Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 23/1/2015, 23 gennaio 2015
GUAR - Da qualche tempo migliaia di contadini indiani non dormono sonni tranquilli. Al centro dei loro pensieri c’è il crollo del petrolio, che sta trascinando con sé anche la domanda - e i prezzi - del guar, un’umile leguminacea, di aspetto simile ai fagiolin, che negli ultimi anni grazie allo shale oil ha conosciuto un successo strepitoso
GUAR - Da qualche tempo migliaia di contadini indiani non dormono sonni tranquilli. Al centro dei loro pensieri c’è il crollo del petrolio, che sta trascinando con sé anche la domanda - e i prezzi - del guar, un’umile leguminacea, di aspetto simile ai fagiolin, che negli ultimi anni grazie allo shale oil ha conosciuto un successo strepitoso. Dai semi di questa pianta, coltivata per l’80% in India, si estrae infatti una sostanza collosa, la gomma di guar, che viene utilizzata nel fracking, per addensare la miscela di sabbia, acqua e sostanze chimiche da iniettare nel terreno per farne sgorgare petrolio o gas. La sostanza ha anche altri impieghi, nell’industria alimentare, cosmetica e tessile, e nei mangimi animali. Ma è con la corsa allo shale oil che ha cominciato ad andare veramente a ruba, tanto che il suo prezzo è quasi decuplicato tra il 2010 e il 2012, raggiungendo un picco di 11.135 $/tonnellata. Ora è tornata a valere appena 186 $. I prezzi record hanno spinto a sviluppare sostanze sintetiche sostituive, ma soprattutto hanno fatto esplodere la produzione. Non solo in India, ma anche negli Usa, dove l’unico fornitore rilevante, la West Texas Guar, finanziata anche da un hedge fund (Scopia Capital Management) è già finito in bancarotta. Se il barile sotto 50 $ dovesse ora provocare una seria frenata dello shale oil, per il guar si metterebbe davvero male.