano di uscire dalla sua enclave il Chhitmahali deve uscire dall’enclave stessa... Per farla breve, è incastrato». Se l’apparenza è quella di una farsa, la realtà è invece molto seria, talvolta persino tragica: oltre a essere privi di qualsiasi servizio pubblico (non ci sono scuole né ospedali né forze dell’ordine, e tanto meno l’elettricità), «ancora oggi capita che alcuni Chhitmahali, obbligati a delinquere per spostarsi e sopravvivere, vengano uccisi dalle guardie di frontiera».

• Il 17 luglio 1945 il presidente del Consiglio inglese Winston Churchill creò la più piccola ed effimera enclave della storia, dichiarando territorio jugoslavo per un giorno la suite 212 dell’hotel Claridge’s a Londra. «Essa era il luogo d’esilio del re Pietro II di Jugoslavia, fuggito in seguito all’invasione tedesca del suo Paese. Il 17 luglio sua moglie dà alla luce il principe Alessandro, erede al trono. E lo fa in territorio jugoslavo, cosa che, a quanto pare, è importante per la legittimità della successione».

• «Dichiarando la suite 212 jugoslava si è evitato al principe di avere una doppia nazionalità, che è complicata da gestire per una testa coronata. Analogamente, per evitare la doppia nazionalità alla principessa Margaret d’Olanda, nata a Ottawa il 19 gennaio 1943, il governo canadese al momento della sua nascita dichiarò il reparto maternità in cui si trovava “territorio internazionale”. Anche la sua famiglia era in esilio in Canada dopo l’invasione tedesca dell’Olanda».

• «Nell’agosto 1914 la Grande guerra sta divampando e i tedeschi invadono il Belgio per sorprendere i francesi a nord. Le città belghe cadono l’una dopo l’altra e ben presto il re Alberto I e il suo governo sono costretti ad abbandonare Bruxelles. Bisogna trovare una soluzione di ripiego e la Francia offre ai belgi la possibilità di stabilirsi sul proprio territorio, in una città a loro scelta. I belgi scelgono dunque Sainte-Adresse, e per mettere bene in chiaro le cose chiedono ai francesi di accordare loro l’extraterritorialità sulla porzione di territorio che intendono occupare». Fu così che dall’ottobre 1914 al novembre 1918 la piccola stazione balneare normanna di Sainte-Adresse, di appena 2,25 km2, fu ufficialmente la capitale del Belgio, che vi trasferì il proprio governo, impiantandovi persino il servizio postale nazionale. E ancora oggi, «davanti all’edificio del Nice Havrais, si trova l’unico superstite dell’epoca dei ministeri, una cassetta delle lettere rossa, come quelle che si vedono in Belgio. La posta francese l’ha acquisita, e la posta viene ritirata due volte al giorno, alle 10 e alle 13».

• La Francia è l’unica nazione straniera ad avere possedimenti in Terra Santa. Si tratta di quattro proprietà statali (non territori francesi in senso stretto: vi vige la legge israeliana), retaggio di quattrocento anni di protettorato religioso: «la chiesa di Sainte-Anne de Jérusalem, costruita al posto dell’antica dimora dei genitori della Vergine Maria; la chiesa di Éleona, sul monte degli Ulivi, dove Gesù insegnò il Padre nostro ai suoi discepoli; il monastero di Abou Gosh, che si dice si trovi là dove un tempo era situato l’antico villaggio di Emmaus, in cui Gesù fu riconosciuto per la prima volta dopo la resurrezione; e la tomba dei Re, che, pur non essendo un luogo santo per i cristiani, lo è per gli ebrei».
• In quei luoghi ancora oggi, oltre due secoli dopo la Rivoluzione francese e oltre un secolo dopo la legge del 1905 per la separazione di Stato e Chiesa, si celebra ogni anno una trentina di messe consolari per la Repubblica francese, alle quali partecipa il console di Francia a Gerusalemme. «Nel corso delle cerimonie, gli ecclesiastici presentano i Vangeli e l’acqua benedetta al console prima di incensarlo, e le celebrazioni si concludono sistematicamente con l’ufficiale Preghiera per la Repubblica, recitata in latino: “Domine, salvam fac rem publicam”, “Signore, salva la Repubblica!”».

