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 2015  gennaio 23 Venerdì calendario

ARTICOLI SUL QUANTITATIVE EASING DAI GIORNALI DI VENERDI’ 23 GENNAIO 2015


RICCARDO SORRENTINO, IL SOLE 24 ORE -
Millecentoquaranta miliardi, sessanta miliardi ogni mese per 19 mesi. È una cifra davvero elevata quella che la Banca centrale europea ha promesso di acquistare ieri, quasi il doppio delle più ottimistiche aspettative degli analisti, che puntavano sui 600 miliardi in un anno e mezzo. È vero che nel totale sono compresi anche gli acquisti di Covered bond e di Abs già avviati in autunno, ma è evidente che il nuovo programma «ampliato» si dedicherà, oltre ad altre categorie di titoli privati, soprattutto ai titoli pubblici.

1 Le quantità in gioco
La Bce ha promesso quindi di ampliare gli acquisti, finora non quantificati, fino a 60 miliardi al mese per un periodo che va da inizio marzo a fine settembre 2016.
Il programma sarà però interrotto solo quando «vedremo una sostenuta correzione nella tendenza dell’inflazione che sia coerente con il nostro obiettivo di ottenere un’inflazione al di sotto ma vicino al 2% nel breve termine». È questo l’aspetto che più ha impressionato i mercati: la Bce è pronta ad ampliare durata e quantità degli acquisti se questi passi risultassero necessari a raggiungere l’obiettivo del 2%, che riacquista dunque la sua centralità perduta, o almeno appannata da altre valutazioni (come quella di “lanciare i messaggi giusti” a banche e governi). Sono previsti anche altri vincoli.
Per ogni emittente, per esempio lo Stato italiano, è previsto un limite del 33% dei titoli emessi (la Bank of England nel suo quantitative easing ha acquistato il 30% dei Gilt britannici) e per ogni emissione un tetto del 25%.
2 I titoli acquistabili
La Bce acquisterà titoli privati, pubblici e sovranazionali purché in euro ed emessi da agenzie di Eurolandia. A questi ultimi è destinato il 12% degli acquisti. Per quanto riguarda i titoli di Stato, ai quali secondo Citigroup saranno destinati circa 43 miliardi al mese, saranno acquistati in quantità proporzionali alle quote di capitale detenute dai singoli Stati dell’Unione monetaria nella Bce.
Escludendo la partecipazione detenuta dalla stessa Banca centrale, la Banca d’Italia ha una quota del 17,5 per cento: su un totale di 43 miliardi, sono ammessi acquisti di BTp per 7,5 miliardi al mese per un totale di 143 miliardi: circa il 6,8% dell’attuale debito pubblico italiano (destinato ad aumentare da qui a settemrbre 2016). Per poter essere acquistati gli assets dovranno avere almeno un investiment grade (al di sopra del rating BB).
Portogallo, Cipro e Grecia hanno un rating inferiore ma i loro bond non saranno esclusi dal momento che hanno un programma di salvataggio, e fino a quando lo seguiranno: un evidente messaggio a Syriza che potrebbe vincere le elezioni sulla base di un programma che intende cancellare o ridimensionare i piani di austerità.
L’Italia è invece all’ultimo scalino: un ulteriore bocciatura e rischia di dover chiedere l’intervento di Unione europea e Fondo monetario internazionale.
Riccardo Sorrentino
3 La divisione dei rischi
La Bce, ha spiegato Draghi, ha come principio base la condivisione dei rischi, che ha spesso trovato ampie eccezioni. Anche in questo caso.Per venire incontro alle preoccupazioni, un po’ ipotetiche, dei critici, e in particolare della Bundesbank, le eventuali perdite sui bond acquistati ricadranno sulle singole banche centrali nazionali.
La Bce non ritiene che questa deroga abbia conseguenze economiche rilevanti e ha ritenuto quindi di poter andare incontro alle obiezioni di alcuni banchieri centrali.
Ha però voluto ribadire il principio generale della condivisione dei rischi sia sui titoli emessi da agenzie sovranazionali (che saranno il 12% del totale) sia su una quota dell’8% dei titoli di stato acquistati.
Il rischio sul 20% dei titoli pubblici e sovranazionali acquistati resterà dunque in capo alla Bce, e quindi in comune.
In ogni caso, ha precisato Draghi, tutto il processo decisionale resterà nel consiglio direttivo di Francoforte: la politica monetaria, ha detto, resta unitaria.

