Ilaria Sacchettoni, Corriere della Sera - Roma 25/1/2015, 25 gennaio 2015
«COSÌ MAFIA CAPITALE CORROMPEVA I POLITICI»
Nel 2013 la finanza valutava che la corruzione fosse costata 2 miliardi e 22 milioni di euro alle casse dello Stato. E quanti erano allora gli imprenditori che si presentavano negli uffici della procura di Roma per denunciare singoli episodi? Oggi lo sappiamo: erano dieci.
La situazione è cambiata per il primo semestre 2014? Non sembra: «Le iscrizioni per il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità (secondo la definizione della legge Severino, ndr) sono state quattro» come si legge nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Mentre le intercettazioni del Ros ricostruivano l’infiltrazione nelle istituzioni di Mafia Capitale (sfociata nei 37 arresti di dicembre) che incideva sul mercato della libera concorrenza, le presunte vittime, fuori, non trovavano spinta a denunciare. Scoraggiati forse, come si legge nella relazione della Procura generale della Repubblica, dal comma 2 di quella legge che, sanzionando anche chi da o promette utilità «intuitivamente non incoraggia certo alla presentazione di eventuali denunce». Solo le denunce per reati di usura e intimidazione sono in numero inferiore.
Così, nell’esprimere apprezzamento per l’operazione di «Mafia Capitale», il procuratore generale Antonio Marini sottolinea: «La corruzione resta sostanzialmente impunita» e cita la prescrizione tra i maggiori ostacoli della lotta a questo tipo di reato.
Resta una sorta di predilezione delle mafie per una città (Roma) in cui «l’allarme sociale tipico di altre realtà territoriali» è contenuto e a criminalità locale non appare fortemente radicata. «Nel Lazio e soprattutto a Roma le organizzazioni mafiose non operano secondo tradizionali metodologie, non realizzano comportamenti manifestamente violenti e non mirano a sopraffarsi».
E’ il meccanismo della pax mafiosa che riguarda i gruppi criminali romani , inclusi i narcotrafficanti: «C’è un patto esplicito per evitare che questi contrasti degenerino in atti criminali eclatanti che rischierebbero di attirare l’attenzione degli inquirenti e dei media». Per il procuratore generale Marini i clan hanno anche ormai infiltrato la tifoseria e inquinato il calcio.
Impoverita dalla crisi, Roma vede svettare i reati di usura da 162 in tutto nel 2013 a 251 solo nel primo semestre 2014.
E suppergiù raddoppiare i fenomeni di prostituzione minorile con «un incremento di notizie di reato del 442%», forse il fenomeno criminale più lievitato rispetto al passato. Non è una città per i più deboli del resto: i reati di adescamento di minori sono aumentati del 235,7% e quelli di circonvenzione d’incapace (di cui si è parlato solo per la vicenda di Aurelia Sordi) sono altrettanto in aumento, passati da 184 del 2012 a 233 del 2013.
Il lato «apprezzabile» della crisi? L’abbattimento del numero di abusi edilizi: «Si registra una diminuzione delle iscrizioni probabilmente dovuta alla crisi economica e a una più accentuata tassazione dei beni immobili che scoraggiano l’investimento sul mattone, anche contra legem ». Un altro esempio di un legislatore che non sempre incoraggia la prevenzione dei reati viene da tutt’altro terreno, meno grave, forse, ma decisivo per la qualità della vita. L’inquinamento acustico. A fronte di «numerose segnalazioni di reati ambientali con riferimento alle numerose discoteche sorte nel litorale di Ostia lascia perplessi la scelta del legislatore di depenalizzare il reato» impedendo di fatto anche eventuali sequestri.