• Oltre a questa, «esistono ancora sul suolo francese parecchie eccezioni, resistenze o ordinamenti particolari ed “esotici” in materia di religione. Nei territori d’oltremare Wallis e Futuna, per esempio, la religione cattolica è la religione ufficiale. A Mayotte – isola vicino alle Comore tra Mozambico e Madagascar – è stata a lungo autorizzata l’applicazione del diritto musulmano. Nelle regioni dell’Alsazia e della Mosella, invece, è ancora in vigore l’antico sistema detto del “Concordato” e istituito da Napoleone, in nome del quale ancora oggi lo Stato stipendia i preti, i pastori e i rabbini».

• Addirittura, il presidente della Repubblica francese «gode ancora oggi di diversi titoli onorifici religiosi tra cui quello di primo e unico canonico onorario della chiesa di Saint-Germain-des-Prés a Parigi. In teoria, il presidente della Repubblica detiene persino il privilegio di consegnare la berretta cardinalizia quando l’ambasciatore del papa a Parigi viene nominato cardinale!».

• Un conflitto di sovranità irrisolto da più di centocinquant’anni è quello che riguarda il tetto d’Europa, e vede quali contendenti Italia e Francia: «i francesi pensano che il Monte Bianco si trovi in Francia, mentre gli italiani ritengono che il confine passi esattamente sulla cima, dividendo equamente la mitica montagna tra i due paesi». Il monte, conquistato dalla Francia nel 1792 con tutta la Savoia e con essa tornato all’Italia nel 1815 dopo la caduta di Napoleone, fu oggetto di precise indicazioni nel trattato di Torino del 1860, con il quale Vittorio Emanuele II, ancora re di Sardegna, compensò Napoleone III per il sostegno offerto dalla Francia nella seconda guerra d’indipendenza: tale trattato faceva passare proprio sul Monte Bianco la nuova frontiera tra l’Italia, che ne manteneva il versante compreso entro il ducato d’Aosta, e la Francia, che acquisiva l’altro versante con tutto il ducato di Savoia (e anche la provincia di Nizza). «Eppure, a partire dal 1865, basandosi probabilmente sui confini del dipartimento del 1792, l’esercito francese pubblica alcune mappe che includono il Monte Bianco nella Savoia. Da allora questo tracciato viene mantenuto: ancora oggi il rigoroso Istituto geografico nazionale francese lo riproduce su tutte le sue carte e il mondo intero sembra essersi schierato con esso: le mappe on line di Google, per esempio, collocano il Monte Bianco interamente in Francia. Tuttavia, gli italiani tengono duro: le loro carte rispettano giustamente il confine previsto dal trattato di Torino». A complicare ulteriormente il quadro, la mancata registrazione presso l’Onu, da parte della Francia, del trattato di Torino del 1860 potrebbe teoricamente rendere illegale la stessa sovranità francese in Savoia (e a Nizza)!

• Per cinquant’anni, dal 1947 al 1997, la città fortificata di Kowloon Walled City (nome originale Chiulung Tsai-Ch’eng) è stata una vera e propria città autonoma piantata nel cuore della colonia britannica di Hong Kong, concentrando al suo interno «le attività umane moralmente più riprovevoli: prostituzione, scommesse di ogni genere, traffico di droga... Nulla era tecnicamente illegale in questa inverosimile bidonville verticale, un formidabile groviglio di 359 edifici costruiti senza il minimo criterio su una superficie grande come quattro campi da calcio, che assomigliava a una città immaginaria e maledetta, a metà strada tra Babele, Gotham City e la Corte dei Miracoli».

