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 2015  gennaio 24 Sabato calendario

MULTICANDIDATURE, REGOLA PER «SALVARE» I PIÙ ELETTI

Le candidature plurime sono uno degli elementi problematici dell’Italicum. Sarebbe meglio che non ci fossero. Ma questo non è possibile. Purtroppo sono un male necessario. Infatti, il metodo scelto per la distribuzione dei seggi dal livello nazionale a quello locale (i collegi) introduce nel sistema un elemento di casualità che colpisce in particolare i piccoli partiti. Senza candidature plurime si condannerebbero i loro candidati ad una sorta di lotteria elettorale perché una quota dei loro seggi verrebbe assegnata casualmente. Per dirla in breve, può succedere che, all’interno dello stesso partito, sia eletto un candidato con meno voti di un altro. Potrebbe capitare a chiunque, anche ad Alfano, tanto per fare un esempio. Per evitare questo problema occorre dare ai candidati dei piccoli partiti più di una fiche (cioè una candidatura) da giocare al tavolo della roulette elettorale. D’altronde, come abbiamo scritto in altre occasioni , le candidature plurime presentano anche un vantaggio: inserite in un sistema con capilista bloccati e voto di preferenza possono aumentarne il grado di flessibilità ampliando il numero di candidati eletti con le preferenze.
Ciò non toglie che sono un problema. Un candidato che si presenta in più collegi e viene eletto in più di un collegio rappresenta un elemento distorsivo nel rapporto tra elettori e rappresentanti. Infatti, dopo il voto dovrà optare necessariamente per uno dei collegi in cui è stato eletto. Questa opzione post-elettorale ha due conseguenze negative. La prima è che gli elettori non hanno la certezza di chi sarà eletto nel loro collegio. La seconda è che l’opzione dei plurieletti mette nello loro mani il potere di decidere chi entra in parlamento. La prima conseguenza non è rimediabile perché è intrinseca alla natura della candidatura plurima. La seconda invece si può neutralizzare.
Prendiamo il caso di un capolista eletto in tre collegi (A, B e C) e supponiamo che il suo partito ottenga un seggio in tutti e tre i collegi. Così come è scritto l’Italicum, il nostro candidato può decidere in assoluta autonomia quale collegio rappresentare. Se sceglierà il collegio A penalizzerà il candidato del suo stesso partito che in quel collegio ha ottenuto più preferenze e che potrebbe quindi ottenere il seggio se il nostro capolista optasse per un altro collegio. Va da sé che lo stesso problema si presenterebbe nel caso che il capolista plurieletto scegliesse di rappresentare i collegi B o C. In questo caso sarebbero i candidati con più preferenze in questi collegi a patire le conseguenze negative della scelta del loro collega plurieletto. Con un meccanismo del genere la composizione della nuova camera è in una certa misura nelle mani dei plurieletti e dipende dalle loro decisioni post-elettorali.
A questo problema si può porre rimedio fissando direttamente nella legge un criterio oggettivo da applicare automaticamente nei casi di plurielezione. Questo criterio deve soddisfare una condizione: che il collegio destinato al plurieletto sia quello in cui il candidato eleggibile al posto del capolista plurieletto (cioè il candidato con più preferenze) sia meno meritevole dei candidati eleggibili negli altri collegi interessati dalla plurielezione. Detto in altri termini: non è giusto che il capolista plurieletto, scegliendo un dato collegio, danneggi un suo collega in un altro collegio che ha più diritto ad entrare in parlamento. Ma come si stabilisce questo “diritto”?
Qui entrano in gioco le preferenze. Ha più diritto un candidato con più voti di preferenza di un altro. Occorre quindi fare la graduatoria dei candidati con più preferenze tra tutti quelli che potrebbero essere eletti nei collegi interessati dalla plurielezione. Dopodiché al plurieletto deve essere assegnato automaticamente il collegio in cui è presente, tra i candidati eleggibili, quello con meno preferenze. In altri termini, tornando al nostro esempio, occorre individuare nei tre collegi quale dei tre candidati più votati (e quindi eleggibili) ha meno preferenze.
Questa graduatoria si può fare in diversi modi. Si può prendere il numero assoluto di preferenze ottenute da tutti i candidati eleggibili nei collegi interessati dalla plurielezione. Il collegio in cui è presente il candidato con meno preferenze è quello in cui viene eletto il pluricandidato. Questo criterio ha il difetto di non tener conto della dimensione dei collegi. In questo modo vengono avvantaggiati i candidati nei collegi con più elettori. Per superare questo problema si può fare la graduatoria dei collegi sulla base del rapporto tra le preferenze prese da ciascun candidato e il totale degli elettori o il totale dei voti validi in ciascun collegio. In questo caso il collegio in cui è presente il candidato con il rapporto più basso è quello da assegnare al candidato plurieletto.
Si tratta di una procedura meno complicata da applicare di quanto possa apparire da questa spiegazione. Sarebbe cosa buona e giusta incorporarla nella nuova legge se i tempi di approvazione lo consentissero.

Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 24/1/2015