Gabriella Saba, Corriere della Sera - La Lettura 25/1/2015, 25 gennaio 2015
AMERICA DEL SUD IL CONTINENTE CAMMINA SULLE ACQUE
Al grido di «el futuro es el rio!» l’ex deputato e attuale consigliere della città argentina di Rosario, Carlos Comi, ha inaugurato, nel novembre scorso, il viaggio pilota in lancia tra le cittadine di Puerto San Martín e Villa Constitución. E cioè la navigazione di quel tratto del fiume Paraná che rappresenterà, se approvato, il primo passo del progetto su cui da qualche anno insiste il politico: una rete di trasporti fluviali che non solo colleghi Rosario ad altri centri affacciati sul fiume, ma affianchi bus e tram nel trasporto cittadino. «Il fiume — ha dichiarato Comi — è una via rapida, naturale, che risolverebbe in parte il problema del trasporto urbano. Bisogna che Municipalità, Provincia e Nazione lavorino insieme affinché le comunicazioni fluviali diventino come quelle ferroviarie».
Si cambia. Per i lettori di García Márquez e dei diari di navigazione di Ottocento e Novecento sui viaggi nel Paraná e Rio delle Amazzoni, São Francisco e Paraguay, i viaggi fluviali sono avventure immensamente emozionanti ma legate a un passato che si è chiuso a metà del secolo scorso, quando aerei e strade hanno soppiantato gli scenografici battelli a vapore. Ed ecco che a poco a poco i fiumi riemergono dalle cartoline d’epoca. Tornano di moda, tornano utili. Colpa del deprecabile stato delle strade sudamericane, che in molti casi vengono lasciate a metà o sono pericolose e accidentate, mal tenute, piene di insidie per i conducenti dei pullman che spesso le percorrono, per un’antica abitudine, a rotta di collo. Sta di fatto che i collegamenti nelle regioni più sperdute sono carenti, per non parlare dei raccordi con le infrastrutture, il punto debole di gran parte del Subcontinente.
Sventrare foreste per costruire strade è una disgrazia per l’ambiente e si rivela antieconomico rispetto alla relativa gratuità delle «autostrade d’acqua» che non contaminano né richiedono deforestazione o l’impiego di terre pubbliche. Insomma, i vantaggi delle idrovie si stanno imponendo, ed è per questo che vari Paesi stanno cominciando, uno dopo l’altro, a implementare progetti per rilanciarle
Vedi il Brasile. Che dal 2001 conta su una Agência Nacional de Transportes Aquaviários (Antaq) che regola e monitora lo stato dei fiumi navigabili (13 mila chilometri in tutto il Paese) e gestisce 59 delle 300 linee fluviali complessive, per il resto di competenza dei vari Stati. Da quando è nata, l’Agenzia insiste sulla necessità di migliorare i terminal, il cui stato è in molti casi poco più che rudimentale: circa il 50% non dispone di telefoni pubblici, soltanto il 10% conta sulla presenza di poliziotti (carenza non da poco in luoghi spesso a rischio) e in più del 90% manca il sistema di altoparlanti. Secondo il direttore dell’Antaq, Adalberto Tokarski, dato che i fiumi attraversano diversi Paesi, la vera conquista sarebbe però istituzionalizzare le idrovie e arrivare a un’«internazionalizzazione dei comportamenti».
Il primo progetto in embrione di trasporto fluviale integrato è stata l’Hidrovía Paraguay-Paraná (3.400 chilometri) che alla fine degli anni Ottanta ha cercato di rilanciare la navigazione tra Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay e Uruguay, salvo scontrarsi con il non placet delle commissioni di sostenibilità ambientale, dato che avrebbe richiesto il drenaggio di una parte dell’importante parco brasiliano del Pantanal. Alcune iniziative del progetto sono state portate avanti comunque e il monumentale piano, benché fermo sulla carta, arranca tra proteste e intoppi.