4 Le altre misure
Gli acquisti di titoli, il quantitative easing, non sono l’unica decisione presa ieri dalla Banca centrale europea, che ha mantenuto invariato il tasso di riferimento allo 0,05%, ma ha abbassato quello applicato alle Tltro, le aste triennali di liquidità finalizzate ai prestiti per le aziende non finanziarie: a queste operazioni, che hanno cadenza trimestrale, sarà applicato lo stesso tasso principale dello 0,5%, senza la maggiorazione dello 0,10% (allo 0,15%) prevista finora. Le due Tltro effettuate nel 2014 hanno un po’ deluso per la limitata partecipazione delle banche, mentre troveranno ora negli acquisti di titoli una forte concorrenza come fonte di liquidità. Restano in piedi inoltre tutti gli altri programmi della Bce: a cominciare dagli Omt, varati e mai lanciati: sono acquisti di titoli chiesti dai governi di Stati in difficoltà che si impegnano a rispettare rigorose condizioni. Per le Omt i rischi saranno, per la stessa natura dell’intervento, totalmente condivisi.
5 Verso l’economia reale
Gli acquisti di titoli della Bce continueranno a essere definiti, come è già avvenuto con quelli della Fed, un quantitative easing. A rigore la Bce punta soprattutto su un credit easing, a rendere letteralmente più facile il credito. Tecnicamente è un «effetto di riequilibrio di portafoglio»: in sostanza la Bce acquista i titoli dalle banche che in cambio ricevono liquidità. Con questo denaro possono ridurre i debiti, possono accendere depositi alla Bce - pagando gli interessi, ora negativi - oppure, con maggiore profitto, possono investirli ancora. I titoli finanziari, a quel punto, offriranno rendimenti molto bassi. Si spera quindi che le banche si dedichino ai prestiti alle aziende, magari redistribuendo la liquidità - Draghi ne ha fatto un accenno in conferenza stampa - all’interno di Eurolandia con operazioni “all’estero”. Le aumentate dimensioni del bilancio Bce dovrebbero inoltre, di per sé, aumentare le aspettative di inflazione, oggi davvero basse. Non mancherà infine - i mercati ieri lo hanno ricordato - un effetto anche sull’euro, complice anche la stretta in arrivo negli Stati Uniti.

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GIOVANNI STRINGA, CORRIERE DELLA SERA -
Davos Come funziona il programma di acquisto di titoli di Stato deciso dalla Bce? Innanzitutto, le operazioni saranno condotte sul mercato secondario: non durante le aste lanciate dai singoli Stati, ma successivamente, quando i privati che hanno comprato Btp italiani o Bonos spagnoli (per citare due esempi) decidono di rivenderli prima della scadenza. Ma vediamo ora gli altri dettagli più numerici.
I titoli sotto la lente
Il programma prevede l’acquisto di titoli per 60 miliardi al mese a partire da marzo. Verranno comprati soprattutto bond di Stato, ma non solo. Saranno acquistate anche obbligazioni delle istituzioni sovranazionali europee. Il piano include la prosecuzione delle operazioni di acquisto di titoli cartolarizzati (Abs) e garantiti (covered bond). La ripartizione, secondo le stime dei ricercatori di Unicredit, potrebbe essere la seguente: 5-10 miliardi in titoli privati (cartolarizzati e garantiti), 45 miliardi in bond pubblici nazionali e il resto in obbligazioni delle istituzioni europee sovranazionali. Il programma durerà fino al settembre 2016 o, almeno finché l’inflazione non si sarà risollevata verso l’obiettivo del 2%.
L’importo totale del piano, fermandosi a settembre del prossimo anno, dovrebbe aggirarsi sui 1.140 miliardi . Ma l’importo scende a circa 850 miliardi se si considerano solo gli acquisti di titoli di Stato. Entreranno nel programma i bond con scadenza dai due ai 30 anni. Gli acquisti avverranno sulla base delle quote dei singoli paesi nell’azionariato della Banca centrale europea.
La condivisione dei rischi
Il punto non è tanto chi acquisterà i titoli, se la Bce o le banche centrali, quanto chi si farà carico dei relativi rischi.
Concentriamoci quindi sui bond pubblici (europei o nazionali): solo il 20% sarà comprato in un regime di condivisione del rischio, a carico dell’eurosistema, mentre il restante 80% peserà sulle spalle delle banche centrali nazionali. E visto che, di questo 20%, un 12% sarà composto da titoli emessi da istituzioni europee, la quota di titoli di Stato nazionali soggetti a mutualizzazione si ferma all’8%.
I tetti
Le operazioni di acquisto previste dal «quantitative easing» avranno poi i due tetti seguenti: non si potrà comprare più del 25% dei titoli messi in circolo con ogni emissione. E non potrà essere acquistato più del 33% del debito pubblico di un singolo Paese, inclusi i titoli di Stato già in pancia alla Bce. Entreranno nel programma solo titoli considerati «investment grade» (quindi non al livello “spazzatura”) da almeno una delle principali agenzie di rating. Ma sono previste eccezioni per i Paesi che si trovano sotto un programma di assistenza internazionale e che ne rispettano le indicazioni. Lo sguardo è rivolto alla Grecia: potranno essere acquistati anche titoli di Stato ellenici se il Fondo monetario, attraverso le diverse «review», considererà Atene in linea con le condizioni previste dal piano.
Le banche
La Bce ha anche abbassato il tasso di interesse sulle Tltro, le operazioni di liquidità finalizzate ai prestiti alle aziende. Non si applicherà più lo spread di 0,10 punti percentuali sul tasso di riferimento. Le banche potranno richiedere denaro allo 0,05% e non più allo 0,15%. La Bce vuole cosi’ rendere queste aste più interessanti, dopo la domanda sotto le aspettative nel corso del 2014.
Giovanni Stringa

