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 2015  gennaio 17 Sabato calendario

STADIO ALZA LA VOCE

«Quando entro al San Paolo per me è come entrare in chiesa. Perché? Perché qui ha giocato Diego Armando Maradona. Il dio del pallone». Che gli vuoi dire, a uno così? A uno – Saverio Passaretti, presidente del Napoli Club – che, figlio di una città dove il calcio assurge a religione, se ne infischia della via crucis cui si sottopone ogni domenica, fatta di tante stazioni: la tessera del tifoso, il biglietto nominale, le code ai tornelli (il biglietto si infila di qua? No, di là), il seggiolino mezzo scassato e occupato dall’abusivo, il bagno che è un vero cesso, le trasferte sotto scorta e a rischio carica doppia: dei tifosi avversari e della polizia. Insomma, uno dei 9 milioni 800 mila inguaribili che nello scorso campionato di Serie A hanno sfidato restrizioni e disagi pur di non mancare all’appuntamento settimanale con la partita allo stadio. Un piccolo esercito, formato per la maggior parte da uomini nella fascia 18-30 anni e over 60 (più scarsi i 40-50enni), diplomati, impiegati, certo di gran lunga inferiore in base ai dati dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive ai 16 milioni 900 mila spettatori della Premier inglese e ai 15 milioni 400 mila della Bundesliga tedesca. In ogni caso i tifosi meritano maggiori attenzioni da parte dello Stato e delle società rispetto a quelle loro riservate, condannati come sono ad assistere a uno spettacolo spesso modesto in impianti vecchi e inadeguati, con una qualità dei servizi, all’interno e all’esterno, che quasi mai raggiunge un livello dignitoso.

L’ECCEZIONE JUVENTUS
La fotografia del tifo da stadio in Italia, all’alba del 2015, non può che iniziare da qui, da un flash su una situazione che è sotto gli occhi di tutti: nel nostro Paese si gioca un brutto calcio in brutti teatri. La nona industria italiana (2 miliardi di euro prodotti all’anno) è lo specchio della depressione, progettuale e operativa prima ancora che economica, che ci affligge: per esempio, la legge sugli stadi è diventata realtà dopo un iter annoso e tormentato, ma resta da vedere quanto le pastoie burocratiche legate alle grandi opere rallenteranno la posa della prima pietra. L’eccezione, in questo senso, è rappresentata dallo Juventus Stadium, ormai elevato non soltanto in Italia a modello di efficienza economica prima ancora che sportiva. «Per Juve-Verona di coppa Italia, in programma alle 21 di un giovedì di gennaio, abbiamo venduto quasi 30 mila biglietti», dice Francesco Calvo, chief revenue officer della Juventus, ovvero il responsabile della struttura che sviluppa le fonti di ricavo del club, che per lo stadio ammontano a circa 40 milioni di euro l’anno. «La gente ha voglia di esserci, semplicemente: perché ora si vince, certo, ma non solo. Uno stadio moderno e confortevole, attraente per tutto quello che gli sta intorno – il museo, il centro commerciale, le iniziative per intrattenere il pubblico prima della partita – diventa anche più sicuro. Da quando è stato inaugurato, 4 anni fa, non abbiamo neanche dovuto ridare la vernice ai muri, tranne che nel settore ospiti. Questo perché tutti, ultras compresi, percepiscono lo Juventus Stadium come la loro casa. Ecco perché ci sono molte più famiglie rispetto a prima».
Uno stadio nuovo per «riportare le famiglie alla partita» è anche la scommessa che l’Udinese annuncia per bocca di Alberto Rigotto, suo amministratore finanziario. «Sarà tutto coperto, con bagni e bar disposti in più punti facili da raggiungere. Cose banali, che però oggi mancano. Vogliamo anche recuperare gli anziani: hanno diritto di venire alla partita e di raggiungere il loro posto senza che prima abbiano scalato un Everest». Il nuovo “Friuli”, che sarà consegnato a fine stagione, sorgerà sulle ceneri del vecchio: ristrutturato su un lato e costruito ex novo su tre, conterrà 25 mila spettatori e sarà disposto su 3 piani: piano terra ad altezza del campo da gioco (come lo Juventus Stadium sarà senza barriere), al primo superiore e nell’interrato sono previsti un centro commerciale e delle palestre. Ancora allo stato embrionale invece i progetti dei nuovi impianti di Cagliari, Roma, Palermo e Milan, quest’ultimo voluto da Barbara Berlusconi. «Ma pensi a cosa potrà significare per i tifosi se davvero sorgerà, come sembra, vicino a Casa Milan, nel quartiere del Portello, in piena città», dice Giuseppe Munafò, a capo dell’associazione italiana Milan Club. «Casa Milan ha rappresentato una svolta nel modo di vivere la partita: molti, soprattutto se in gruppo, prima dello stadio fanno una puntata nella nuova sede per vedere il museo».
Peccato, però, che San Siro, non solo quello vestito di rossonero, sia sempre più vuoto, come quasi tutte le arene della Serie A: la loro percentuale di riempimento è pari al 52%, per un’affluenza media di 23.490 spettatori, contro il 92% degli stadi inglesi, l’89 dei tedeschi e il 71 degli spagnoli (dati aggiornati al campionato 2013-14). Colpa solo della ridotta qualità tecnica del nostro campionato, dei risultati della squadra, delle restrizioni e divieti imposti dallo Stato al libero accesso del pubblico, degli impianti fatiscenti? No. Da un’indagine della Lega di A è emerso che il 98% degli appassionati italiani (22 milioni in totale) segue il calcio quasi esclusivamente in tv e solo 1 su 3 dichiara di essere andato allo stadio almeno una volta nella passata stagione. Il 56% dichiara di preferire la tv perché ritiene lo stadio insicuro. La percentuale si riduce al 10% se la stessa domanda viene rivolta a chi frequenta abitualmente lo stadio.
Cosa vuol dire? Che gli stadi non sono così pericolosi come sembra. Non del tutto, almeno. Confrontando i dati dell’ultimo campionato con quelli della stagione 2005-06, precedente alla morte dell’ispettore Filippo Raciti durante Catania-Palermo del 2 febbraio 2007 e alla successiva introduzione delle norme antiviolenza (biglietto nominale e acquistabile solo in numero limitato e in determinati punti vendita, tornelli, eccetera), il risultato è che il numero dei feriti negli scontri tra tifosi e tra questi e la polizia è diminuito del 60,1% (da 148 a 59), così come il numero dei feriti tra i poliziotti.

