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 2015  gennaio 23 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Piergiorgio Odifreddi, Il Museo dei numeri. Da zero verso l’infinito, storie del mondo della matematica, Rizzoli Milano 2014, pp

Notizie tratte da: Piergiorgio Odifreddi, Il Museo dei numeri. Da zero verso l’infinito, storie del mondo della matematica, Rizzoli Milano 2014, pp. 428, 22 euro.

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«I numeri sono tutti interessanti. Infatti se ce ne fossero alcuni “non interessanti”, tra questi ci sarebbe necessariamente il più piccolo, e già soltanto per questa ragione quel numero sarebbe molto interessante» (Constance Reid).

«Un retaggio degli antichi sistemi di computo e scrittura con i nodi sono i rosari, usati in varie religioni per contare le preghiere, le giaculatorie e altre litanie. A seconda dei culti essi tengono i conti di 50 Ave Maria, dei 99 nomi di Allah, delle 108 divinità induiste, o di 108 parole dagli altrettanti volumi del canone buddhista».

Quanto allo zero «fu Tolomeo a introdurre nel secolo II come simbolo l’iniziale di ouden, “vuoto”, e cominciare a usarlo anche nella posizione terminale di un numero».

Gli egizi rappresentavano le prime sei potenze di 2 (2, 4, 8, 16, 32, 64) ricorrendo «alla figura chiamata “occhio di Horus”. Si trattava di un’immagine stilizzata dell’occhio del dio-falco Horus, che lo zio Seth gli aveva cavato in combattimento e spezzato in sei parti. L’episodio era la scena finale di una telenovela che aveva visto Seth uccidere in precedenza il fratello Osiride, smembrarlo in 14 pezzi e disperderli poi per l’intero Egitto. La loro sorella Iside ne aveva poi ritrovati 13 e li aveva riassemblati: solo il fallo era rimasto perduto nel Nilo, a fecondarne le acque. Il ricomposto Osiride era poi rinato come dio dei morti e dell’aldilà, e aveva potuto miracolosamente concepire con la sorella il figlio Horus, che l’avrebbe poi vendicato».

«Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Statunitensi cercarono di convincere i Giapponesi della superiorità delle calcolatrici meccaniche, ma in una competizione fra il miglior esperto locale di pallottolieri e il miglior esperto militare di calcolatrici, tenuta il 12 novembre 1946, il primo ebbe la meglio quattro volte su cinque».

Gli indiani distinguevano debiti e crediti non mediante i segni – e +, ma mediante i colori, assegnando il nero ai debiti e il rosso ai crediti. «Nella trasmissione da Oriente a Occidente i colori si sono però invertiti, e oggi noi diciamo “andare in rosso” quando ci riferiamo ai bilanci in negativo».

«Dalla traduzione araba “sifr” deriva la parola “cifra”. E dalla successiva traduzione latina “zephirum” derivano le parole “zevero” o “zefiro” che per contrazione divennero finalmente “zero”, usato per la prima volta nel 1491 da Filippo Calandri nell’Opuscolo di aritmetica».

