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 2015  gennaio 25 Domenica calendario

MA IL RISPARMIO NON TROVA LA STRADA DELLE AZIENDE

Investitori pazienti cercansi. L’obiettivo è convincere le piccole e medie imprese ad aprire il capitale e a crescere con maggiore velocità in una fase in cui le priorità sono intercettare la ripresa e incrementare l’occupazione. Spiega Guido Corbetta, docente all’università Bocconi e gran conoscitore delle aziende familiari italiane: «Onestamente vedo ancora molte resistenze tra gli industriali. Tutte le ultime quotazioni in Borsa previste per il 2014 sono state fermate e il segnale che è arrivato nei territori non è stato certo incoraggiante. Per questo motivo per superare le diffidenze c’è bisogno di soggetti finanziari disposti ad entrare in minoranza e dotati di un orizzonte temporale coerente con quello dell’imprenditore». Di investitori pazienti Corbetta ne cita almeno due, il Fondo italiano di investimento e la Tamburi Investment Partners («ho visto come ha gestito l’ingresso in Guzzini») mentre si dice deluso dalle amnesie delle casse previdenziali che «all’inizio di presentavano come grandi sottoscrittori e poi di fatto si sono squagliate». E di sicuro dopo le scelte governative che hanno penalizzato fiscalmente i fondi pensione è difficile che almeno a breve possa aumentare il loro tasso di coraggio.
Non va dimenticato come dalla fine del 2012 sia partito l’esperimento dei minibond: finora sono state meno di 40 le imprese che vi hanno fatto ricorso eppure è stato stimato che fossero 8 mila quelle in possesso dei requisiti. Inoltre pare che una quota minima delle risorse raccolte venga destinata a veri progetti di sviluppo mentre la più parte serve di fatto per rifinanziare l’indebitamento preesistente. Hanno ragione, dunque, coloro che dicono che i soldi ci sono e quelli che mancano (alle imprese italiane) sono i progetti? Carlo Calenda, viceministro allo Sviluppo economico, è ottimista e lega le prospettive di patrimonializzazione delle aziende ai flussi di export. La sua previsione è che le vendite all’estero nel 2015 dovrebbero aumentare del 4%. «Ci sono 20 mila imprese italiane che esportano stabilmente e solo 4 mila si sono già aperte al contributo di capitali esterni. Potremmo cominciare da quelle che non lo hanno fatto e che proprio perché sono già insediate sui mercati esteri presentano prospettive di rendimento elevate». Calenda non si ferma qui e sostiene che dietro ci sono altre 70 mila imprese che esportano saltuariamente e che saranno messe in condizione di stabilizzare i loro flussi sui mercati esteri. E di conseguenza entrare più facilmente nell’ordine di idee di superare le diffidenze. Qualcosa del genere sta avvenendo con il progetto Elite, lanciato da Borsa italiana, che si muove in omaggio alla pedagogia finanziaria. Non si rivolge agli imprenditori di provincia in maniera perentoria («O ti quoti o niente») ma crea un percorso di accompagnamento.
Per Giovanni Tamburi «anche la Banca d’Italia tramite il direttore generale Salvatore Rossi ha detto che ci sono almeno 500 aziende quotabili» e quindi si può cominciare da lì. Per le aziende più piccole ci sono, per l’appunto, gli investitori pazienti. «Peccato però che le casse previdenziali siano culturalmente terrorizzate dall’acquistare equity delle imprese. Forse bisognerebbe prevedere un obbligo di legge che vincolasse in questa direzione almeno il 10% del loro portafoglio». Tamburi pensa che le aziende del lusso, del design, del mobile e della moda, abbiano nei cassetti buoni progetti e che sarebbero in grado di remunerare bene addirittura quel risparmio che oggi va dalle gestioni patrimoniali o dal private banking. E proprio l’osservazione di Tamburi ci porta a un quesito-chiave: siamo in grado davvero di disintermediare il credito bancario e di portare per altre vie il risparmio alle imprese? Oppure siamo solo capaci di dirlo nei convegni?