Dario Di Vico, CorriereEconomia 26/1/2015, 26 gennaio 2015
IL SILENZIOSO SUCCESSO DELLA FARMACEUTICA ITALIANA
La farmaceutica italiana viene da anni straordinari nei quali, senza che nessuno lo avesse previsto fino in fondo, sono avvenute almeno tre cose importanti. La prima: le multinazionali hanno scelto di investire sull’Italia e di considerare i nostri stabilimenti come approdo degli aumenti di produzione decisi a livello-mondo.
La seconda: le principali aziende italiane, molte di cui a proprietà familiare, sono cresciute significativamente all’estero.
La terza: oltre il 70% della produzione complessiva si è diretta all’estero e l’Italia è stato il Paese al mondo che negli ultimi anni ha fatto registrare la maggiore crescita delle esportazioni.
Sembra incredibile ma negli anni della Grande Crisi è nato una sorta di made in Italy farmaceutico che ha avuto i suoi punti di forza nella competizione tra stranieri e italiani, nelle risorse umane, nella qualità dell’indotto e nelle fabbriche capaci di standard molto elevati di sicurezza. Il tasso di utilizzo degli impianti in questi ultimi 5 anni (di recessione) è cresciuto dal 70 al 78%. La distribuzione sul territorio nazionale di queste insediamenti produttivi è singolare e differente da quella dei settori trainanti del made in Italy, infatti Milano vince per numero di addetti ma non per valore delle esportazioni dove primeggia Latina e possono vantare una presenza rilevante province come Frosinone e Ascoli Piceno.
Se questo è in estrema sintesi il posizionamento territoriale e competitivo della farmaceutica non bisogna commettere l’errore di dormire sugli allori ed è questo che sostiene uno studio sulle prospettive del settore redatto da Bain Company su mandato di Farmindustria. Il vero titolo potrebbe essere: «Niente è per sempre». È vero infatti che alcuni processi virtuosi sono destinati a far sentire i loro effetti benefici anche nei prossimi anni, a cominciare dalla nostra capacità di gestire produzioni complesse grazie a una filiera di fornitura versata anche nella realizzazione di piccoli lotti.
Aggiungiamo che i recenti investimenti negli stabilimenti italiani da parte delle multinazionali devono ancora produrre ritorni e quindi non è contemplata/prevista per ora la possibilità di spostarle altrove prematuramente. E infine va segnalato come nei prodotti innovativi, come le biotecnologie, l’Italia sia pienamente in campo. Un esempio per tutti il distretto emiliano di Mirandola che nemmeno il terremoto è riuscito a stroncare.
Ma quali sono i fattori che invece possono pregiudicare i successi fin qui raggiunti? In primo luogo c’è la bassa attrattività del mercato domestico: la spesa farmaceutica sul Pil è già più bassa da noi che nei grandi Paesi europei e sarà condizionata dalle politiche di spending review e dalla necessità delle Regioni di operare tagli al loro bilancio. Non è tutto.
Il portafoglio delle produzioni in Italia è sbilanciato sui segmenti a minore crescita (i farmaci a brevetto scaduto) e non è affatto detto che le aziende farmaceutiche italiane che hanno investito all’estero (anche tramite acquisizioni) riescano a farlo nei prossimi anni con la stessa continuità. In definitiva, secondo gli analisti di Bain Company, il pharma made in Italy potrebbe avere fatto una volta per tutte il pieno dei fattori di successo e non è automatico che possa giovarsi di un secondo round altrettanto fortunato. Per scongiurare un’ipotesi «conservatrice» di mera gestione dell’esistente è necessario cogliere le nuove opportunità. La competitività sul mercato sarà determinato nei prossimi 10-15 anni dalla capacità di conquistare prodotti e tecnologie attualmente in fase embrionale di sviluppo e che andranno sul mercato nel prossimo futuro. Bisognerà esserci sia continuando ad avere la capacità di attrarre nuove produzioni da parte delle multinazionali sia sviluppando le produzioni più innovative. Tutto sommato, non è un compito fuori dalla nostra portata.