«Una volta introdotte le cifre da 0 a 9 e imparata la relativa tabellina delle reciproche moltiplicazioni, il sistema posizionale divenne autonomo, e non fu più necessario usare l’abaco per calcolare. Brahmagupta sperimentò vari metodi per fare le moltiplicazioni e le divisioni , e trovò infine quello che usiamo ancor oggi. Questo sistema si diffuse molto presto verso Occidente grazie ai commerci, alle missioni diplomatiche e all’interesse per l’astronomia indiana. Una delle prime testimonianze successive all’arrivo degli Arabi risale all’825 circa, e si trova nel Libro sul calcolo degli Indiani del persiano Muhammad Ibn Musa al Khwarizmim, che si apre con queste parole: “Abbiamo deciso di esporre il modo di calcolare degli Indiani con l’aiuto di nove cifre, insieme a una decima in forma di cerchio. E di mostrare come, grazie alla loro semplicità e concisione, queste cifre possono esprimere tutti i numeri”. L’influenza di questo autore nella storia della matematica è testimoniata dalla parola “algoritmo”, tratta dal suo cognome. E anche dalla parola “algebra”, tratta invece dal termine “al-jabr”, composizione, usato nel titolo del suo “Trattato sul calcolo per composizione e scomposizione”, dell’810 circa.
Le cifre arabe odierne sono abbastanza differenti da quelle indiane originarie. In particolare, gli Arabi cambiarono l’orientamento a queste ultime: scrivevano infatti in verticale per motivi pratici, poiché appoggiavano il supporto sul vestito tirato sulle ginocchia, ma poi leggevano in orizzontale. Essi ridussero anche il cerchietto per lo zero a un punto, ritornando così alla cifra originale indiana.
In ogni caso, così come le cifre indiane non erano omogenee o uniformi, non lo furono nemmeno quelle arabe. Esse si separarono in varie famiglie, e quella che arrivò a noi è la versione degli arabi occidentali del Maghreb e dell’Andalusia, basata su una somigliana con le lettere dell’alfabeto arabo, un po’ come alcune nostre cifre assomigliano a lettere dell’alfabeto latino: ad esempio 0, 1 e 2 a O, I e Z. La prima testimonianza di questo sistema è dell’874, ma il suo nome, “ghubar”, “polvere”, rivela un’origine molto più antica, probabilmente romana.
Le cifre decimali ghubar vennero introdotte in Europa da Gerberto di Aurillac, futuro papa Silvestro II, che ne era venuto a conoscenza in un suo soggiorno di studio giovanile tra il 967 e il 970. Purtroppo dopo di allora le cifre furono adottate soltanto per semplificare l’abaco, scrivendole su gettoni numerati chiamti “apices”, “segnati sopra”.
Il sistema decimale venne reintrodotto e divulgato nel 1202 da Leonardo da Pisa, detto Fibonacci (Figlio di Bonaccio) nel famoso “Libro dell’Abaco”, non senza resistenze e scontri tra i fautori del vecchio abaco e della nuova notazione algebrica: una contrapposizione che si era già presentata anche nei paesi arabi, nei secoli successivi all’introduzione delle cifre indiane. Nel 1299 la città di Firenze passò addirittura un’ordinanza che proibiva l’uso delle nuove cifre, perché esse erano più facilmente falsificabili di quelle romane. Ad esempio, modificando 0 in 6 o 9.

Quanto al simbolo ∞ per infinito, «è stato introdotto nel 1655 da John Wallis. Ma gli indiani associavano l’infinito all’ananta: il serpente dalle mille teste che, galleggiando sull’oceano dell’incoscienza, rappresenta l’immensità del tempo e dello spazio. Su di esso riposa sdraiato Vishnu, tra una creazione e l’altra, e la sua forma è appunto quella di una S o di un 8: simboli che, entrambi, sono stati usati nel tempo per indicare l’infinito. Il serpente che si mangia la coda, nella forma circolare dell’ouroboros, rappresenta invece lo zero, quasi a sottolineare il legame fra le due nozioni, apparentemente contradditorie».

Il “milione” per 1.000.000, inteso come “grande migliaio”, apparve per la prima volta in Italia verso il 1315. I romani lo chiamavano invece “decies centena milia”, “dieci centimiglia”, perché non avevano nomi per numeri maggiori di 100.000. Meglio dei Greci, comunque, che arrivavano solo alla “miriade” per 10.000, e dunque parlavano di “cento miriadi”.

«“Bilione” e “Trilione” sono ovvi multipli del milione, introdotti nel 1484 da Nicholas Chiquet nel “Trittico sulla scienza dei numeri”. Fu lo stesso Chuquet a introdurre la suddivisione delle cifre con i punti, benché a sestetti, invece che a terne come le nostre. Per questo un bilione vale 1.000000.000000, e un trilione 1.000000.000000.000000. Chuquet introdusse anche la notazione esponenziale, scrivendo più leggibilmente i numeri precedenti come 1012 e 1018 , in base alla loqro quantità di zeri.