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GIUDITTA MARVELLI E GINO PAGLIUCA, CORRIERE DELLA SERA -
Il quantitative easing è difficile da pronunciare. Meglio saltare direttamente alle conclusioni, ai suoi (auspicabili ma non garantiti) effetti sulla vita quotidiana. In sintesi: mutui a buon mercato e banche più disponibili a prestare denaro a famiglie e imprese; listini azionari europei di nuovo al centro dell’attenzione dei grandi investitori internazionali con conseguente rialzo delle quotazioni; tassi di interesse e rendimenti obbligazionari bassi. Se poi il piano della Bce funziona e il motore dell’economia si rimette in moto, gli interessi dei bond e le rate dei mutui risaliranno, insieme al costo della vita. Dire quando, è impossibile. Nemmeno gli Usa, che praticano il Qe da otto anni, hanno ancora deciso di rompere il tabù del costo del denaro diverso da zero.
Mutui più facili
Arduo ipotizzare ulteriori diminuzione dei tassi, perché i parametri di indicizzazione sono ai minimi storici. Ieri l’Euribor (il tasso interbancario che fa da base per i mutui variabili) è finito addirittura a zero sulla scadenza mensile. I migliori variabili oggi sono offerti sotto il 2%, i fissi sotto il 3,5%: non è escluso che le banche decidano di mettere un «pavimento» ai variabili per impedire discese eccessive. E’ vero che dovrebbero diventare più generose sul fronte delle risorse da destinare ai mutui. Ma gli spread (le maggiorazioni applicate ai tassi di mercato pari oggi al 2% circa) scenderanno ancora solo per i clienti migliori, quelli più solvibili. Un consiglio: se si trova oggi un fisso sotto al 3,5% vale la pena pensarci. Perché? Se entro due anni inflazione e tassi tornassero sul serio al 2%, un mutuo variabile da 120 mila euro a 20 anni vedrebbe la sua rata salire da da 613 a 797 euro. Scegliendo il fisso invece si continuerebbe a pagare lo stesso importo della prima rata e cioè 684 euro al mese.
Bond con qualche rischio
Negli ultimi tre anni le emissioni pubbliche italiane sono state fonte di guadagni notevoli, anche nell’ordine del 30-40%. Ora gli spazi di riduzione degli spread e di discesa dei rendimenti si sono veramente ristretti. Il Btp decennale rende l’1,6% (chiusura di ieri), le emissioni brevi poco più di zero. Per guadagnare con le obbligazioni bisogna allungare la scadenza, alzare la posta del rischio emittente, accettare la diversificazione valutaria. Tutte mosse possibili, che però comportano un certo grado di rischio, diverso da quello che ci si è presi quando i Bot rendevano l’8% e lo spread era a 570 punti (9 novembre 2011). In prospettiva il ritorno dell’inflazione accende i riflettori sui titoli variabili, come i Btp Italia o le emissioni collegate al costo della vita in Europa.
Azioni, chi può salire
Le Borse europee potrebbero andare incontro ad un processo virtuoso di «riabilitazione». L’anno scorso Wall Street è salita a rotta di collo anche perché i grandi investitori internazionali non avevano alternative. Il bazooka di Draghi rimetterà in gioco i listini di casa? Piazza Affari e il paniere dei principali titoli europei da inizio anno sono saliti del 7-8%: i primi commenti degli analisti di tutto il mondo, dopo il verbo del Qe, lasciano intravvedere la possibilità di un interesse. Se Piazza Affari e le altre si trovassero con un premio di rischio diminuito e di un maggior valore potenziale chi può permettersi il rischio azionario può sperare in buone performance. Per le banche (simbolo della crisi), per le utilities e per le industrie del made in Italy e più in generale dell’export. Visto che già da qualche giorno si possono fare i conti con un cambio euro-dollaro che sfonda la soglia di 1,15.
Giuditta Marvelli
Gino Pagliuca

