Francesco Bei, la Repubblica 26/1/2015, 26 gennaio 2015
IL PD CERCA L’UNITÀ. E BERLUSCONI PROVA A STOPPARE MATTARELLA
ROMA .
È il giorno dell’unità del Pd, almeno sulla carta. Il mantra dell’unità a ogni costo sarà ripetuto da Renzi e dalla stessa minoranza nell’assemblea dei deputati e senatori dem, primo atto della liturgia immaginata al Nazareno per arrivare a un «nome condiviso». Solo Pippo Civati continua a sparare sul quartier generale, mentre persino Stefano Fassina, oltre a Cuperlo, Boccia e i bersaniani di ogni rito sono ben attenti a non fornire al premier alcun alibi per additarli come responsabili di una rottura.
Ai gruppi, spiega una fonte vicina al segretario, Renzi confermerà che «si parte dal Pd», ma sfiderà la minoranza a non giocare allo sfascio: «Tutto il partito — ripete il premier — deve essere consapevole della responsabilità enorme che abbiamo di fronte ». In attesa di giovedì, quando finalmente sarà alzato il velo sul candidato vero, districarsi tra le veline interessate e i polveroni sollevati ad arte, è diventato un esercizio a cui si sottopongono con fatica gli stessi candidati. In questo gigantesco gioco di società, ieri un primo tassello sembra essere stato sistemato. Sergio Mattarella, il candidato dal basso profilo, il più istituzionale e discreto, con un curriculum inappuntabile, sembra sia stato fatto fuori da Berlusconi. I segnali che da Arcore sono stati fatti arrivare a palazzo Chigi, tramite i consueti ufficiali di collegamento, hanno spazzato via la candidatura del giudice costituzionale. Non è dato sapere se l’ex Cavaliere si sia così voluto vendicare, a 25 anni di distanza, di quel torto che l’ex ministro della sinistra Dc gli fece dimettendosi per ostacolare la fiducia sulla legge Mammì. Ma quel che è certo è che a Renzi è arrivato in queste ore un no secco sul suo nome da parte di Forza Italia. A dispetto della vulgata che vorrebbe Berlusconi come mero spettatore passivo della partita quirinalizia. In ogni caso non è nemmeno detto che il veto del leader forzista basti a bloccare a Mattarella la sua corsa verso il Colle. Perché, come ha ripetuto anche ieri Renzi ai suoi, «Berlusconi è soltanto una delle parti in causa, non è il dominus della scena». Un segnale che dal Nazareno ci tengono a far filtrare all’esterno per spuntare le unghie a quanti insistono nella descrizione di un premier «succube del patto del Nazareno».
Invece, come spesso gli capita, Renzi è pronto a cambiare gioco all’improvviso, accendendo il suo secondo forno dopo aver alimentato a lungo quello berlusconiano. E la sinistra dem diventa da oggi l’interlocutrice privilegiata. In nome dell’unità del partito. Forse anche per questo tornano a circolare con insistenza i nomi di alcuni esponenti democratici, nella consapevolezza che solo pescando dal mazzo uno di questi il premier riuscirà nell’impresa disperata di tenere unito il suo partito. E dunque, oltre a Veltroni, tra i renziani si riparla della coppia piemontese: Piero Fassino e Sergio Chiamparino, con il sindaco di Torino in prima fila. Mentre dai bersaniani esce la terna Veltroni, Finocchiaro, Fassino. «Io — spiega Cesare Damiano — elenco tre criteri che so essere condivisi dalla maggioranza dei nostri: primo, deve essere un politico e non un tecnico. Secondo, deve essere uno del Pd. Terzo, deve essere qualcuno o qualcuna condiviso tra di noi». A un amico Pierluigi Bersani ha confidato comunque che resterà fermo finché Renzi non farà la prima mossa: «Il nome lo deve fare lui. Se pensa che gli proponiamo Amato o un altro per farglielo bruciare si sbaglia».
Da ieri poi — nonostante la freddezza del centrodestra per i ministri del governo in carica e l’allergia della sinistra dem per i tecnici — è tornato a circolare il nome di Pier Carlo Padoan. Un riflesso delle elezioni in Grecia, che possono terremotare i mercati e l’euro. Per cui al Quirinale servirebbe un garante degli investitori internazionali piuttosto che delle correnti democratiche.
Nel risiko del Colle stanno poi tornando timidamente ad affacciarsi anche i grillini, spiazzati dalla linea di chiusura totale imposta dalla coppia Grillo-Casaleggio. Non è un caso che sia proprio Luigi Di Maio, il più “politico” del direttorio pentastellato a illustrare la nuova proposta del Movimento. «Chiediamo i nomi al Pd. Loro fanno quattro nomi e quello più votato dalla rete noi lo voteremo già al primo scrutinio », ha dichiarato al Tg1 il vicepresidente della Camera. Questo «chiedere i nomi al Pd» anziché a Renzi nasconde il tentativo di invogliare la minoranza dem a giocare in proprio, concordando una rosa da offrire al voto del Web. E se nel quartetto ci fosse il nome di Prodi? Il rischio che venga candidato fin dal primo scrutinio è forte, specialmente se il premier insisterà nella scelta di far votare scheda bianca ai suoi 450 grandi elettori. A quel punto il Professore potrebbe crescere di scrutinio in scrutinio, fino a imporsi sul candidato ufficiale del Nazareno. L’antidoto a queste manovre? Bruno Tabacci ipotizza che Renzi lo abbia già previsto: «Se si accorge che Prodi ha una qualche possibilità di passare, Renzi fa la mossa del cavallo. Molla gli altri candidati e lo sostiene lui fin da subito».
Francesco Bei, la Repubblica 26/1/2015