• «Ma com’è possibile che nulla fosse illegale? Il fatto è che nel 1947 una controversia diplomatica tra la Cina e la Gran Bretagna spinge Kowloon in una turbolenta zona di vuoto giuridico. Le autorità di Pechino rivendicano alla Gran Bretagna, di stanza da lungo tempo a Hong Kong, i 2,5 ettari su cui un tempo si ergeva una delle loro fortezze militari: la Kowloon Walled City, che dà ancora il nome alla zona. Nel dubbio, pur senza riconoscere la validità della rivendicazione cinese, i britannici decidono di abbandonare l’area: nell’attesa che venga decisa la sua sorte, nessuna polizia e nessun funzionario di Hong Kong possono più oltrepassare i confini di questo territorio dalla nazionalità indefinita. Ed è così che la Kowloon Walled City si trasforma in una zona senza legge dove vige una libertà assoluta e in cui il concetto di legalità diventa alquanto relativo». Nel 1997 anche Kowloon è stata restituita alla Cina insieme a Hong Kong: non prima, però, di averne rialloggiato tutti gli abitanti e averla rasa al suolo, rimpiazzandola con un parco.

• «Si ritiene che nella Walled City abitassero trentacinquemila persone, rendendola l’area urbana più densamente popolata al mondo: 1,4 milioni di abitanti per km2! Oggi, con una media di diciottomila abitanti per km2, lo Stato con la più alta densità abitativa è il Principato di Monaco».

• La piccola isola di Sercq (Sark in inglese), 5,4 km2 di terra nel canale della Manica, è l’ultimo Stato feudale d’Europa. «Entità autonoma, proprietà della corona d’Inghilterra pur senza far parte del Regno Unito e della Comunità europea, Sercq è rimasta al 1565, data in cui la regina d’Inghilterra affidò l’isola a un certo Hélier de Carteret per cinquanta soldi all’anno. (…) Più di quattro secoli e mezzo dopo l’isola si è popolata, ma non è cambiato nulla: la signoria e le tenute si sono trasmesse di padre in figlio e il signore rimane sempre il padrone del suo feudo, che sembra uscito direttamente da un libro di storia. Laggiù, solo il signore ha il diritto di allevare dei piccioni, solo lui ha diritto a possedere una cagna e solo lui ha il diritto di disporre dei relitti che si arenano sulle spiagge dell’isola... L’attuale padrone, Michael Beaumont, continua a versare ogni anno alla Corona britannica i suoi cinquanta soldi, ovvero 1,79 sterline attuali».

• In realtà negli ultimi anni, dietro ingiunzione delle autorità europee, l’assetto costituzionale di Sercq è stato profondamente riformato, con l’instaurazione della democrazia e di un Parlamento eletto a suffragio universale: tuttavia le prime elezioni democratiche, tenutesi nel 2008, hanno visto la vittoria del partito che appoggiava il signore di Sercq, il quale continua dunque di fatto a dominare sull’isola. Qui, ancora oggi, «le strade sono sterrate e le auto sono vietate, non esiste il welfare né il sussidio di disoccupazione. Ma la regola è il mutuo soccorso, e nulla sembra turbare la tranquillità della piccola comunità di seicento abitanti: le due celle della prigione di Sercq, d’altronde, non ospitano mai nessuno, tranne qualche turista poco previdente che non ha trovato nessun altro posto dove dormire e a cui si è dovuto dare una mano. La ciliegina sulla torta è che a Sercq non si pagano le tasse».