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MAURIZIO RICCI, LA REPUBBLICA -
«Troppo tardi» hanno subito detto scettici e oppositori, in buona parte tedeschi: «I tassi d’interesse sono già bassi». «Meglio tardi che mai» hanno ribattuto quelli che il quantitative easing lo reclamano da anni, soprattutto anglosassoni: «L’economia europea ha bisogno di una sferzata, anche psicologica». Ma il Qe non è solo parole: sono 1.140 miliardi di euro già sicuri, che potrebbero essere molti di più, perchè Draghi ha detto che ci si fermerà solo con l’inflazione in vista del 2%. La caduta dell’Europa in deflazione ha reso possibile una svolta storica, rivoluzionaria, che proietta la Bce su un terreno finora proibito.
ROBA ESPLOSIVA
Quantitative easing significa allentamento quantitativo della politica monetaria, realizzato non riducendo i tassi d’interesse, che sono già a zero, ma aumentando la quantità di moneta in circolazione. Tradotto in parole semplici, si capisce subito che è roba esplosiva, che calpesta convinzioni coltivate, soprattutto in Germania, per decenni. Il Qe lanciato ieri significa, infatti, stampare moneta per comprare titoli e debiti di Paesi straindebitati. E’ l’equivalente della tosatura di oro e argento dalle monete nelle monarchie di una volta o della stampa di carta moneta in tempi più recenti. Ora la moneta è elettronica, un bonifico via Internet, ma il risultato è lo stesso. La teoria dice che farà ripartire i prezzi e l’inflazione. Il paradosso è che potrebbe non riuscirci.
IL PRIMO ANELLO
Con la moneta appena creata, Bce e banche centrali nazionali rastrelleranno sul mercato secondario — cioè presso banche, fondi pensione, assicurazioni, fondi di investimento — titoli, soprattutto di Stato, perchè questo è il titolo più comune in Europa. Inizia qui la catena di effetti positivi che si aspetta Draghi. Il primo è l’irrobustimento delle finanze pubbliche dei Paesi più deboli che vedranno ridursi gli interessi sui loro titoli, grazie alla nuova domanda, e svanire le paure di attacchi speculativi, dato che c’è la Bce con la sua potenza di fuoco in campo. Ma il rastrellamento di titoli pubblici spinge anche i fondi e le assicurazioni che li hanno venduti a comprare altri titoli, azioni o obbligazioni, facendo salire anche quei prezzi e generando così un profumo di “effetto ricchezza”.
LA LEZIONE AMERICANA
Non finisce qui: il rialzo dei prezzi di titoli pubblici e privati messo in moto dal Qe rende quei titoli meno appetibili sul mercato internazionale. Gli investitori preferiranno impiegare i loro soldi altrove. Dunque, venderanno euro per comprare altre valute. L’euro si deprezzerà, ma un euro meno caro favorisce le esportazioni. Il risultato combinato dell’”effetto ricchezza” e dell’export più vivace è uno stimolo che dovrebbe rianimare l’economia, fermare la caduta dei prezzi e riavviare un po’ d’inflazione. Questo dice la teoria. Non è detto che