Adriano Monti; Buzzetti Colella, Focus 2/2015, 23 gennaio 2015
ORDINO E DECORO
Nel dedalo del Tribunale civile di Roma è un giorno come tanti: tra aule e uffici la consueta passerella di avvocati, cancellieri, giudici, commessi, cittadini. Un noto principe del foro fende la folla ostentando, sul bavero della giacca, una rosetta cremisi sormontata da una piccola croce a 8 punte. Insegne da cavaliere di Malta? Giammai: quelle “doc” sono di colore rigorosamente nero. La vanitas sociale ha giocato un brutto tiro al nostro professionista di grido che è incappato, manco a dirlo, nella classica “patacca”. L’episodio è reale ed emblematico: nell’era di Internet, infatti, le “vecchie” onorificenze non hanno perso affatto la loro forza attrattiva. Anzi. Le richieste di adesione a ordini di ogni tipo si contano a migliaia, e per sfoggiare una decorazione c’è chi sarebbe disposto a qualsiasi cosa.
ORIGINI MEDIOEVALI. Innanzitutto c’è da chiarire un fatto: in questo grande oceano di nastrini, placche e diplomi, come si fa a riconoscere una commenda “tarocca”? «In realtà le cose sono più semplici di quello che sembra, persino in Italia», chiosa Fabio Cassani Pironti, esperto della materia e autore, tra gli altri, del volume Ordini in Ordine (Laurus Robuffo) sul corretto uso delle decorazioni. «La legge n. 178 del 1951 dice che il ministero degli Esteri e – per i soli ordini pontifici – la presidenza del Consiglio dei ministri hanno l’ultima parola in materia: le liste degli ordini autorizzabili sono note, e col fai-da-te si rischiano anche multe salate. Per chi volesse un riscontro c’è poi l’elenco stilato da un’autorità assoluta in materia, la Commissione permanente per lo studio degli ordini cavaliereschi (www.icocregister.org)». Quelli “veri” ovviamente, che per storia e finalità edificanti sono cosa ben diversa dalle loro controparti truffaldine.
Il loro codice etico ha una storia antica: prese forma dopo le crociate, spesso con confraternite create da questo o quel sovrano per riattualizzare gli ideali religiosi e guerrieri dei “soldati della fede”. Il processo andò avanti fino all’Ottocento e oltre, ma col tempo il carattere militare si sbiadì a tutto vantaggio di quello filantropico che ancora oggi caratterizza molti ordini equestri: un esempio per tutti l’Ordine del Santo Sepolcro, cattolico e legato alla Santa Sede, dove il sostegno alle attività caritative della Chiesa in Terra Santa è un requisito per l’ammissione.
DI PADRE IN FIGLIO. Opere pie a parte, però, il prestigio conta, eccome. Del resto l’aspetto un po’ elitario di questi sodalizi ha origine dal fatto che quasi tutti, in origine, erano riservati a ceti nobiliari (per i quali alcuni ordini prevedono tuttora categorie ad hoc) e solo in seguito hanno ammesso quei sudditi comuni di cui i monarchi d’Europa, papi inclusi, avevano interesse ad assicurarsi la fedeltà.
In qualche raro caso l’ammissione era così selettiva da cooptare di fatto il decorato borghese nei ranghi dell’aristocrazia, come accadeva fino al 1939 con i gradi più alti dell’Ordine Piano, uno dei più illustri nella gerarchia onorifica della Santa Sede. «Cose del passato: con un’onorificenza oggi non si diventa nobili. Ma armigeri – cioè dotati di stemma – sì, in un caso: l’ordine svedese dei Serafini permette a tutti gli insigniti di crearsi le proprie insegne araldiche», ricorda Cassani Pironti. E se oggigiorno in Europa prevalgono le repubbliche, poco importa: gli ordini cosiddetti dinastici restano prerogativa dei legittimi discendenti di teste coronate, senza che la mancanza di un trono e di un regno ne comporti necessariamente la “svalutazione”. Per esempio l’ammissione nell’Ordine di Leopoldo – che pure fa capo a un re in carica, Filippo del Belgio – non è paragonabile al ben più antico e prestigioso Ordine del Toson d’Oro concesso oggi da Carlo d’Asburgo-Lorena, nel nome di un trono imperiale che l’Austria ha abolito nel 1918.
