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 2015  gennaio 22 Giovedì calendario

COME UN ANNO NELLO SPAZIO PUÒ INFLUIRE SUL CORPO UMANO

Mark e Scott sono le due controparti dell’esperimento perfetto. Hanno tutto in comune: dall’età, 50 anni, ai geni, dalla carriera di astronauti al cognome, Kelly, che avrà senza dubbio un posto d’onore nella storia delle missioni spaziali. Scott chiama Mark «il fratello maggiore» come se nascere dalla stessa madre sei minuti prima fosse un tempo sufficientemente lungo. A cinque anni parlavano un loro linguaggio segreto, incomprensibile agli adulti, si vestivano uguali e sognavano di costruire un razzo per viaggiare nello spazio e scoprire mondi ignoti.
Sogni in parte realizzati perché agli inizi degli anni ottanta questi due gemelli identici divennero piloti di navicelle per la Nasa e in seguito astronauti sullo Shuttle. Dal 1999 hanno partecipato a missioni congiunte nello spazio, sebbene mai contemporaneamente: non che la Nasa fosse contraria ma, come ha raccontato Scott al settimanale Time, «sarebbe una colossale stupidaggine se un bambino perdesse insieme padre e zio». Scott, finora, ha accumulato 180 giorni di missioni nel cosmo, ed è ancora attivo; Mark di giorni in orbita ne ha fatti 54, si è ritirato e oggi è consulente per SpaceX, azienda americana di trasporti spaziali. La Nasa non poteva che scegliere loro, i «Kelly brothers», per l’esperimento cruciale per la riuscita della futura missione su Marte: studiare come l’organismo reagisce all’assenza di gravità e alle altre difficoltà insite nelle missioni spaziali prolungate.
A partire dal prossimo 28 marzo, data prevista della sua partenza, Scott passerà un anno nella Stazione spaziale internazionale (Iss) mentre il gemello Mark resterà sulla Terra. A un’età in cui, in genere, gli astronauti appendono le tute al chiodo, loro due saranno l’asso nella manica per il futuro dei viaggi cosmici.
Il fatto di condividere i geni e, in generale, la stessa struttura fisica, consentirà agli scienziati, per la prima volta, di estrapolare con accuratezza i cambiamenti sul corpo umano dovuti al fatto di vivere in orbita. Le reazioni di organismi così simili, come nei gemelli monozigoti, in ambienti così diversi saranno analizzate da cima e fondo e comparate. I due dovranno sottoporsi (Scott sulla Iss, Mark sulla Terra)a una serie numerosa di test medici e psicologici. Tutto ciò con l’obiettivo di risolvere i problemi finora insoluti che riguardano la salute nello spazio.
Il nostro organismo si è infatti evoluto in presenza di gravità. In assenza di questa forza, le sue funzioni non possono essere svolte in modo ottimale: è come se un pesce di mare dovesse vivere in acqua dolce. Per esempio, se le parti inferiori del corpo non reggono peso per lungo tempo, il calcio contenuto nelle ossa viene rilasciato nel sangue; la massa ossea si riduce con il rischio che si formino calcoli renali. I muscoli, in assenza di esercizio, possono atrofizzarsi. Senza gravità il cuore s’indebolisce, perché perde l’esercizio di pompare il sangue nelle estremità superiori.
Anche il sistema dell’equilibrio ne risente. Tra gli altri inconvenienti, strani disturbi agli occhi. Scott racconta che al rientro della sua ultima missione (159 giorni nella Iss nel 2011), gli rimasero per un certo tempo fastidiosi e insistenti spasmi agli occhi. Inconvenienti che Mark non ha mai avuto. «Questo perché hai passato meno tempo di me nello spazio» gli ha ribattuto Scott (tra i due c’è un filo di competizione).
Addormentarsi può essere un’altro problema, a causa dei rumori nella stazione e dei ritmi di lavoro intensi. Sei ore di sonno al giorno provocano, alla lunga, stati di ansia e una ridotta capacità di reazione. Gli esperti della Nasa si aspettano che dalle analisi comparate dei due gemelli emergerà nel tempo una differenza nella loro flora intestinale, importante nel combattere le infezioni. Luca Parmitano, astronauta dell’Esa (l’Agenzia spaziale europea) che ha passato 166 giorni in orbita con la missione Volare dell’Asi, spiega: «Gli astronauti riciclano tutti i liquidi, anche l’urina, e li trasformano in acqua». Sarà determinante capire come la flora batterica di Scott cambierà dopo mesi in orbita. «Consegnare campioni di urina e feci sarà una cosa terribilmente eccitante» scherza Scott.
Passare così tanto tempo in un ambiente confinato e particolare come la stazione orbitante non è una passeggiata. La base non è un bilocale, ha più o meno le dimensioni di un campo da calcio. Ma viverci significa seguire un programma rigido: 30 per cento di tempo dedicato a esperimenti scientifici, 40 per cento all’esercizio fisico e un altro 30 per cento a riparare guasti all’hardware dei 52 computer di bordo e ai 13 chilometri di cavi. Una routine che può provocare, persino in un veterano dello spazio come Scott, stress, tensione, depressione.
«È un mestiere rischioso» ammette Mark, che ha lasciato la Nasa quando la moglie, Gabrielle Giffords, ex-membro del congresso, nel 2011 fu gravemente ferita in un attentato. «Ma ne vale la pena. Io provo nostalgia per ogni singolo giorno trascorso lassù. E non ho rinunciato all’idea di ritornarci anch’io, prima o poi».