funzioni. Fra il Qe all’europea e quello americano c’è una differenza importante, che riguarda i meccanismi del credito. Negli Usa, le aziende si finanziano per il 20% attraverso le banche e per l’80% sul mercato, emettendo azioni e obbligazioni. La Fed poteva alimentare l’attività delle industrie comprando direttamente i loro titoli. In Europa, la proporzione è rovesciata. Le aziende si finanziano per l’80% attraverso le banche e solo per il 20% direttamente sul mercato. Il risultato è che un rilancio degli investimenti e dell’attività deve passare attraverso le scelte delle banche, tuttora restie ad allargare le maglie del credito. Il Qe può naufragare qui, di fronte alla riluttanza delle banche.
VANTAGGI PER LE BANCHE
Tuttavia, lo stesso Qe fornisce agli istituti di credito condizioni eccezionalmente favorevoli. Comprando in massa titoli di Stato, Draghi smobilita portafogli di dubbia solidità nei forzieri delle banche, per esempio italiane. Allo stesso tempo, facendo salire le quotazioni in generale di tutti i titoli, il Qe fa salire anche il valore delle riserve e delle garanzie collaterali, aumentando la quota di risorse che le banche possono liberamente prestare. Molti pensano che il Qe sarebbe stato assai più efficace uno o due anni fa, quando i tassi d’interesse erano più alti e l’offensiva della Bce, oltre agli effetti sul mercato dei titoli descritti prima, avrebbe anche ridotto il costo del denaro. Oggi, i tassi sono vicini allo zero, anche se margini di riduzione, nei tassi effettivamente praticati a imprese e famiglie, vi sono ancora. Tuttavia, quello che è vicino allo zero è il tasso nominale. Aggiungetevi il calo generalizzato dei prezzi e un prestito con un tasso nominale dell’1%, se c’è una deflazione dell’1 per cento ha un costo reale del 2%. Se il Qe fa salire i prezzi, tutto si rovescia. Un prestito con un interesse dell’1% e un’inflazione dell’1% ha costo reale zero.
COSTI QUEL CHE COSTI
Tutta questa catena di effetti era stata in larga misura anticipata dagli operatori, come si vede dagli spread e dalle quotazioni dell’euro, già scese ai minimi da molti anni. Non deludendo le attese, Draghi ha evitato pericolose ritorsioni dei mercati. Da marzo in poi, quando il Qe sarà operativo, diventeranno decisive le nuove aspettative degli operatori, modellate dalle scelte compiute ieri. Due sono centrali. L’entità degli interventi, per almeno 1140 miliardi che è superiore alle attese, ma, soprattutto, non ha un tetto. Perchè, ha detto Draghi, il Qe continuerà fino a che l’inflazione europea non sarà tornata sulla traiettoria del 2%. E’ il passaggio più importante, che l’Fmi aveva chiesto esplicitamente alla Bce: un avviso esplicito ai mercati e un impegno netto, senza condizioni e scadenze, a dire che sul Qe non si torna indietro fino a che non si sarà raggiunto l’obiettivo. Una riedizione aggiornata di quel “costi quel che costi” che, due anni fa, salvò l’euro.