• La Repubblica monastica del Monte Athos (piccolo Stato autonomo situato in Grecia nell’omonima penisola) è l’unica regione europea vietata alle donne. Costituita da venti monasteri arroccati sulle montagne sopra il mar Egeo, nei quali vivono poco più di mille monaci ortodossi di ogni nazionalità, «la Repubblica si trova sotto la giurisdizione congiunta del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, la più alta giurisdizione ortodossa, e del Ministero greco degli Affari esteri. La sua esistenza è garantita dalla Costituzione greca e il piccolo Stato monastico è separato dal resto della Grecia da un muro di una decina di chilometri. Al momento dell’adesione del loro Paese all’Europa, i greci hanno preteso che l’Unione europea garantisse anch’essa, al suo interno, lo statuto speciale del Monte Athos», nonostante esso sia palesemente in contrasto con la libera circolazione delle persone e dei beni in Europa sancita dalla convenzione di Schengen, sottoscritta anche dalla Grecia.

• «Ma perché è vietato l’ingresso alle donne nella penisola? Ci sono due ragioni. La prima è che il Monte Athos sarebbe stato donato come giardino da Dio alla Vergine Maria e dunque nessun’altra donna può più esservi accettata. La seconda è che la presenza delle donne sarebbe una fonte di distrazione e rischierebbe di sviare i monaci dalla loro missione di preghiera».

• «“Oblast autonomo ebraico”: è questo il nome di un territorio dell’Estremo Oriente, appena più grande del Belgio e unico “soggetto” della federazione russa a possedere lo statuto di regione autonoma». Creata ufficialmente da Stalin nel 1934 in base alla dottrina per cui ogni popolo dell’Unione sovietica doveva avere una nazione in cui vivere autonomamente, già in quell’anno vi si contano «circa diciannovemila ebrei, cioè il 16% della popolazione. L’yiddish è la lingua ufficiale, al pari del russo, ed è insegnato nelle scuole. L’ebraico, la lingua liturgica, è invece vietato, in quanto vittima della campagna antireligiosa condotta in tutta l’Unione sovietica. L’Oblast autonomo ebraico, o Birobidjan – come viene chiamato più comodamente – rappresenta infatti il tentativo di creazione di un’identità sovietica ebraica laica, priva di qualsiasi riferimento religioso».

• Dopo alterne fortune (e alterne purghe) tra gli anni Trenta e Quaranta, «alla morte del “Piccolo Padre dei popoli” nel 1953, le purghe finiscono e gli ebrei ormai scappano dal Birobidjan. Da trentamila nel 1948, il loro numero passa a meno di quindicimila nel 1959. Come ammette persino Nikita Kruscev, successore di Stalin alla guida dell’Unione sovietica, la colonizzazione ebraica del Birobidjan è stata un fallimento e i tentativi futuri per rilanciarla saranno altrettanto vani: infatti gli ebrei continuano a scappare dalla regione, prima di emigrare in massa verso Israele al momento del crollo dell’Urss nel 1991. Questo spiega come mai oggi vi sia un numero molto ridotto di ebrei nell’Oblast autonomo ebraico, che ha conservato il suo nome nonostante il fiasco». Si calcola infatti che oggi vivano nella regione dai duemila ai quattromila ebrei, su una popolazione di duecentomila abitanti.

• Tra i coloni della prima ora dell’Oblast autonomo ebraico «bisogna ricordare la famiglia Koval, arrivata dagli Stati Uniti nel 1932. I Koval sono di origine russa: per loro, quindi, è come un ritorno a casa. Il figlio George parte per andare a studiare a Mosca, dove viene reclutato dai servizi segreti sovietici. Nel 1940 viene mandato negli Stati Uniti, si arruola nell’esercito americano e spia per conto dei russi il celebre programma nucleare Manhattan. Koval ritorna nell’Est nel 1948, dopo aver rivelato delle informazioni decisive al suo Paese. Dopo la sua morte nel 2006 è stato elevato al rango di “eroe della Russia”».