Gli elisabettiani chiamavano in codice la vagina “nulla”. «Di qui l’ammiccante titolo “Molto rumore per nulla” di William Shakespeare».

«Chi sa non parla, chi parla non sa» (Tao Te Ching).

«Su ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere» (Wittgenstein).

«“La raccolta dei silenzi del dottor Murke” di Heinrich Böll (1958) narra di un redattore radiofonico che ha appunto l’abitudine di raccogliere silenzi. Si racconta che una volta venne detto a Jorge Luis Borges che fra la gente accorsa a rendergli omaggio c’era anche Italo Calvino. E lui rispose: “L’avevo riconosciuto dal silenzio”».

«Il primo a mettere il silenzio in musica è stato Alphonse Allais nella “Marcia funebre” (1897). La più nota compoisizione silente è invece “4’ 33’’” di John Cage (1952) articolata in tre movimenti di 30”, 2’23” e 1’4’”: un silenzio di 273 secondi in tutto, che richiamano esplicitamente la temperatura di -273° dello zero assoluto».

«Niente è. Se anche fosse, sarebbe incomprensibile. E se anche fosse comprensibile, sarebbe indicibile» (Gorgia).

«La camera funeraria della Grande Piramide di Cheope ha lasciato perplessi gli archeologi perché non sembra aver mai contenuto mummie, statue o tesori. O “sancta sanctorum” del Tempio di Gerusalemme, che stupì nel -63 Pompeo per lo stesso motivo».

«La moderna risposta della fisica all’antica domanda «perché c’è qualcosa invece del nulla» è semplicemente che “il vuoto è instabile” e non rimane a lungo tale.

«Nel 1903 Osborne Reynolds propose “Un’inversione di idee saulla struttura dell’universo”. Cioè, invece di considerare la materia come “un pieno che si muove in un vuoto”, pensarla come “un vuoto che si muove in un pieno”».

«Il paradosso acustico scoperto dallo psicologo del suono Michael Kubovy: se si fanno suonare tutte le note della scala su un organo, in una specie di “rumor bianco”, e poi gradualmente se ne toglie una per volta in ordine, si sente risuonare la scala in negativo sullo sfondo dell’accordo, in una versione acustica delle correnti elettriche positive».

«Esattamente come i numeri interi, anche i colori puri e i suoni puri sono in quantità infinita, perché infinite sono le possibili linghezze, o le possibili frequenze, delle onde luminose o atmosferiche. Le riduzioni dei colori fondamentali a tre, o delle note della scala a sette o dodici, sono dunque puramente convenzionali, anche se non arbitrarie».

«Dal punto di vista della teoria degli insiemi, la differenza tra lo 0 e l’1 sta dunque nel fatto che il primo è una scatola vuota, mentre il secondo è una scatola che contiene una scatola vuota. Più o meno la stessa differenza corre tra il non avere un conto in banca e avere un conto in cui non si hanno soldi».

Il 2, unico numero che si può dividere solo in parti uguali.

«Negli Stati Uniti le autostrade hanno un numero pari in direzione Est-Ovest, e dispari in direzione Nord-Sud. Nel trasporto aereo, il numero di un volo è pari in una direzione Est-Ovest o Nord-Sud, dispari in quella contraria».

«Perché mai non si è detto: Padre, Madre, Figlio? Sarebbe stato molto più ragionevole, o più naturale, che Padre, Figlio e Spirito Santo» (Jung). «Indipendentemente dalle possibili risposte al perché, rimane la constatazione che la Trinità è squilinbrata da due diversi punti di vista. Da un lato, infatti, due delle sue persone sono tracendenti, mentre una è immanente. E dall’altro lato, tutte e tre le persone sono maschili, e nessuna è femminile.
Per rimediare a entrambi gli squilibri, nel corso dei secoli si è di fatto creata una Quaternità, con l’aggiunta alla Trinità di un «quarto escluso» che fosse, allo stesso tempo, immanente e femminile. La Madre, appunto. La figura della Madonna, che aveva un ruolo marginale nei Vangeli, è diventata via via più centrale, acquistando una serie di attributi codificati nei quattro dogmi mariani: Deipara al concilio di Efeso nel 431, Vergine al secondo concilio di Costantinopoli nel 553, Immacolata Concezione da parte di Pio IX nel 1854, e Assunta in Cielo da parte di Pio XII nel 1950».

