Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 23/1/2015, 23 gennaio 2015
IN ITALIA L’ISLAM CRESCE E PROSPERA
Nuovi provvedimenti anti-Isis decisi dal consiglio dei ministri: Je suis Charlie ha drammaticamente scoperchiato la pentola e solo ora l’Italia e l’Europa sembrano scrollarsi di dosso il torpore sull’immigrazione. Il rischio è quello del tanto fumo e poco arrosto. Certo, provvedimenti come la pubblicizzazione delle liste d’imbarco negli aerei vanno varati, e subito. Ed è sacrosanto l’allontanamento dal suolo europeo di chi flirta con gli sgozzatori. Ma sull’islam si spendono troppe parole a sproposito, col rischio di aumentare la confusione e mancare l’obiettivo di sconfiggere i terroristi. Cerchiamo di «entrare» nell’islam con chi ha dedicato gli ultimi cinque anni (e non solo) a una ricerca, finanziata dal Cnr, nelle moschee, nelle comunità islamiche, nei quartieri romani dell’immigrazione. Si tratta della sociologa Alessandra Caragiuli (università La Sapienza, a Roma) che da questa sua esperienza ha tratto un libro, L’Islam Metropolitano (edizioni Edup), quanto mai attuale dopo i tragici fatti di Parigi poiché comprendere l’islam è fondamentale per isolare i violenti. Le «sue» statistiche sono più veritiere di quelle ufficiali, appunto perché costruite sul campo.
A Roma e provincia vivono persone provenienti da oltre 190 Paesi. L’Islam nella Capitale è la seconda religione per numero di praticanti. Sui 100mila musulmani residenti nell’area romana gli osservanti che frequentano abitualmente i ventotto centri islamici disseminati nel territorio provinciale sono circa 16mila (16%). A questo numero occorre aggiungere altre 10mila persone (10%) che praticano la fede in spazi privati prestati ai rituali religiosi. Queste stime crescono notevolmente, fino ad arrivare al 40%, in occasione della congregazione del venerdì, durante il mese di Ramadan e nelle celebrazioni delle festività islamiche.
Per quanto riguarda l’Italia si stima la presenza di un milione e settecentomila musulmani, provenienti da Europa dell’Est, Maghreb, Sahara, Medio Oriente, Africa subsahariana e Asia, appartenenti a una pluralità di credo, e di oltre 750 moschee, in crescita soprattutto nel Centro-Sud del Paese.
«Vi è un fenomeno in espansione in Italia – sostiene la sociologa – ed è il processo di re-islamizzazione, è in crescita il numero dei migranti che arriva laico e non praticante e riscopre la fede nel Paese d’accoglienza cominciando a frequentare moschee, associazioni o organizzazioni religiose e politiche. Il mito da sfatare è che non arrivano i musulmani a convertirci e ad imporre la loro fede, ma arrivano persone non praticanti che qui trovano nell’islam un proprio sentire comune. Per esempio quando due persone decidono di mettere su famiglia il percorso che dal matrimonio porta a dover definire il tipo di educazione da impartire ai figli costringe ad interrogarsi. Come li si educa in un Paese che non è musulmano? I modelli formativi creano conflitti anche fra genitori e figli, coinvolgono le cosiddette seconde generazioni con risultati contraddittori. Da una parte la ricerca di maggiore libertà dei figli stessi, che si traduce nel riconoscersi totalmente nei modelli del Paese ospitante, in cui magari sono nati, dall’altra – è il caso speculare – di giovani che ritrovano nell’islam una propria identità».
Secondo Alessandra Caragiuli è questa re-islamizzazione che rappresenta il fenomeno più dirompente dell’immigrazione musulmana: «bisogna partire dalla considerazione –afferma- che nei nostri Paesi è in crisi è la cultura laicista, che spesso non riesce a far breccia in chi arriva. Il modello laico è percepito da molti musulmani estraneo alla tutela dei diritti. Essi vivono i nostri Paesi come ostili (anche perché non mancano atti di ostilità e di discriminazione) e l’Islam diviene una risposta protettiva. Così stanno aumentando i processi di conversione e di ritorno ad una religione rigidamente praticata che trova nella sharia la fonte primaria del diritto. È nato nei quartieri delle nostre città un diritto parallelo a quello statuale, a cui ci si appella. Si formano informali consigli dei saggi che risolvono i problemi. Ho incontrato, per la mia ricerca, molte persone che hanno una propria storia laica nel Paese di provenienza, legato all’essere eredi di un passato post coloniale. Gli stessi ora vivono una fase di ritorno e di re-islamizzazione nel Paese di approdo».