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UGO BERTONE, LIBERO -
Più quattrini a sostegno del credito per le piccole e medie imprese. E un incentivo, un forte incentivo alle banche perché allarghino i cordoni della borsa a favore dei mutui. Ecco, secondo gli ottimisti, i vantaggi che arriveranno nei prossimi mesi quando pioverà sui mercati, in specie sulle banche, la pioggia di liquidità erogata da Francoforte e dalle altre banche centrali, via Nazionale compresa. Non illudiamoci, ammoniscono gli scettici. Il bazooka di Mario Draghi, pur importante, è comunque troppo debole per smuovere un’economia asfittica, congelata dalla deflazione. Proviamo a capire chi può aver ragione. Facciamo qualche cifra. Il quantitative easing, sulla carta, vale 1.140 miliardi da investire in titoli, pubblici o del mondo privato, da marzo a settembre 2016. In realtà, i numeri sono un po’ diversi. Tanto per cominciare, al totale vanno sottratti i quattrini (più o meno 260-270 miliardi) già impiegati per l’acquisto dei covered Bond e degli Abs, cioè gli interventi effettuati l’anno scorso (con modesti risultati) dalla banca centrale. Avanzano 800 miliardi. Ma al totale va sottratto un altro centinaio di miliardi destinato sia dalla Bce che dalle varie banche nazionali per gli investimenti affidati alle istituzioni internazionali dalla Bei alla Birs. Restano cifre importanti, ma non faraoniche: Banca d’Italia, che detiene il 12,3% della Bce, sarà chiamata ad acquistare direttamente circa 85 miliardi cui si aggiungeranno pro quota gli acquisti della banca centrale che serviranno a sfondare il tetto dei 100 miliardi. Cifre importanti, ma spalmate in 18 mesi. E comunque assai inferiori a quelle messe in campo dalla Federal Reserve americana che ha profuso 4.500 miliardi di dollari per sradicare la crisi dall’economia americana. Insomma, è un buon inizio. Ma come ben sa Draghi, per debellare l’inflazione ci vorrà uno sforzo in più. Va aggiunto, però, che altra liquidità potrebbe raggiungere il Bel Paese. Nulla esclude che gli acquisti della Bundesbank, ad esempio, possano finire nella Penisola. Jens Weidmann acquisterà infatti Bund dalle banche tedesche che, però, non hanno certo bisogno di nuovi fondi per finanziare l’economia che non ne ha necessità. Di qui la sensazione che una buona fetta dei fondi possa far rotta verso il Sud. Ma per fare cosa? Mario Draghi ha spiegato che «l’operazione di acquisto dei titoli pubblici consentirà di creare un nuovo equilibrio nei portafogli». In parole povere, si offre alle banche, che in Italia hanno un peso ben superiore rispetto agli Stati Uniti, l’occasione per cedere una parte dei capitali (circa 400 miliardi) investiti in titoli di Stato e sostituirli con impieghi verso l’economia e le famiglie. Intendiamoci, questo non è l’unico o più importante effetto dell’iniezione di fiducia da Francoforte. L’aumento della liquidità, infatti, ha già innescato il calo dei rendimenti dei titoli pubblici (il decennale è sceso all’1,56% nuovo minimo dalla nascita dell’euro) con evidente beneficio per il servizio del debito da parte dello Stato. Nel frattempo, ieri l’euro ha accusato un robusto calo nei confronti del dollaro, sotto quota 1,14 con ricaduta immediata a vantaggio della competitività del sistema industriale, che è già tornato a segnare, grazie al calo della moneta unica, un dato positivo a novembre dopo due anni di caduta. Insomma, il Qe si traduce in un poker di rilevanti vantaggi: 1) Innanzitutto la riduzione dei tassi di interesse e dello spread che, secondo gli analisti, è destinata a scendere presto sotto i 100 punti base, come del resto hanno già fatto i Bonos spagnoli; 2) la pulizia di bilancio delle banche, ancor più importante in chiave italiana. Il vero macigno che frena il sistema sono i 184 miliardi di sofferenze (a fronte di un valore di realizzo di 88) che hanno finora drenato i soldi in arrivo da Francoforte. Il Qe potrebbe sbloccare in parte la situazione. La maggior liquidità (anche quella in arrivo da fuori) potrebbe favorire lo shopping di partite incagliate o sofferenze, secondo un meccanismo che in Usa ha funzionato; 3) l’inflazione non si mangerà la crescita. Anzi, la deflazione resta il pericolo pubblico. Ogni spinta all’aumento dei prezzi, insomma, servirà a riportare un po’ di fiducia. Purché il governo sfrutti l’occasione; 4) le imprese, infine, possono accelerare il passo. L’ultimo capitolo riguarda la casa. L’esperienza americana così come inglese dimostrano che, anche nelle economie più avanzate, il volano più importante ed insostituibile della ripresa è l’immobiliare. Le difficoltà delle famiglie e quelle del sistema bancario (pieno zeppo di immobili a valori di carico ormai troppo elevati), oltre alla difficoltà degli istituti ad erogare credito hanno provocato, si sa, una grave battuta d’arresto del mercato, con caduta sia dei prezzi che del volume delle transazioni. Il Qe rappresenta un’occasione preziosa per invertire la rotta: le banche avrànno più ossigeno, vedi capitali, da destinare ai mutui (una delle attività meno rischiose), potrebbe rallentare o fermarsi la caduta dei prezzi, come è accaduto in Spagna. E la tenuta dei prezzi servirà a riportare fiducia nelle famiglie. Insomma, l’importante è ricostituire la fiducia, come spera Draghi. Non è detto che il Qe basti, ma finalmente si è voltata pagina.