Non tutto è semplice, infatti, nell’apparente sostenibilità delle vie di fiume. Alcune sono navigabili a condizione di modificarne il corso oppure richiedono interventi invasivi che minerebbero l’integrità dell’ecosistema o degli stessi ribereños, le comunità rivierasche. «Il segreto — ha spiegato Marc Dourojeanni, professore emerito presso l’Università Agraria di La Molina a Lima — è adattare la navigazione al fiume e non quest’ultimo alla navigazione. Nel caso del Rio delle Amazzoni, per esempio, il problema sarebbe quello di “raddrizzare” i meandri del fiume per accorciare le distanze. Se si facesse, però, l’impatto ambientale sarebbe enorme».
Benché la sfida non sia facile, ad accettarla sono già parecchi. Il governo colombiano prevede per il 2019 la conversione del Rio Magdalena nell’idrovia più importante del Paese. Dalla Cordigliera Centrale delle Ande dove nasce, a 3.865 metri, il fiume percorre 1.738 chilometri prima di sfociare nel Mar dei Caraibi. L’idea di farne un’«autostrada fluviale» ha attirato imprese come Impala, gigante svizzero nella logistica multimodale, che investirà nel Magdalena un miliardo di dollari e metterà in campo una flotta di 150 chiatte e 23 rimorchiatori in linea con gli standard di sicurezza e sostenibilità. L’apertura del fiume genera lavoro e porta turismo e benessere alle comunità, tuttavia il fronte ambientalista teme venga sfigurata la bellezza dei paesini sulla riva con le chiese coloniali e le case bianche. Già in L’amore ai tempi del colera García Márquez raccontava, attraverso i due viaggi in battello compiuti dal protagonista del romanzo Florentino Ariza a più di cinquant’anni di distanza, la tragica trasformazione del fiume: quel rio che era morto quando i caimani che affollavano le sponde nel suo primo viaggio, fermi al sole e con le fauci aperte, avevano divorato l’ultima farfalla.
Il Magdalena non è il solo fiume colombiano su cui si appuntano le aspettative del governo: nel Sinú, 415 chilometri dall’Antioquia al Caribe, centinaia di chiatte si limitano per ora a trasportare i passeggeri da una riva all’altra, ma si parla di trasformare il fiume, terzo del Paese per lunghezza, in una via di collegamento altrettanto importante di quando era il cuore del commercio tra Montería e Córdoba. Tant’è che il sindaco di questa città ha presentato il progetto ai potenziali investitori cinesi al vertice commerciale Cina-America Latina che si è svolto nel settembre scorso a Changsha.
Ancora più ambiziosa è l’Hidrovía Amazónica, obiettivo di lungo termine del Perù. Interessa 2.687 chilometri dei fiumi amazzonici Huallaga, Marañón, Ucayali e Rio delle Amazzoni e ne è stata appena lanciata la gara d’appalto: più del 90% di passaggeri e merci si muovono per l’Amazzonia peruviana via fiume, e la durata del percorso verrebbe notevolmente accorciata (fino a un giorno in meno su viaggi di tre) se si realizzasse il progetto che prevede, tra l’altro, l’uso di draghe per rimuovere i banchi di sabbia. Secondo l’agenzia di promozione per gli investimenti privati Proinversión, l’opera farebbe salire il Pil peruviano di un punto percentuale, mentre l’investimento iniziale sarebbe di 64 milioni di dollari.
Anche nel Rio São Francisco, che corre nel nord del Brasile per 2.830 chilometri di cui 1.300 navigabili, un consorzio (con Banca Mondiale e Compañía de Desarrollo del Valle del São Francisco y Parnaíba) stanno avanzando nel progetto che sfrutti il potenziale del fiume, per ora poco utilizzato nei trasporti delle merci: solo lo 0,7% dei prodotti agricoli dello Stato di Bahia sono transitati dal fiume nel 2010-2011. Il ricorso a quest’ultimo è diventato quasi una necessità, visto che il 63% delle strade del Nord sono in cattive o pessime condizioni, secondo uno studio della Confederación Nacional de Transporte, e che in un incidente su tre è coinvolto un veicolo da carico. Il São Francisco è un fiume spettacolare che passa dalle distese lussureggianti del Bahia alle aride terre del Sertao prima di buttarsi nella foce atlantica di Piaçabuçu, tra poche palme e spianate di sabbia.