Per la studiosa dell’immigrazione islamica: «I cambiamenti in chiave post-secolare sono evidenti proprio nei tentativi di istituzionalizzazione dei diversi istituti musulmani in Italia. Non soltanto quello matrimoniale e scolastico, ma pure i meccanismi di regolamentazione del diritto fuori della legge italiana, ricorrendo a tribunali informali o consigli normati secondo la sharia».
Insomma, in Italia esisterebbe già una sorta di apparato parallelo islamico, regolato da proprie tradizioni e leggi. Il rischio è che finisca per strutturarsi una specie di società autonoma, che rifugge dai codici ufficiali e che si rafforza in una spirale perversa ad ogni ondata anti-immigrazione. Che fare?
«Il legislatore, di intesa con le comunità- suggerisce la sociologa- dovrebbe far sì che la formazione degli imam avvenisse in loco. La maggior parte di quelli che ho intervistato si sono formati nei Paesi di origine. Vero che il radicamento in Italia è recente e che le comunità sono ancora relativamente giovani, ma bisogna rapidamente dotarsi degli strumenti necessari per staccare l’islam dai Paesi di provenienza. Altro punto critico sono le scuole. Perché l’apprendimento dell’arabo deve avvenire nelle moschee? Quelle sono scuole importanti di cultura islamica ma occorrono istituti deputati pubblici. Dovrebbe accadere come in Germania dove come seconda lingua, nella scuola pubblica, si può scegliere l’arabo. Io vedo una forte pericolosità nel fatto che, ad esempio, per chi arriva dai Paesi dell’Asia Meridionale, la moschea rappresenti la sola offerta formativa».
Quanto sta succedendo con l’Isis impone di non mettere la testa sotto la sabbia ma neppure di rispondere col razzismo e le barricate indiscriminatamente contro i musulmani, i califfati vanno combattuti mentre le dinamiche di un islam non terroristico che si sta infoltendo in Italia debbono essere studiate anche perché spesso sottotraccia e sconosciute ai più. Un esempio? Lo fornisce l’autrice dell’ Islam Metropolitano: «oggi troviamo molti di coloro che hanno vissuto giovanili esperienze laiciste tra i militanti di organizzazioni islamiste o tra i più ortodossi adepti di ordini ultratradizionalisti, che includono un numero sempre più rilevante di convertiti italiani, un fenomeno, a loro dire, in straordinaria ascesa. Sono aumentati i processi di conversione e di ritorno a una religione rigidamente praticata, che trova nella sharia la fonte primaria del diritto. Si supplisce con una pratica comunitaria al forte isolamento sociale».
Nella sua ricerca sul campo Alessandra Caragiuli ha incontrato anche i missionari tablighi. «Fanno parte – spiega – di una rete internazionale che sta facendo opera di re- islamizzazione nella diaspora. Si tratta, in Italia, di almeno 13 mila persone con una visione molto conservatrice dell’islam. Con una organizzazione precisa e strutturata cercano di riportare alla religione coloro che si sono allontanati, proponendo modelli formalmente e culturalmente legati ai Paesi di provenienza. Sono nati in India fra gli anni Trenta e Quaranta ma oggi stanno crescendo soprattutto in Europa. Non cercano di fare proselitismo ma trasmettono una visione totalizzante della religione. Sono veri e propri missionari erranti, in Italia, provenienti soprattutto dal Bangladesh, dal Pakistan e dal Maghreb. Sono interessanti perché così come considerano fondamentale una interpretazione letterale dei princìpi religiosi evitano di entrare nelle contese politiche. Insegnano e pregano in nome di una pace universale e del rifiuto della violenza, non vogliono criticare le legislazioni europee, anche nei loro aspetti repressivi, ma mirano ad entrare nella vita quotidiana delle persone per riorientarla».
Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 23/1/2015