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STEFANO FELTRI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Mario Draghi ha superato le attese dei mercati: nella sua riunione di ieri la Banca centrale europea ha varato il tanto atteso quantitative easing, cioè l’acquisto di titoli pubblici su vasta scala per combattere la deflazione (i prezzi stagnanti o che scendono) nella zona euro. Operazioni simili sono state tentate dalle principali Banche centrali nel mondo, durante gli anni della crisi, con risultati alterni: buoni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, quasi irrilevanti in Giappone. Ecco come funzionerà il Quantitative easing all’europea.

1. Quanti soldi immetterà la Bce nell’economia?
Il piano di acquisti nel complesso vale 1.140 miliardi, con acquisti mensili da 60 miliardi a partire da marzo 2015. Nel conto ci sono anche i programmi di acquisto di titoli cartolarizzati (Abs e Covered bond) già attivi, quindi la somma aggiuntiva è di 47 miliardi al mese. Gli acquisti proseguiranno “almeno fino a settembre 2016” o quando l’inflazione tornerà nella norma, che per la Bce equivale a una crescita annuale del 2 per cento.

2. Quali sono i titoli che verranno comprati?
Titoli di debito pubblico (di Stati e alcune agenzie pubbliche) detenuti da banche che li hanno in bilancio. La Bce può comprare bond con una durata da 2 a 30 anni di Paesi che hanno un rating sopra la soglia spazzatura. Esclusi quindi i titoli di Grecia e Cipro.

3. Chi si accolla il rischio di questa operazione?
Questo era uno dei punti controversi. Molti analisti dicevano che il programma poteva essere credibile solo se il rischio di un eventuale mancato rimborso dei bond comprati, frutto di una bancarotta di uno Stato o di una ristrutturazione (allungamento delle scadenze o taglio degli interessi), fosse accollato soltanto a Francoforte. I tedeschi si opponevano perché temevano che questo significasse esporre i contribuenti tedeschi al rischio di subire perdite superiori alla loro “quota” di impegno europeo: la Germania ha il 17 per cento del capitale della Bce, ma si sarebbe trovata a essere di fatto il garante di ultima istanza perché è l’unico Paese forte abbastanza da poter aiutare gli altri in difficoltà. Draghi ha trovato un compromesso: l’80 per cento del rischio dei nuovi acquisti di bond graverà sulle banche centrali nazionali, il 20 per cento sulla Bce. Ma Draghi ha detto con nettezza che il dibattito sull’insolvenza di uno Stato “è futile”.

4. Come hanno reagito i tedeschi?
Il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e il membro tedesco del board della Bce, Sabine Lautenschläger, si sono opposti. Ma secondo Draghi il dissenso ha riguardato la tempistica e la necessità del programma di Quantitative easing. Tutti i membri del Consiglio sono stati invece d’accordo che la Bce ha il potere di fare questi acquisti senza violare il suo mandato.

5. Come si trasmettono gli effetti all’economia?
Aumenta la quantità di euro in circolazione, quindi si indebolisce il tasso di cambio con le altre valute, un vantaggio per le imprese dell’eurozona che esportano. Le banche si liberano di titoli di Stato (alcuni anche con rendimenti negativi) e li rifilano alla Bce. Questo libera risorse da poter prestare alle imprese che ne fanno richiesta. Il fatto che la Bce compri bond ne diminuisce i rendimenti e può rendere meno costoso per i governi finanziarsi sul mercato. E chi vende alla Bce i titoli che compra, reinvestirà almeno parte dei soldi incassati su altri titoli, quindi i prezzi delle azioni saliranno e i rendimenti delle obbligazioni scenderanno. Le Borse andranno al rialzo e si genererà un aumento di ricchezza, sia pure solo sulla carta, che potrebbe anche spingere un po’ i consumi di chi si sente più ricco.

6. Quali sono i benefici potenziali per l’Italia?
L’Italia ha in circolazione 1.670 miliardi di euro di debito pubblico che rientrano nei criteri della Bce. Francoforte ne può comprare fino a 418 miliardi, secondo i calcoli di Société Générale.