«Nel 1852 Francis Guthrie propose il “teorema dei quattro colori”: per colorare una mappa in modo che due paesi confinanti siano colorati diversamente, bastano appunto quattro colori. Naturalmente, per non rendere banalmente falso il teorema servono alcune restrizioni sui confini dei paesi, che non devono essere né troppo semplici né troppo frastagliati […] Dopo più di un secolo di tentativi ed errori, finalmente nel 1976 Kenneth Appel e Wolfgang Haken dimostrarono che quattro colori sono anche sufficienti. E affidarono l’enorme quantità di verifiche necessarie a un computer che lavorò per un tempo equivalente a cinquanta giorni ininterrotti. La cosa fece scalpore perché per la prima volta una dimostrazione si appoggiava su conti che non potevano essere verificati a mano».

A Toronto, il 15 maggio 1953, si esibisce The Quintet: Charlie Parker suona in un sax di plastica, il pianista Bud Powell è ubriaco, il trombettista Dizzie Gillespisce sparisce di continuo dietro le quinte per informarsi sul campionato mondiale di boxe con Rocky Marciano. Il pubblico, d’altronde, era andato tutto all’incontro di pugilato, e i musicisti non furono pagati per la scarsa affluenza, anche se poi si rifecero con la mitica registrazione “Jazz at Massey Hall” (Piergiorgio Odifreddi, Il Museo dei numeri, Rizzoli, Milano 2013).

In astronomia, gli Egizi usavano un calendario con un anno di 360 giorni, suddivisi in 12 mesi di 30 giorni . Per sincronizzarlo con l’anno solare di 365 e 6 ore, essi aggiungevano ogni anno cinque giorni “epagomeni”, “supplementari”, e ogni quattro anni un ulteriore giorno.
L’aggiunta si faceva prima del capodanno, che era mobile e determinato dall’arrivo delle piene del Nilo. Con la riforma del calendario giuliano introdotta da Augusto nell’8 della nostra era, l’inizio dell’anno egizio fu uniformato a quello romano, che era fissato il 29 agosto. I cinque giorni epagomeni cadevano dunque dal 24 al 28 agosto, e in essi si veneravano i natali di Osiride, Horus, Seth, iside e Nefti.
I miti evangelici di questa mitologia sono riportati da Plutarco in “Iside e Osiride”: «Si racconta che quando Nut, dea del Cielo, si unì a Geb, dio della Terra, il Sole se ne accorse e lanciò contro di lei una maledizione, affinché non potesse generare figli in nessun giorno dell’anno. Ma Geb giocò ripetutamente d’azzardo con la Luna, riuscendo ogni volta a vincerle la sessantesima parte di ogni lunazione. In tal modo accumulò cinque giorni, che inserì nel testo dell’anno. Gli Egizi li chiamavano epagomeni, e vi festeggiavano i natali della progenie di Geb e Nut».

6 è il primo numero a non essere né primo né quadrato. Gli antichi lo associavano perciò a Venere, in quanto risultato del prodotto tra il maschile 3 e il femminile 2. Inoltre 6 è la somma di 1, 2 e 3, il che lo rende un numero perfetto, nel senso che è uguale alla somma dei suoi divisori (1*2*3 = 6 e anche 1+2+3 = 6). Anzi è il primo numero perfetto. Il secondo numero perfetto è 28, il terzo 496, il quarto 8.128. I Greci non ne conoscevano altri. Noi sì, ma solo un numero finito e tutti pari. E non sappiamo se ce ne sono infiniti né se ce ne siano dispari. Filone d’Alessandria sosteneva che Dio creò il mondo in sei giorni, perché 6 è un numero perfetto.

