Pierangelo Molinaro, La Gazzetta dello Sport 27/1/2015, 27 gennaio 2015
RAZZOLI: «GRAZIE ALL’INFORTUNIO MI DIVERTO DI PIU’»
I mali non sempre vengono per nuocere. È la sensazione che prova Giuliano Razzoli, tornato ai piedi del podio con i quarti posti ad Adelboden e Kitzbuehel dopo quattro stagioni al buio. Il suo «male» è un’infiammazione al tendine rotuleo sotto il ginocchio destro che questa estate lo ha costretto a fermarsi per tre mesi. Una situazione disperata per un’atleta che vede gli altri lavorare e sa che ogni giorno perde strada, che quella strada la dovrà recuperare chissà come e non è detto che ci riesca. «Quando sono tornato sugli sci — racconta — ho avuto sensazioni nuove. Già alle prime curve mi sono accorto che il mio assetto era più composto, la sciata più sicura. Lo sci è duro e stagione dopo stagione accumuli stanchezza. Forse il mio organismo aveva bisogno di quella sosta». E i risultati sono arrivati. Dopo il piazzamento di domenica a Kitz Giuliano è al 17° posto della lista di merito. Ancora un bel risultato questa sera a Schladming e il 15 febbraio nello slalom mondiale partirà nel primo gruppo, aumentando le sue chance.
Che effetto fa tornare in Paradiso?
«Se lo chiamano Paradiso è perché è il posto più bello in assoluto. Dove sciare ti diverti, dove riprendi a sognare, dove fai progetti».
Cosa ha ritrovato dal punto di vista tecnico?
«L’appoggio deciso a inizio curva, quello che mi permette di uscire in velocità. Merito della fiducia che ho nei materiali, ma penso anche dell’assetto che ho sugli sci».
La scorsa stagione lei pareva anche un po’ lento, in difficoltà quando si trattava di recuperare una situazione imprevista.
«Forse dall’esterno c’era questa sensazione, ma il problema era un altro. Quando sugli sci hai la posizione giusta minimizzi i movimenti. Quando questa posizione non c’è, ogni gesto è più accentuato e quindi ti serve più tempo per eseguirlo. Non era lentezza, dovevo fare una strada più lunga».
Lei ha visto il baratro da vicino. Che colore ha?
«Non è facile quando le cose non girano. Prendiamo il primo slalom della stagione a Levi. Non ero ancora pronto dopo la sosta estiva, partivo con il numero 27, se non mi fossi classificato sarei precipitato al 65 e oltre. Ecco il baratro. Risalire poi è sempre difficilissimo, non hai tempo di trovare la migliore condizione e quindi ti arrabatti».
Cosa significa dover arrivare per forza al traguardo per non compromettere il numero di partenza?
«E come aver davanti una bella donna che ti cerca e tu non la puoi toccare. Non ti diverti quando sei costretto a sciare così, ma sei obbligato dalle circostanze».
Adesso si diverte?
«Sì e molto, perché scio come vorrei sciare».
Qual è stato il momento più difficile del dopo Vancouver?
«Premetto, quell’oro non mi ha montato la testa, anche se la vita cambia e gli impegni aumentano. Il più brutto è stato il 2012. Quando a pochi giorni dall’inizio della stagione in allenamento a Madesimo mi infortunai a una spalla. Feci il terzo posto in Badia, ma nelle gare successive, anche per la neve molle che ci perseguitava, non andavo avanti. Sì, sono precipitato, ma sapevo di avere i mezzi per risalire la china».
Dove è iniziata la riscossa?
«Nella seconda manche di Madonna di Campiglio, quando mi sono detto: prova a spingere davvero. Spingevo e andavo. Ho riprovato a Zagabria, ma sono uscito a poche porte dal traguardo mentre avevo un gran tempo. E lì è davvero tornata la voglia. Ricordo Adelboden: ho fatto riscaldamento con la mantella sotto la pioggia battente, ma non vedevo l’ora di gareggiare».
Questo Razzoli è uguale a quello che vinse l’oro di Vancouver?
«No. Forse sono meno scorrevole sui piani, ma decisamente più completo».