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 2015  gennaio 25 Domenica calendario

QUANDO BLAIR SCRIVEVA: «CARO GHEDDAFI» GLI 007 INGLESI COINVOLTI NELLE TORTURE

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Una lettera imbarazzante. «Caro Muammar». «Dear Mu’ammar». Il 26 aprile 2007 Tony Blair, all’epoca primo ministro, su carta intestata «10 Downing Street» scrive a Gheddafi. «Spero che lei e la sua famiglia stiate bene». Fra i due c’è intesa.
Da almeno cinque anni, dal 2002, i servizi segreti britannici e i servizi segreti di Tripoli stanno collaborando per identificare, catturare e deportare a Tripoli gli oppositori del regime rifugiati all’estero. Londra ha interesse a coinvolgere la Libia nelle strategie antiterrorismo. La Libia di Gheddafi ha interesse a mettere in silenzio i dissidenti. Per cui le intelligence operano a braccetto, col via libera dei governi. È realpolitik, si dice. Ma puntellata da azioni odiose: rapimenti e torture.
Tony Blair è esplicito: «L’eccellente cooperazione dei vostri ufficiali con i colleghi britannici sono un omaggio alla solidità delle relazioni bilaterali. Sono determinato a sviluppare ulteriormente la partnership». Chiusura con inchino: «I migliori saluti, sempre vostro Tony Blair».
Le inconfessabili relazioni fra Blair e Gheddafi, fra gli 007 di Regno Unito e Libia, sono messe nero su bianco in centinaia di documenti abbandonati negli uffici governativi di Tripoli, nel settembre 2011, dopo la caduta del Colonnello. E il Guardian li pubblica chiedendo un’inchiesta perché risulta ormai «innegabile il coinvolgimento nelle torture» sia dell’MI5 sia dell’MI6, i due rami dell’intelligence di sua maestà. Nuovi imbarazzi per l’ex primo ministro laburista: i fatti risalgono ai tempi della sua lunga permanenza a Downing Street.
Salta fuori adesso, questo «tesoro», dagli atti del ricorso che sei cittadini libici, la vedova di un ex leader dell’opposizione a Gheddafi, e altri cinque cittadini britannici ma con origini libiche e somale hanno presentato all’Alta Corte di Londra, definendosi vittime di «maltrattamenti, detenzione illegale, esercizio arbitrario di pubblici poteri». Il governo avrebbe preferito chiudere la questione distribuendo risarcimenti fra i due e tre milioni di sterline. Ma la storia non si è chiusa. Anzi. I documenti, che erano finiti nelle mani di Human Rights Watch, sono stati allegati al dibattimento. E aprono, essendo autentici, un capitolo tutto da esplorare sulle deportazioni da Londra a Tripoli (fra il 2002 e il 2007), sulle torture e sulle responsabilità politiche di chi ha coperto le operazioni.
Dalle carte emergono diverse certezze. Che gli 007 dell’MI5 e dell’MI6 agirono con la controparte libica per identificare la rete estera della dissidenza. Che gli 007 libici furono addirittura chiamati «in territorio britannico» per intimidire gli oppositori ai quali era stato garantito asilo politico da Londra. Che l’intelligence britannica collaborò al rapimento di due leader anti Gheddafi e delle rispettive famiglie (comprese una bambina di 6 anni e una donna incinta) per trasferirli in Libia. Che furono eseguiti interrogatori sotto tortura. Che sia l’MI5 sia l’MI6, per conto dei libici, tennero sotto controllo 79 dissidenti, divenuti cittadini britannici, alcuni poi sequestrati e rispediti a Tripoli.
Il Guardian ne ha chiesto conto a Tony Blair. Che cosa sapeva? Il suo ufficio ha risposto così: «Tony Blair si è sempre opposto all’uso della tortura. La lotta al radicalismo islamico è una lotta di valori e agire contro quei valori — come con l’uso della tortura — è non solo sbagliato ma anche controproducente». Difficile che ciò basti a chiudere il caso.