• «Il regno di Redonda ha sede nelle Antille, sull’omonima piccola isola deserta, dipendente da Antigua e Barbuda. Il primo re di questo scoglio di 1,5 km2 si chiamava Matthew Phipps Shiel, uno scrittore inglese dell’inizio del XX secolo, autore di racconti e romanzi dell’orrore e di fantascienza ormai dimenticati. Abituato a rendere veridiche delle storie inverosimili, un giorno Shiel ha raccontato questo episodio: nel 1880 suo padre, a quanto pare proprietario dell’isola al tempo britannica, avrebbe avuto l’autorizzazione dalla regina Vittoria di dare a suo figlio il titolo di re di Redonda, a patto che il micro-Stato così creato non mettesse mai in ombra l’Impero. Sarebbe stato allora così che Shiel, all’età di soli quindici anni, è diventato Filippo I, re di un’isola che suo padre aveva comprato nel 1865 per sfruttare quel concime molto apprezzato che era il guano, la sola risorsa del regno. Vera o falsa, la storia si diffonde. Shiel muore nel 1947 e lascia in eredità il suo titolo e i diritti delle sue opere all’amico scrittore John Gawsworth, creando così la prima dinastia letteraria della storia».

• Morto (in miseria) anche Gawsworth, attuale re di Redonda è, dal 1997, lo scrittore spagnolo e membro dell’Accademia reale spagnola Javier Marías, il quale «sembra prendere molto sul serio la sua carica: nel 1999 crea la casa editrice Reino de Redonda (“Regno di Redonda”) e attribuisce regolarmente il titolo di duca a personalità del cinema o della letteratura. È così che Francis Ford Coppola, Ray Bradbury, Éric Rohmer, Milan Kundera o ancora Pedro Almodóvar sono o sono stati ufficialmente duchi del regno, che da allora è diventato l’unico Stato aristocratico-artistico del mondo».

• «“Addormentatevi in Francia e risvegliatevi in Svizzera!”. Questo slogan, a lungo utilizzato dai proprietari dell’hotel Arbez, riassume perfettamente la schizofrenia dell’edificio, situato a cavallo del confine tra i due paesi. Ovviamente, il posto è molto particolare: in alcune camere la frontiera passa in mezzo al letto, nella hall solo i primi quattro gradini della scala che porta al primo piano sono in Francia, nella sala ristorante c’è una tavola che offre ai commensali la possibilità di cenare ognuno in un paese diverso... e poi, è chiaro, il bancone a doppia nazionalità permette agli habitué del bar di entrambe le nazioni di scambiarsi quattro chiacchiere sulla vita politica di un dipartimento francese o di un cantone svizzero. E non dovete pagare nessuna tassa se a tavola passate il sale al vostro vicino e nessun doganiere vi chiederà il passaporto se volete andare a fare la corte a colui o colei che sta dall’altra parte del letto. Al contrario, nell’Hotel franco-suisse (è questo il suo nome dal lato svizzero), la circolazione delle cose e delle persone è libera grazie alla tolleranza delle amministrazioni dei due paesi, obbligate a mollare la presa di fronte a una situazione tanto complicata».

• «La leggenda narra che fu il politico francese Edgar Faure a dare il nome di “Arbezia”, in omaggio al proprietario dell’epoca, Max Arbez, e anche, per una coincidenza allitterativa, alla “bizzarria” del luogo. Ora che c’era un nome, era forte la tentazione di andare più lontano... e nel cuore degli anni Cinquanta Max Arbez ha reso l’Arbezia un territorio indipendente, “simbolo di un mondo in cammino verso la sua unità”. Così è nato il principato di Arbezia. Si tratta di mille metri quadrati di terra del Giura su cui si trova un hotel-ristorante con i suoi edifici annessi, ed è un vero e proprio sberleffo alla nozione di confine e alle cosiddette “amministrazioni traumatizzate”. “Traumatizzate” perché i tentativi di regolarizzare la situazione di questo edificio, costruito ben prima della creazione del principato, sono stati numerosi e non hanno mai portato a nulla».