Alle sette note della scala corrispondono i sette modi greci, ciascuno dei quali si ottiene suonando sette note consecutive sui tasti bianchi del pianoforte. A seconda che la nota di partenza fosse do, re, mi, fa, sol, la, si i Greci chiamavano il modo corrispondente lidio, frigio, dorico, sintolidio, ionico, eolico o misolidio. E gli associavano un particolare stato emotivo, descritto da Platone nella Repubblica: lo ionico e il lidio venivano considerati languidi, il dorico grave e virile, il frigio rilassato e così via.

Nella teoria dei colori esposta nel 1704 da Newton nell’“Ottica”, le sette note (della scala di la minore) corrispondono invece ai sette colori visibili, grazie al fatto che le lunghezze d’onda estreme dello spettro della luce visibile stanno nello stesso rapporto di due note distanti un’ottava. Più precisamente, la lunghezza d’onda a cui inizia l’infrarosso è di circa 760 nanometri, quella dell’ultravioletto di circa 380 nanometri, con un rapporto pari appunto a 2.

I giochi della XXIX Olimpiade si sono aperti a Pechino l’8 agosto 2008, poco dopo le venti: più precisamente alle 08:08:08 pomeridiane del giorno 08:08:08. Un momento ovviamente non scelto a caso. E dovuto al fatto che per i Cinesi l’8 è un numero formato da un carattere “bā” che lo indica, infatti, si pronuncia quasi come il carattere “fā”, che indica invece la ricchezza.

Quanto agli scacchi si giocano su una scacchiera otto per otto, e sia il re che la regina si possono muovere in otto direzioni diverse. Uno dei classici problemi al riguardo, proposto nel 1848 da Max Bezzel e risolto nel 1850 da Franck Nauck, consiste nel disporre sulla scacchiera otto regine in modo che nessuna dia scacco alle altre. Le soluzioni possibili sono 92, di cui 12 fondamentali, e le altre riducibili a quelle per rotazioni e riflessioni. Oggi si possono generare tutte con appositi programmi al computer, il primo dei quali scritto nel 1972 da Edsger Dijkstra.

L’uomo ha otto denti per ciascun quadrante, per un totale di 32: i dentisti li indicano appunto con una lettera da A a D per il quadrante, e un numero da 1 a 8 per il dente, quando giocano le loro battaglie dentali sui pazienti.

Nella cultura cristiana il nove viene considerato una specie di quadrato della Trinità. Nei Vangeli, Cristo muore alla nona ora: dalla quale deriva tra l’altro il noon inglese. Negli Atti degli Apostoli nove giorni separano l’Ascensione dalla Pentecoste: di qui la pratica delle novene precedenti il Natale e altre feste.

Dante, vero fanatico del nove. Nella Divina Commedia, l’Inferno è costituito da nove cerchi. Il Purgatorio è diviso in nove parti: sette cornici, più l’Antipurgatorio e il Paradiso Terrestre. Il Paradiso consiste di nove cieli concentrici, che corrispondono ai sette pianeti tolemaici, più le Stelle Fisse e il Primo Mobile. E nell’Empireo le nove gerarchie angeliche sono distribuite in nove cerchi di fuoco attorno a Dio, rappresentato come un punto luminoso. Nella Vita Nova Dante racconta invece di aver incontrato Beatrice per la prima volta a nove anni e nove mesi, quando lei aveva nove anni e tre mesi, e di averla reincontrata per la seconda volta nove anni dopo. Naturalmente, in quest’occasione lei gli rivolse la prima parola all’ora nona del giorno. La musa morì l’8 giugno 1290, dopo il tramonto: cioè, fa notare il poeta, nel nono giorno arabo del nono mese siriano della nona decina del secolo cristiano.