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 2015  gennaio 24 Sabato calendario

TASSI, EURO, PETROLIO: PER L’ITALIA TRA 0,8 E 1% DI PIL IN PIÙ

Il rischio è che sia solo fuoco di paglia. Ma, se non cambiano le condizioni esterne, già questa è una buona notizia: il fuoco nel 2015 ci sarà. La combinazione tra euro debole, petrolio ai minimi termini e «bazooka» della Bce riaccenderà con grande probabilità la miccia della crescita economica in Europa. E, dopo tre anni di recessione, anche in Italia: secondo le stime dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, i tre fattori messi insieme potrebbero infatti aggiungere al Pil italiano una crescita compresa tra lo 0,8% e l’1%. Ma per trasformare il fuoco di paglia in qualcosa di strutturale, servono almeno altri due ingredienti: la fiducia (di consumatori, banche e imprese) e le riforme (il Paese deve diventare un luogo fertile per l’attività economica).
I TRE «JOLLY» DELLA CRESCITA
La debolezza dell’euro è il maggiore toccasana per l’economia: la moneta unica da giugno ha infatti perso il 19% nei confronti del dollaro e il 10% nei confronti delle valute dei maggiori partner commerciali extra-euro. Questo significa che i nostri beni sono più convenienti all’estero. Dato che l’export italiano è diretto per circa il 60% fuori dall’area euro, l’impatto non può che essere positivo. Come tutte le medaglie, però, anche questa ha due facce: «L’euro debole da un lato rende le importazioni più care - osserva Paolo Mameli, economista di Intesa Sanpaolo -, riducendo l’effetto positivo sul Pil. Dall’altro molte imprese sono delocalizzate, per cui potrebbero investire più all’estero e meno in Italia».
L’effetto finale del mini-euro sull’economia, dunque, rischia di essere più modesto rispetto a quanto i modelli economici lascerebbero intendere. Nonostante tutto, il saldo netto resta positivo. Intesa Sanpaolo calcola per l’Italia una crescita aggiuntiva del Pil dello 0,4-0,5% solo per l’effetto cambio. JP Morgan, aggiungendo anche l’elemento dei tassi bassi, stima un +0,5% per l’intera area euro. Barclays, sempre per Eurolandia, prevede un sostegno al Pil nell’ordine dello 0,5% se solo il deprezzamento dell’euro restasse nell’ordine del 10%.
L’altro jolly è il ribasso del petrolio: rispetto agli oltre 100 dollari al barile degli ultimi anni, ora l’oro nero vale meno della metà. Nelle tasche delle famiglie si tratta di un gran risparmio. In teoria, questo potrebbe tradursi in un sostegno al Pil nominale italiano nell’ordine dello 0,9%. Ma anche questa medaglia ha una seconda faccia che ne riduce gli effetti benefici. Innanzitutto la bolletta energetica delle famiglie si sta adeguando molto più lentamente rispetto alla discesa del barile. Inoltre - sottolinea Barclays - il calo del petrolio deriva in parte dal rallentamento economico globale: per la ripartenza, dunque, servirà tempo. Infine, il calo del barile mette in difficoltà gli Stati esportatori: Paesi verso cui finisce - sottolinea Mameli - il 5,6% dell’export italiano. Tutto questo mitiga l’effetto positivo - stima Intesa Sanpaolo - a un misero +0,2% o al massimo +0,3% sul Pil reale italiano. L’ultimo jolly è arrivato giovedì dalla Bce: la banca centrale ha annunciato che comprerà titoli di Stato e stamperà moneta per 1.140 miliardi di euro entro il settembre 2016. Questo potrebbe spingere il Pil italiano di un ulteriore 0,2% nel 2015.
I TRE «FRENI» DELLA CRESCITA
Eppure gli economisti ancora non rivedono le stime sulla crescita del Pil italiano. La stessa Intesa Sanpaolo prevede tutt’ora un +0,4% per il 2015. Goldman Sachs idem: +0,4% nel 2014. E più o meno tutti gli economisti sono su questa lunghezza d’onda. I motivi dello scetticismo sono tanti. Innanzitutto il più banale: i tre «jolly» vengono tutti dall’esterno e almeno due di questi sono “ostaggio” degli umori dei mercati. Il petrolio potrebbe rincarare se solo i Paesi dell’Opec decidessero di ridurre la produzione, e anche l’euro potrebbe un po’ risalire se per esempio la Fed Usa decidesse di non alzare i tassi quest’anno.
Ma lo scetticismo nasce soprattutto da un altro fattore: per trasformare questi tre «jolly» in ripresa vera, seppur modesta, serve che i principali attori economici si sveglino dal letargo. Le imprese devono tornare a investire e le famiglie a consumare. Questo però è difficile se la politica fiscale resta incerta (oltre che esosa) e se il futuro appare ancora pieno di nebbia: se non torna fiducia, gli effetti benefici dei tre «jolly» andranno ad alimentare i risparmi (come sta accadendo ora), non i consumi né il Pil.
Il terzo elemento che crea scetticismo è legato alle banche. La manovra della Bce avrà successo se i benefici derivanti dall’iniezione di liquidità e dal ribasso dei tassi saranno trasferiti alle imprese e alle famiglie. Ma le banche fanno ancora fatica a farlo, dato che l’economia resta stagnante e il fardello di crediti deteriorati è enorme. Infine l’Italia non deve perdere il treno delle riforme strutturali: meno burocrazia, giustizia più veloce, ma soprattutto meno tasse su imprese e lavoro. Il rischio, altrimenti, è che il fuoco resti di paglia. E che si spenga presto.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 24/1/2015