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 2015  gennaio 25 Domenica calendario

IL ROBOT ARTISTICO COMPRA DROGA

Un paio di jeans Diesel, una lattina di Sprite, un paio di Nike modello «Yeezy II»: sono alcuni degli oggetti acquistati da un bot — un software — che ogni settimana riceve 100 dollari in Bitcoin (la valuta tutta digitale adorata dagli hacker) ed è comandato a spenderli comprando oggetti a caso dal cosiddetto deep web , quella parte di Rete «invisibile» che sfugge ai motori di ricerca.
Il bot si chiama Random Darknet Shopper ed è stato creato dal collettivo artistico !Mediengruppe Bitnik, che opera tra Zurigo e Londra; ogni oggetto comprato dal software è finito a fare parte di un’esposizione artistica, The Darknet - From Memes to Onionland , appena conclusa alla galleria Kunst Halle Sankt Gallen, a San Gallo (Svizzera).
L’ennesimo esperimento con i bot e il deep web , verrebbe da dire: peccato che, a un certo punto, perso nella buia casualità degli acquisti, il bot abbia infranto la legge comprando dieci pillole di ecstasy, recapitate dentro una custodia per dvd.

Che fare quando un bot, del tutto inconsciamente, se così si può dire, commette un reato? È una domanda delicata, specie di questi tempi in cui droni militari bombardano Paesi a distanza e Google affina la tecnologia delle automobili che si guidano da sole: sopraffatta dal progresso tecnologico, la giurisdizione internazionale deve ancora trovare un modo per colmare i notevoli vuoti legislativi che si stanno creando come crateri nella nostra società.
I creatori del bot in questione, Carmen Weisskopf e Domagoj Smoljo, puntavano proprio a sottolineare il ruolo sempre più preponderante che algoritmi e software hanno nel nostro mondo, sfruttando la casualità a fini artistici.
Ma di chi è la colpa dell’acquisto illegale di droga online? È propio questo il punto: non è chiaro nemmeno alla polizia, che ha dovuto comunque intervenire in ottemperanza alle leggi vigenti, ottenendo un’ordinanza di chiusura del network utilizzato dagli artisti e chiudendolo effettivamente il giorno dopo la fine della mostra, cioè il 12 gennaio scorso, quando ha anche confiscato la droga. «Pare che lo scopo della confisca fosse quello di distruggere le pastiglie per impedire il coinvolgimento di terze parti» hanno spiegato Smoljo e Weisskopf sulla loro pagina Facebook.
Al momento non esiste una responsabilità penale delle macchine, come ha spiegato l’avvocato Andrea Bertolini a Massimo Sideri sulla «Lettura» del 21 dicembre. Bertolini si occupa di regolamentazione delle tecnologie robotiche per il gruppo europeo RoboLaw: il punto — ha argomentato — è «se si possa considerare il robot responsabile di qualcosa: ad oggi sicuramente la risposta dovrebbe essere no».
Lo stesso si può dire per il collettivo di artisti e la galleria Kunst Halle Sankt Gallen, dove è stata ospitata la mostra, che hanno certamente giocato sul filo del rasoio, ma hanno preso alcune precauzioni: per esempio hanno consultato uno studio legale e imposto un limite di 100 dollari al software, limite che avrebbe dovuto evitare acquisti simili.

Così non è stato, poiché l’abisso legislativo è davvero profondo, come aveva notato lo stesso Bertolini immaginando un incidente stradale tra un’auto tradizionale e una Google Car a guida robotica: «In tal caso dovremmo utilizzare la responsabilità per i prodotti difettosi introdotta dall’Europa con una direttiva del 1985», ovvero un anno dopo l’uscita del primo Mac. Un’era fa, tecnologicamente parlando.
Tanta incertezza si traduce in un dibattito legislativo confuso ma molto interessante. Lo studioso Ryan Calo dell’Università di Washington ha detto la sua sul sito della rivista «Forbes», concentrandosi sul concetto di casualità, che in alcuni casi potrebbe difendere gli artisti ma anche punirli se si dimostrasse che il loro comportamento è stato incauto. Si tratta comunque di considerazioni costrette a basarsi su normative vecchie e spesso non aggiornate. Per questo, ha scritto Calo, il problema non riguarda il singolo atto artistico, almeno per ora: «È sempre più chiaro che problemi del genere passeranno dall’essere ipotetici, poi materiale artistico e infine esperienza quotidiana di tutti. Mi domando quanto siamo pronti ad affrontarli».
A rendere il tutto ancora più ambiguo è la missione originale della mostra The Darknet - From Memes to Onionland , nata come un’indagine nell’affascinante mondo del deep web e dei mercati online che ci sono al suo interno, come The Silk Road . Spesso se ne è discusso tirando in ballo la presunta facilità con cui è possibile acquistare droga, armi e altra merce illegale (come materiale pedo-pornografico) rimanendo anonimi, mentre la coppia Weisskopf-Smoljo voleva andare oltre, ritrarre il web invisibile per quello che è veramente, evitando pregiudizi (da cui l’uso della casualità).
«L’arte — hanno spiegato — dovrebbe rispecchiare quel che succede nella realtà contemporanea. Noi volevamo trovare nuovi spazi per riflettere sulle merci messe in vendita» nel deep web , quindi «capire perché venivano vendute e in quale modo la società affronta questi luoghi di scambio».

Quello che hanno scoperto è un luogo relativamente affidabile per i clienti — tutti i 12 oggetti comprati dal bot sono arrivati, nessuna truffa o inganno — in cui, forse, le droghe hanno un ruolo marginale, vengono vendute e acquistate da una nicchia di pubblico che così facendo ritiene di rischiare meno in termini legali.
Stupisce piuttosto l’attenzione per l’abbigliamento, le scarpe e le stramberie legalmente borderline, come la copia di un passaporto ungherese che hanno ricevuto nel corso dell’esibizione. A metà tra mail art (corrente artistica che sfrutta la posta, anche elettronica, per creare arte) e la net art (corrente tutta digitale e basata su internet), l’opera era nata per raccontare questo famigerato deep web , con la speranza di riabilitarlo almeno in parte. Non è andata così: ci si è messo di mezzo l’incoscienza robotica e l’entropia di questi grandi mercati pirateschi, così ora tutti ricorderanno la mostra The Darknet - From Memes to Onionland per quelle dieci pasticche di droga recapitate un bel giorno in un museo svizzero.