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 2015  gennaio 23 Venerdì calendario

BISANZIO ALLA VACCINARA

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A leggere le cronache di questi giorni, pare di essere al crocevia tra la Bisanzio della decadenza e una fiera gastronomica testaccina. I fittiani si vedono a cena da Checco Er Carrettiere, i “turchi” si danno appuntamento da Gigi Er Birocciaio, D’Alema riunisce i fedelissimi si presume davanti ai suoi vini, Fioroni chiama segretamente a raccolta i democristiani del Pd attorno a un piatto di trippa…
Non si elegge così un capo dello Stato. Il consueto spettacolo di manovre, rivalità, invidie, tutto interno al ceto politico, sarebbe già stucchevole in tempi di crescita economica, di coesione sociale, di consenso diffuso. In un tempo di depressione, di disagio, di crisi dei partiti e della rappresentanza, i riti della vecchia politica diventano insopportabili.
La soluzione migliore sarebbe far eleggere il presidente della Repubblica direttamente dai cittadini. Forse Renzi proporrà questa riforma quando sarà vicino ai cinquant’anni; per il momento l’elezione diretta del capo dello Stato è stata agitata dalla destra come una bandiera e respinta dalla sinistra come un tabù, senza che se ne sia discusso seriamente; a meno che si consideri seria la poco rimpianta Bicamerale degli anni 90. Nell’attesa, si potrebbe almeno far precedere la scelta della massima autorità istituzionale da una vera discussione pubblica.
Basta con questa deformazione superstiziosa mediterranea, con questa attitudine da Totò e Peppino per cui “non bisogna fare nomi se no si bruciano”. Il capo dello Stato non si decide in trattoria a Trastevere l’ultima notte utile, magari dopo aver pagato il conto con i soldi pubblici. Come ha fatto notare Marcello Sorgi sulla Stampa, persino il Papa stavolta non è uscito da un conclave ipersegreto; anzi, il profilo del successore di Pietro è stato discusso in lunghe congregazioni di cui per giorni i cardinali americani hanno dato conto in apposite conferenze stampa. In Germania, dove il presidente ha un ruolo appena simbolico, l’elezione indiretta è preceduta da un dibattito parlamentare. Noi siamo ancora ai veti incrociati, agli odi di partito, alle rivalità meschine, che già due anni fa costrinsero i segretari a chiedere un sacrificio a Giorgio Napolitano; il quale se potesse tornare indietro forse rifiuterebbe. Passi per le volgarità di Grillo, che erano da mettere in conto; ma il voltafaccia di Berlusconi, che dopo aver voluto la rielezione di Napolitano ha cominciato a sparargli addosso per grazia rifiutata, non è stato un bello spettacolo.
L’immagine che sta dando il Pd non è certo migliore. I bersaniani si muovono come divinità offese, pronte a far pagare ai compagni il duplice “tradimento” (Marini-Prodi) di due anni fa. I renziani la fanno facile. Ma sarà dura per qualsiasi uomo del Pd ricompattare un partito diviso tra leader che hanno passato la vita a combattersi. Le chance di Sergio Mattarella, oltre che da una bella storia personale, vengono proprio dal fatto di essere desaparecido da vent’anni. Quasi nessuno si ricorda chi sia; ma proprio per questo non è odiato, né dentro il suo partito né fuori. Un viatico dignitoso ma modesto.
Resta da capire quale orientamento guiderà Renzi. C’è da sperare che il premier vinca la tentazione di insediare un presidente debole. Se avesse vinto le elezioni (quelle vere, le politiche), se la ripresa economica fosse vigorosa, insomma se Renzi potesse dire alla Craxi “la nave va”, forse un capo dello Stato “tondo”, senza un grande profilo ma anche senza grandi asperità, privo di competenze economiche e di esperienze internazionali ma ricco di consensi trasversali, potrebbe anche andar bene. Ma con una battaglia in Europa contro l’austerità ancora tutta da vincere, con una Germania mal disposta verso Draghi (figurarsi verso gli altri italiani), con una tempesta finanziaria sempre pronta a scatenarsi, con una ripresa fiacca, Renzi dovrebbe capire che conviene pure a lui puntare su una personalità apprezzata all’estero e che dia garanzie anche sul piano della preparazione economica.
Sarebbe importante che questi ultimi giorni venissero spesi per una discussione pubblica — in Parlamento, attraverso i media, online — sul profilo e anche sul nome del prossimo presidente. Tanto l’opinione pubblica si farà sentire lo stesso. È sempre stato così, almeno dal ’92 in avanti. Meglio sarebbe farla votare. Se non altro, le si dica con chiarezza cosa dovrebbe fare il nuovo capo dello Stato, e quali caratteristiche dovrebbe avere.