Nicola Crocetti, Il Giornale 25/1/2015, 25 gennaio 2015
SULLE ZANARE POLIZIANO ALLA CORTE
DELLE RIME –
Più logico amare le zanzare che gli umani.
Esse son nate, come Venere, da acque brulicanti,
sono le copie di Amore che si libra in aria
per pulsare d’ali e per quei loro brindisi di sangue.
Vaga volante canzone, la loro, a risvegliar le belle,
zanzare golose di spose addormentate,
zanzare che si tuffano sui seni, tra lenzuola,
che sondano la carne femminile a palmo a palmo,
carezzano le labbra, risucchiano splendori
di quei volti, degustano la lingua piano piano,
nottambule, invadenti, occhi penetranti.
/[Quale uomo
vanta segnacoli d’Amore come le zanzare?
(Traduzione di Ezio Savino)
Ebbe la fortuna di vivere in un’epoca in cui esistevano i mecenati, che non badavano tanto alle origini e al censo quanto al talento dei loro protégé. E di talento Agnolo Ambrogini, detto Poliziano (perché originario di Montepulciano, dov’era nato nel 1454), ne aveva da vendere. Rimasto orfano a dieci anni dopo l’uccisione del padre da parte di certi nemici, la madre lo manda, con pochi fiorini e molte speranze, a studiare a Firenze. Qui segue come uditore le lezioni di Marsilio Ficino, del Landino e dell’Argiròpulo nel celebre Studio fiorentino, dove si apprendono i classici greci e latini, Dante e Petrarca. Intelligenza acuta e precoce, trae grande profitto da tali maestri. A 16 anni, rimasto senza soldi, deve cercare protezione, ma è giovane e sconosciuto. Papa Niccolò V, l’umanista fondatore della Biblioteca Vaticana, aveva indetto una gara per la traduzione in latino dell’Iliade, rimasta però incompiuta. Il ragazzo vi si cimenta, e la sua versione mette a rumore il mondo letterario fiorentino. È definito l’«omerico giovinetto», e Lorenzo de’ Medici lo chiama alla sua corte platonica.
Il giovane Agnolo è ormai un principe della cultura: umanista, filologo, poeta, mette la propria dottrina al servizio del principe delle lettere. Precettore del figlio, ne illustra la casata con la Stanze per la giostra, un poema in ottave in cui trasfigura la realtà in chiave mitologica. Tiene dotte lezioni, traduce i classici, compone rime in volgare, ballate, elegie in latino ed epigrammi in greco, autentici cammei cesellati. Nel 1479, cacciato dalla moglie di Lorenzo, dopo un breve esilio a Mantova può tornare a Firenze, dove nel 1494 muore a 40 anni, stroncato da una febbre o dall’arsenico di un cortigiano.