NUMERI DA INTERPRETARE
Certo, lo Stato spende ancora troppo per la sorveglianza dentro e fuori dallo stadio: 25 milioni di euro nella sola scorsa stagione, con 185.686 tra poliziotti e carabinieri impegnati (206.998 invece gli steward impiegati dai club); soprattutto, rispetto alla stagione 2012-13, gli incidenti in A sono aumentati del 105,2% (da 19 a 39 partite con scontri), così pure i feriti tra spettatori (+62,5%), forze dell’ordine (+450%) e steward (+380%). Le percentuali spaventano, ma si ridimensionano se tradotte in numeri assoluti: quello degli spettatori feriti (da 32 a 52), delle forze dell’ordine (da 6 a 33) e degli steward (da 5 a 24). Perciò: i nostri stadi restano a rischio (in Lega Pro gli incidenti sono considerevolmente diminuiti), ma, nel lungo periodo, la sicurezza è aumentata. E poi: il 91% degli scontri avviene prima e dopo la gara, spesso lontano dall’impianto, e solo il restante 9% durante la partita.
«Eppure le norme sono troppo restrittive, colpiscono nella stessa misura i “buoni” e i “cattivi”», dice Daniele Muraro, presidente degli Udinese Club. «Per organizzare la trasferta a Reggio Emilia per la partita col Sassuolo, sabato scorso, abbiamo avuto grossissime difficoltà: il Sassuolo si serve di una biglietteria elettronica diversa da Lottomatica, abbiamo dovuto mandare i numeri delle nostre tessere al centro controllo di Napoli, dove sono state verificate una a una».
«Ma la tessera del tifoso ha portato benefici e a chi non vuole essere schedato dico che anche la tessera sanitaria è una schedatura», interviene Saverio Passaretti. «Eliminerei invece il biglietto nominale: perché abbia efficacia ci sarebbe bisogno di controlli minuziosi ai tornelli, invece è una verifica che si fa a campione».
«Quelli della curva si lasciano passare senza nessun controllo. Ho fatto lo steward ai tornelli di San Siro e lo so bene», conferma Federico, 23 anni. «Il biglietto si chiede e le perquisizioni si fanno sui padri di famiglia, poi vedi ragazzetti passare con le bombe carta. Il fatto è che entrano tutti insieme, spingendo e coprendosi l’uno con l’altro. Come fai a fermarli? E se dici qualcosa, ti rispondono così: noi siamo i tifosi, quelli veri. Sarà per questo che ho visto i capi ultrà insieme ai dirigenti nella Sala Executive dello stadio».