SAVOIA E BORBONE. Nel Belpaese la storia si ingarbuglia, a partire dalle onorificenze dinastiche. Sul fronte dei Savoia, la titolarità degli Ordini Mauriziano e dell’Annunziata è oggi contesa tra i due pretendenti al ruolo di capo dell’ex Casa reale, Amedeo e Vittorio Emanuele. Sul fronte dei Borbone, invece, troviamo l’Ordine Costantiniano, che è uno e trino, cioè diviso in 3 rami indipendenti (tra loro reciprocamente diffidenti) che fanno capo ad altrettante derivazioni della casata.
Non basta: nel nostro territorio ci sono anche gli ordini di dinastie di Stati preunitari, dal Granducato di Toscana al Ducato di Parma e Piacenza. «La giurisdizione repubblicana raggruppa queste realtà sotto la dicitura di ordini “non nazionali”: quelli autorizzabili non arrivano alla decina», spiega l’esperto. La geografia dello Stivale, inoltre, non include solo l’Italia ma anche il Vaticano, San Marino ed il Sovrano Ordine di Malta, ente di diritto internazionale al pari di un vero e proprio Stato.
ONORE AL MERITO. Di diversa impostazione i più recenti ordini “di merito”, solitamente a carattere statuale, che ricompensano una condotta lodevole nella vita civile o militare: il primo esempio storico è quello della Legion d’Onore francese, creata nel 1802 da Napoleone. In origine l’insignito riceveva uno stipendio, e ancora oggi l’onore è il più alto e Oltralpe. Dello stesso tipo sono le distinzioni onorifiche dell’Italia repubblicana, ma anche l’antichissimo e superpatinato ordine inglese della Giarrettiera, guidato dalla Regina Elisabetta II e limitato a soli 24 membri. Suggestiva la leggenda medievale sulla sua origine: una nobildonna inglese perse il reggicalze durante un ballo, e per tacitare le risatine maliziose dei presenti rèe Edoardo III pronunciò in francese, allora lingua di corte, la frase che sarebbe poi divenuta il motto dell’ordine: honi soit qui mal y pense (“onta sia a chi pensa male”).
ALLA CONQUISTA DEL GLOBO. Occidentali nella forma e nella sostanza, come conseguenza del colonialismo europeo gli ordini cavaliereschi hanno attecchito in tempi più recenti in ogni angolo del mondo. E così troviamo l’Ordine dell’Elefante Bianco in Thailandia, quello del Sol Levante in Giappone, il boliviano Ordine del Condor e l’africano Ordine Reale del Leone di Ruanda. Al fascino di stelle e croci smaltate resiste però la Svizzera, la cui Costituzione non prevede onorificenze di alcun tipo. E gli Stati Uniti, che all’assenza di veri e propri ordini cavaliereschi sopperiscono con un ampio carnet di decorazioni e medaglie come la celebre Medal of Honor, ambita... ma non troppo: spesso infatti viene assegnata alla memoria.
Ovviamente nulla vieta a uno Stato di creare nuovi ordini e abolirne di vecchi: in tempi ancora recenti è accaduto con il sovietico Ordine di Lenin, abolito da Gorbaciov nel 1991. La vita di queste istituzioni è dunque variabile: possono durare secoli o spegnersi nell’arco di pochi mesi, come accadde all’Ordine dei Santi Patroni d’Italia fondato da Mussolini a Salò nel ’45. Ma possono anche rimanere in una sorta di limbo, diventando “quiescenti” per morte di tutti gli insigniti e impossibilità di creare nuovi cavalieri: è il caso dell’Ordine di Vittorio Veneto, creato per i combattenti della Grande Guerra e congelato nel 2008 con la morte dell’ultimo reduce.
QUATTRO REGOLE. Quale che sia l’ordine, per il cittadino qualunque passare da “Sig.” a “Cav.” rappresenta sempre un traguardo. A patto, come dicevamo all’inizio, di non cadere nella rete dei falsi. «Se non volete rischiare di ritrovarvi associati a un circolo di illusionisti dal nome altisonante, con il serio pericolo di rendervi socialmente ridicoli», conclude Cassani Pironti, «tenete a mente questi semplici consigli: 1) i Templari non esistono più; 2) lasciate perdere i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi, la gran parte dei santi nel calendario, Bisanzio e l’Impero Romano d’Oriente; 3) l’unico vero Ordine di Malta ha sede in Roma, in Via dei Condotti 68 e l’attuale Gran Maestro si chiama Fra’ Matthew Festing; 4) un monsignore e una chiesa non sempre fanno un ordine legittimo». Con un simile vademecum, chi ancora si lascia infinocchiare non ha decisamente più scuse...
Adriano Monti
Buzzetti Colella