Luca Pisapia, il Fatto Quotidiano 24/1/2015, 24 gennaio 2015
SALAH, L’ESTERNO “ANTISEMITA”
Non è ancora sbarcato a Roma e già infuriano le polemiche per il suo rifiuto di stringere la mano ai giocatori del Maccabi Tel Aviv nei preliminari di Champions League, quando ancora vestiva la maglia del Basilea. Lui è Mohamed Salah, 22enne talento esploso in Svizzera prima di passare lo scorso gennaio al Chelsea.
Ala destra rapida e tecnica, può giocare anche a sinistra o dietro la prima punta, poco considerato in questo inizio di stagione da José Mourinho, Walter Sabatini lo vorrebbe portare a Roma in prestito con diritto di riscatto fissato sui 15 milioni.
Ma appena la stampa ha cominciato a fare il suo nome sono cominciati i problemi. Vittorio Pavoncello, presidente del Maccabi Italia, ha scritto su Twitter: “No a Salah alla Roma. Non dev’esserci spazio per i razzisti. Come potremmo continuare a tifare Roma se dovesse ingaggiare un antisemita?”. Ruben Della Rocca, assessore alle Relazioni esterne della comunità ebraica romana ha dichiarato: “La comunità ebraica di Roma non vuole interferire nelle scelte della società. Resteremo comunque vigili e attenti. Ovviamente se dovessimo intravvedere comportamenti ambigui li denunceremo immediatamente”.
Il putiferio è nato appunto dalla decisione del giocatore egiziano di non stringere la mano ai giocatori del Maccabi nell’estate del 2013. Nessuna dichiarazione razzista o antisemita, un semplice gesto, come quello di Cristiano Ronaldo che pochi mesi prima si era rifiutato di scambiare la maglia con gli avversari dopo la partita tra Portogallo e Israele. Nulla al confronto della quenelle di Anelka, o dei recenti saluti romani di Giorgos Katidis (l’anno scorso a Novara) e Mario Mandzukic (accompagnato dal saluto militare di Xherdan Shaqiri, da pochi giorni all’Inter), o di Paolo Di Canio, uno che sulla schiena ha il tatuaggio di Mussolini, che promulgò le leggi razziali.
Dopo il primo gesto di Di Canio la comunità ebraica romana insorse, e chiese provvedimenti. L’anno successivo, quando Di Canio annunciò che non avrebbe più salutato romanamente negli stadi, lo stesso Vittorio Pavoncello che oggi non vuole Salah a Roma, da buon amico dell’allora ministro e futuro sindaco Gianni Alemanno, disse: “Rivolgiamo un bravo a Di Canio perché ha capito che la sua era una strada senza uscita. È stato intelligente a fare un passo indietro. Poi, fuori dallo stadio, ognuno è libero di esprimere le proprie idee”.
Dalla quasi apologia del saluto romano fuori dagli stadi al considerare un gesto antisemita il rifiuto di stringere la mano prima di una partita.
Luca Pisapia, il Fatto Quotidiano 24/1/2015