Sergio Romano, Corriere della Sera 25/1/2015, 25 gennaio 2015
Il libro dello storico inglese Bernard Lewis «Le origini della rabbia musulmana. Millecinquecento anni di confronto tra Islam e Occidente» (ed
Il libro dello storico inglese Bernard Lewis «Le origini della rabbia musulmana. Millecinquecento anni di confronto tra Islam e Occidente» (ed. Mondadori) propone una visione unitaria della multiforme vicenda del mondo musulmano e dei suoi rapporti problematici con l’Occidente. Per quanto concerne i testi a noi pervenuti, l’autore lamenta la scarsa precisione delle traduzioni, per le quali occorreva conoscere allo stesso livello l’arabo e una lingua occidentale. Cosa che, secondo l’autore, sapevano fare molto bene i dragomanni, unici nella storia ad avere assicurato buone e fedeli traduzioni, molto utili per lo sviluppo di relazioni commerciali. Chi erano questi personaggi sconosciuti ai più? A quanto pare, sembra che fossero ben più che semplici interpreti. Teresiana Eliodeni terry420@hotmail.it Cara Signora , I l dragomanno è un interprete, personaggio indispensabile per i rapporti dei Paesi europei con un grande Stato, l’Impero Ottomano, dove la classe dirigente parlava turco e una larga parte dei sudditi parlava arabo: due lingue di cui gli Stati cristiani, con poche eccezioni, non coltivavano lo studio e la conoscenza. Per molto tempo la necessità di una traduzione fu favorita dall’esistenza nel Mediterraneo di una lingua franca, quasi sempre l’italiano, conosciuta più o meno bene da tutti coloro che avevano frequenti occasioni di viaggiare e commerciare fra le due sponde. Nel suo capitolo sui dragomanni (testo di una conferenza pronunciata alla British Academy nel maggio 1999) Lewis ricorda che l’italiano, come lingua d’intermediazione, venne usato fino agli inizi dell’Ottocento. Fu scritto in italiano, per esempio, il firmano con cui venne dato a Lord Elgin il diritto di trasportare in Inghilterra parecchi marmi del Partenone. E fu scritto in italiano il trattato fra Russia e Turchia di Küchük Kaynarja, firmato nel 1747. Al momento della firma esistevano quindi tre versioni (italiana, russa e turca), di cui la prima era quella riconosciuta da entrambi i Paesi come testo ufficiale. Sulla assoluta corrispondenza dei testi, soprattutto nel caso delle comunicazioni diplomatiche correnti, era lecito tuttavia avere qualche dubbio. I dragomanni erano spesso prigionieri di guerra convertiti all’Islam, ebrei, armeni, greci del Fanar (il quartiere dove risiede il Patriarca di Costantinopoli), tutti generalmente noti in Europa come «levantini». Vivevano in Turchia, dipendevano dalla benevolenza dei loro datori di lavoro ed erano poco inclini a pregiudicare la propria vita trasmettendo con le loro traduzioni messaggi irrispettosi e sgraditi. Accadeva così che il dragomanno addolcisse l’imperiale arroganza con cui il Sultano trattava, quanto meno a parole, i capi degli Stati europei, e cercasse di attenuare la durezza di certe risposte occidentali. Il declino dei dragomanni cominciò quando i governi occidentali preferirono affidare il compito della interpretazione a giovani funzionari che avevano appreso l’arabo o il turco nelle scuole di lingue orientali create in Europa fra l’Ottocento e il Novecento. In Italia, per il ministero degli Esteri, fu creato un ruolo degli interpreti e successivamente, con un Regio decreto del 1940, quello dei commissari tecnici per l’Oriente. Erano i dragomanni dello Stato italiano.