Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 24/1/2015, 24 gennaio 2015
SUL PETROLIO LA STRATEGIA NON CAMBIA (PER ORA)
Le politiche petrolifere dell’Arabia Saudita non subiranno un cambio di rotta. Quanto meno non subito. A poche ore dalla morte del fratello Abdullah, il nuovo re Salman si è affrettato a spazzare via la principale incertezza che stava innervosendo gli investitori: alla notizia del decesso, diffusa nella notte, il greggio si era messo a correre, con un rialzo fino al 3,1% per il Wti e fino al2,6% per il Brent, tornato a sfiorare 50 dollari al barile. La tensione si è presto dissolta, al punto che il riferimento americano ieri ha addirittura chiuso in ribasso, a 45,59 dollari al barile (-1,6%).Il Brent. ha invece concluso a 48,79 $ (+0,6%).
Due messaggi da parte del nuovo sovrano sono bastati a calmare le acque: Salman ha dichiarato nel suo primo discorso televisivo che intende governare in linea con le politiche del suo predecessore, ma soprattutto ha subito emesso un decreto per confermare i ministri già in carica. A cominciare da quello che ai mercati stava più a cuore, ossia il ministro del Petrolio: Ali Al Naimi, che è saldamente al timone del più importante dicastero saudita dal lontano 1995, l’anno in cui l’appena defunto Abdullah iniziò in pratica a regnare (anche se il suo insediamento ufficiale avvenne dieci anni dopo), in supplenza a re Fadh che era stato colpito da un grave ictus.
Uomo carismatico, di profonda intelligenza ed esperienza, Al Naimi gode di un’ampia autonomia decisionale, anche se in teoria le politiche petrolifere di Riad sono affidate al Consiglio supremo del petrolio, presieduto dal re. La sua sfera di potere si estende ben oltre i confini dell’Arabia Saudita. Grazie alle sue doti personali e al fatto che rappresenta la maggiore potenza petrolifera al mondo (con una produzione di 9,5 milioni di barili al giorno, di cui 7 esportati, e una capacità di ben 12,5 mbg), Al Naimi è visto da molti come il leader de facto dell’Opec. Ed è stato lui a convincere gli altri membri dell’Organizzazione a non tagliare la produzione allo storico vertice del 27 novembre, sposando la scelta di difendere le quote di mercato piuttosto che il livello dei prezzi.
La strategia di Riad - che punta ad espellere dalla competizione le produzioni ad alto costo, a cominciare dallo shale oil americano - poggia su basi concrete. Proprio ieri il dettaglio delle statistiche cinesi sull’import-export ha rivelato che nel 2014 Pechino ha acquistato il 36% di petrolio in più dalla Russia (665mila barili al giorno) e l’8% in meno dall’Arabia Saudita, che resta il primo fornitore con 997mila bg, ma che ha ridotto la sua quota dal 19 al 16 per cento.
I malumori contro la linea saudita stanno però crescendo all’interno dell’Opec. I tempi per riequilibrare domanda e offerta di petrolio, eliminando dal mercato globale un surplus di oltre un milione di barili al giorno, si stanno rivelando lunghi. E il crollo del petrolio, più che dimezzato di prezzo dall’estate scorsa, si sta traducendo in gravi sofferenze per le economie troppo dipendenti dal greggio. Nonostante gli oltre 700 miliardi di dollari di riserve in valuta pregiata, persino l’Arabia Saudita ha i suoi grattacapi: per la prima volta dal 2009 il bilancio statale è atteso in deficit e il Fondo monetario internazionale ha consigliato di ridurre in modo stabile la spesa pubblica, trattando la debolezza del petrolio «come se fosse permanente».
Nell’immediato il nuovo re Salman ha assicurato che non cambierà rotta, ma non è escluso che nei prossimi mesi possa essere tentato dal farlo. E anche Al Naimi forse non resterà troppo a lungo al suo posto: a breve compirà ottant’anni e di recente ha confessato di aver voglia di ritirarsi dalla vita politica per dedicare più tempo alla guida dell’Università delle scienze e della tecnologia, che già presiede. «Un cambio di ministro ora potrebbe creare molta incertezza sul mercato e l’Arabia Saudita cercherà di evitarlo - osserva Amrita Sen, analista di Energy Aspects - Pensiamo che il cambio ci sarà, ma non immediatamente». Olivier Jakobs di Petromatrix concorda: «Nell’attuale situazione di mercato sarà difficile cambiare ministro. Lo stesso Naimi penso che preferirebbe lasciare dopo che è stato rimesso un po’ d’ordine nell’Opec».