Francesco Ninfole, MilanoFinanza 24/1/2015, 24 gennaio 2015
PIÙ CREDITI E SOFFERENZE
Era giusto riformare le banche popolari con questa urgenza? È la domanda che si sono fatti in molti dopo il blitz del premier Matteo Renzi, che ha introdotto le novità per il settore con un decreto legge, scatenando la reazione di Assopopolari. Una riforma del comparto era suggerita da tempo da Banca d’Italia, ma anche da Bruxelles e dal Fmi, per migliorare la governance societaria e favorire aggregazioni e sviluppo di banche a volte refrattarie al cambiamento. Dai dati di R&S Mediobanca emerge tuttavia che il credito non è mai stato il problema delle popolari, che anzi hanno fatto più prestiti delle altre banche, sia prima che durante la crisi. Tra i punti negativi, invece, le popolari si sono distinte per una più elevata percentuale di crediti deteriorati e minore facilità nel ridurre i costi. Il quadro riflette (nel bene e nel male) la maggiore vicinanza di queste banche al territorio. Insomma, la riforma secondo molti andava fatta, per sciogliere alcuni nodi presenti da tempo soprattutto nelle popolari di maggiori dimensioni. Ma l’urgenza del provvedimento, stando ai numeri di bilancio, non appare legata al livello dei prestiti (come ha lasciato intendere Renzi), né da motivi di redditività o patrimoniali (le popolari sono uscite meglio dagli stress test, nel quale sono state invece bocciate due spa). Piuttosto, come ha fatto notare il governatore Ignazio Visco al comitato esecutivo Abi, la fretta sembra legata soprattutto al segnale che era necessario dare alle autorità bancarie europee. Ecco i principali numeri delle popolari, a confronto con quelli delle altre banche nei dati elaborati da R&S Mediobanca.
Crediti. Sono il principale punto di forza delle popolari, che tra il 2005 e il 2013 hanno aumentato i prestiti di quasi il 7% all’anno (+68% cumulato), mentre le altre li hanno mantenuti stabili (+0,6% all’anno). In valore assoluto, dal 2005 le popolari hanno aumentato il credito di 162 miliardi di euro, una cifra tripla a quella delle banche commerciali. La crescita dei prestiti è dovuta per oltre la metà alle popolari, nonostante queste ultime rappresentino meno di un quarto dello stock erogato complessivo. Anche loro hanno sentito la crisi, riducendo i prestiti alla clientela di 25 miliardi dal 2011. Ma anche questa flessione è stata inferiore a quella degli istituti commerciali diversi da popolari e banche di credito cooperativo.
Sofferenze. La politica di finanziamento più generosa si è tradotta tuttavia in un incremento più cospicuo dei crediti deteriorati. Nel periodo di riferimento considerato da R&S Mediobanca (2005-2013) i prestiti dubbi sono aumentati del 25% all’anno (+490% cumulato), dati superiori di circa il doppio alla media delle banche retail (+12% all’anno). In media le popolari (perlomeno quelle quotate) hanno tassi di copertura del credito deteriorato più bassi rispetto a quelli di Intesa e Unicredit.
Redditività. Il 2013 è stato un anno pessimo per la redditività di tutte le banche italiane, ma le popolari non hanno mostrato le perdite miliardarie dei grandi istituti commerciali. Il sistema bancario italiano ha segnato nel complesso un Roe 2013 ancora negativo (-9%), avendo chiuso con una perdita aggregata pari a 21,1 miliardi (la maggior parte riconducibile ai tre maggiori gruppi). La perdita aggregata ha toccato in minima parte le popolari (circa 800 milioni), mentre hanno chiuso in utile le Bcc (140 milioni di euro). Dai dati R&S Mediobanca emerge inoltre che nel 2013 il margine di interesse ha rappresentato in media il 47% del totale di ricavi del settore: la percentuale sale al 69% per le Bcc, si attesta al 45% per le banche commerciali ed è al 51% per le popolari, che quindi si mostrano più attive sul credito anche da questo punto di vista.
Costi, personale e sportelli. Il costo del lavoro per dipendente è lievemente superiore nelle popolari (69.900 euro, -1,7% sul 2012) rispetto alle commerciali (69.500, con un calo però del 6,3% nel 2013) e alle Bcc (68 mila euro, in crescita del 2,1%). In termini di forza lavoro e tagli di posti, la variazione registrata nel 2013 è stata in proporzione simile per le banche retail (-1,1% per 2.200 unità circa) e popolari (-1,2% per 660 unità circa). In controtendenza invece le Bcc con un lieve incremento (+0,8% per 240 unità circa). Infine, riguardo alle filiali, in Italia hanno chiuso poco più di mille sportelli nel 2013 (-3,3%) scendendo così a 30.264 unità. Le banche commerciali li hanno diminuiti del 5% (-990 sportelli), le popolari dell’1,2% (per circa 80 sportelli).
Francesco Ninfole, MilanoFinanza 24/1/2015