Vanni Santoni, Corriere della Sera - La Lettura 25/1/2015, 25 gennaio 2015
«NOI ARGENTINI SIAMO PRIMI SOPRATTUTTO NELLA ROVINA »
Ci ha impiegato tre romanzi, lo scrittore porteño Alan Pauls, amato da Bolaño e ormai istituzione in patria, per raccontare il suo Paese. Una trilogia a ogni effetto: da Storia del pianto, uscito per Fazi nel 2009, a Storia dei capelli (Sur, 2012) fino all’ultimo, Storia del denaro, da poco uscito per la stessa Sur. E tra tutte le incarnazioni dell’Argentina, ha scelto quella degli anni Settanta: della prima metà di quel decennio, poiché, come spiega lo stesso Pauls, «l’Argentina del dopo-golpe, quella degli anni successivi al ’76, è già stata molto raccontata, al punto che quella subito precedente, l’Argentina dei grandi sogni utopici, delle frenesie e della fiducia nel futuro, è come scomparsa dai radar. L’obiettivo che mi sono dato è dunque quello di gettarvi una luce; trovo inoltre che sia eccellente anche come filtro per parlare dell’Argentina, e del mondo, di oggi».
Storia del denaro è un romanzo dove i soldi sono sempre al centro della scena: «In Argentina — racconta lo scrittore a “la Lettura” — siamo ossessionati dal denaro, si parla continuamente di denaro. Lo si sfoggia: sì, sfoggiare è la parola giusta, perché per noi argentini l’unico denaro “vero” è sempre e solo quello contante, le banconote, magari da organizzare in un rotolo con i tagli più piccoli dentro e quelli più grandi fuori. Ci si chiede, a ogni crisi, chi se lo possa esser preso. È una relazione che non esito a definire erotica, anzi pornografica».
«Proprio da questo sono partito: è interessante il modo in cui i soldi, per chiunque ma in particolare per un argentino, sono allo stesso tempo eccitanti e volgari. Esiste una vera pornografia dei soldi. Una volta, quando ero negli Stati Uniti per un corso a Princeton, mi trovai a versare in denaro contante l’anticipo dell’affitto, sia perché al mio Paese ero abituato così, sia perché non avevo un conto in una banca americana. Quando tirai fuori di tasca e buttai sul tavolo quei duemila e più dollari ci fu una reazione di grande imbarazzo, al punto che il giorno dopo mi chiesero addirittura di venire a riprendermeli. Erano osceni».
«E tuttavia — continua Pauls — questa cosa oscena innerva le nostre vite, muove i Paesi e il mondo, tiene assieme o sfascia le famiglie. Ho voluto seguire proprio questa linea nel lavoro su Storia del denaro : scrivere un romanzo pornografico dove però al posto del sesso ci fossero i soldi, e usare questa specie di pornografia economica come filtro unico per raccontare l’Argentina. Un Paese, peraltro, bravissimo a perderli, i soldi. Quando mi chiedono quale sia il collegamento simbolico con gli altri due romanzi, Storia del pianto e Storia dei capelli , rispondo sempre che il denaro, come le lacrime e i capelli, si può sfoggiare, si può falsificare, e soprattutto si può perdere. La perdita in particolare mi interessa, dato che è un elemento rilevante, anche al di là dei soldi, della cultura e dello spirito del mio Paese. In Storia del denaro i soldi, mostrati, guadagnati, vinti, ma soprattutto perduti, sono sempre al centro della scena, ben visibili, quasi in ogni pagina».
Nel romanzo però la carta moneta, specialmente quando la sfoggia il padre del protagonista, è anche potere, forza, quasi una sorta di energia spirituale. «I soldi per noi argentini hanno anche questa caratteristica. A volte sembrano quasi magici, una specie di impalpabile e fluido potere. Basta pensare al gioco d’azzardo, o anche, oggi, alla finanza. Lì vi è un continuo processo di generazione e distruzione del denaro, un flusso dai tratti assolutamente magici. Allo stesso modo è magico il potere di conversione del denaro, la forza annichilente di questa convenzione. Quella stessa cosa che può nascere dal nulla, o nel nulla scomparire in un attimo, allo stesso modo è sempre pronta a convertirsi in oggetti, servizi, corpi umani. Da un certo punto di vista è la cosa più ovvia del mondo, ma per un occhio argentino questo fatto assume subito una luce metafisica. Del resto non è forse metafisico il modo in cui si parla di economia sui giornali? La crisi, la ripresa, sono ormai concetti astratti, di cui tutti parlano ma che nessuno sa analizzare o controllare veramente. Di chi è la colpa delle cicliche crisi del mio Paese? Impossibile dirlo. E così, come tutti i fatti astratti, i soldi tendono a farsi simbolo». Come in un culto.
«Ai soldi devi crederci. Direi che, più che un culto, è una pura fede, devi credere nel loro valore e trovare negli altri la stessa fiducia, o smetterebbero di funzionare. Credo che sia per questo che in Argentina si continua a credere solo nel contante: la cultura argentina è molto priva di fiducia, averne addirittura nel denaro astratto sarebbe troppo. La grande domanda della nazione oggi infatti è: “Dove sono finiti i soldi?”. I nostri, quelli della nazione, quelli dei lavoratori. E tuttavia non credo che l’Argentina sia, come dicono molti, un’anomalia. Esiste, per uno scrittore argentino, la tentazione di pensare di essere espressione di una clamorosa eccezione negativa. Io credo che siamo una nazione disastrosa, ma come altre. Anche la Spagna o l’Italia hanno dimostrato di saper essere disastrose, o sbaglio?».
«Per molto tempo i Paesi latinoamericani, e l’Argentina in particolare, sono stati considerati delle specie di pecore nere della razionalità economica, ma credo che quello che la storia ha dimostrato è solo che erano modelli di ciò che la finanza e il liberismo avrebbero fatto a tutti. Ora sappiamo che qualunque nazione può oggi essere trascinata in uno stato di crisi, quindi l’Argentina più che un caso unico era un’avanguardia della crisi».
«Una nostra effettiva specificità — continua Pauls dopo aver ponderato per qualche secondo — è magari il fatto che a causa di ciò abbiamo una profonda e sviluppata cultura della crisi, dato che ci confrontiamo con essa ormai da molto tempo. Durante la crisi spagnola, molti da là guardavano a noi per capire come cavarsela. Non che sia una gran consolazione: siamo abituati a sopportare le storture del “turbocapitalismo”, ma non godiamo mai dei suoi vantaggi. A pensarci, è una tragedia, anche se letterariamente ha il suo fascino: è una situazione bizzarra, quasi artistica se vogliamo, stare a guardare un fenomeno su cui non sembra esserci ormai alcuna possibilità d’azione politica, rimanendo costantemente impegnati a prepararci a un futuro che non arriva mai se non sotto forma di ulteriori crisi. Forse l’Argentina in realtà è un Paese avanzatissimo, un luogo dove tutto avviene prima, anzitutto la rovina».