7. É la fine dell’austerità?
No. Anzi. Draghi ha ripetuto, come fa ad ogni occasione pubblica, che la politica monetaria da sola non può salvare l’eurozona. I governi devono fare la loro parte con riforme strutturali che rendano i Paesi competitivi e continuando il “consolidamento fiscale”, cioè la riduzione di deficit e debito pubblico, ma in un modo “favorevole alla crescita”, cioè tagliando la spesa corrente, quella dove si annidano gli sprechi maggiori, e non gli investimenti (fisici e sul “capitale umano”) che sono la premessa per la crescita futura. Il presidente della Bce ha dato anche un segnale molto concreto: le banche centrali non potranno girare ai governi nazionali le cedole, cioè i rendimenti maturati, sui titoli di debito che comprano. Nessun aiutino da parte della Bce.

8. Quali sono stati i primi effetti sui mercati?
Le Borse avevano già anticipato molto dell’impatto della decisione Bce, comunque tutte al rialzo: Milano +2,35 per cento. L’euro si indebolisce, scende sotto quota 1,14 dollari, proprio come previsto, ai minimi da 12 anni (praticamente da quando esiste la moneta unica). Anche lo spread tra Btp italiani e bund è ai minimi storici, 116 punti (1,16 per cento). Ma secondo l’analisi di Société Générale, per raggiungere l’obiettivo del tasso d’inflazione al 2 per cento sarebbe servito un Quantitative easing di 2-3 mila miliardi, il doppio o il triplo di quanto deciso dalla Bce.

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ROBERTA AMORUSO, IL MESSAGGERO -
Se l’arma di Mario Draghi sia da considerare più una pallottola d’argento o un bazooka, questo si vedrà. Intanto è certo che sparerà fino a settembre 2016. Ma anche oltre, se necessario. Finché non ci sarà «un sostegno adeguato», promette Mr Bce. Anche l’obiettivo del piano di acquisto titoli da 1.140 miliardi è altrettanto certo: riportare l’inflazione vicino al 2%. E dunque fare arrivare gli effetti fino al cuore dell’economia Ue. Ma anche sul flusso del credito, con una spinta ai finanziamenti a imprese e famiglie. Tutti effetti che si faranno sentire davvero nel 2016, sostiene Ubs. Fin qui gli obiettivi dichiarati da Draghi, quelli che rientrano nel mandato principe delle banche centrali: tenere a bada le evoluzioni dei prezzi. Ma in realtà sono tante le leve che si muovono quando una Banca come l’Eurotower decide di rovesciare sul mercato in 19 mesi oltre mille miliardi di moneta fresca.
Il meccanismo funziona così: la Bce comprerà per mano delle Banche centrali nazionali titoli governativi (oltre agli Abs e ai Covered bond) fino a un massimo del 33% del debito pubblico di ogni Paese e per un massimo del 25% di ciascuna emissione. Bisogna però aggiungere che in caso di perdite eventuali, il rischio sarà assorbito soltanto per il 12% tra i Paesi dell’Eurozona (del 20% «condiviso» indicato da Draghi, solo l’8% sarà in capo alla Bce). Un compromesso non da poco offerto alla Bundesbank e alla non piccola schiera di falchi. Ma l’efficacia dell’operazione non cambia. Draghi solleverà i bilanci delle banche europee per 1.040 miliardi, di cui 800 miliardi in titoli di Stato secondo le stime. Una liquidità non lontana dai 1.500 miliardi di dollari iniettati dalla Fed nel terzo round del Qe.
COSA CAMBIA PER IL CREDITO
Va ricordato infatti che gli effetti del Quantitative easing passano anche sugli istituti di credito. E non solo perché i rendimenti dei titoli di Stato (già ridotti a minimi ma attesi ora in ulteriore discesa) sono un punto di riferimento per i tassi sui prestiti. Ma anche perché le banche sono i principali venditori dei titoli acquistati per motivi di politica monetaria. Grazie al Qe, i bilanci degli istituto possono liberarsi di Btp, Bonos o Bund per acquistare attività più rischiose, e quindi fare più prestiti a imprese e famiglie. Questa è la scommessa e negli Usa ha funzionato. In Eurolandia, però, il timore è che le banche tornino a riempirsi di titoli di Stato. Senza contare che in Europa, e in particolare in Italia, il principale canale di finanziamento all’economia resta proprio il sistema bancario (quasi l’80%) e non il mercato dei capitali. Se il bakooka di Bernanke ha funzionato è perchè negli Usa il 70% dei finanziamenti alle imprese passa dai bond e quindi acquistare titoli di Stato, abbassarndo i tassi su tutte le scadenze, ha effetti immediati anche sull’impennata dei prestiti alle imprese. In Europa si può solo sperare che il risultato sia identico.
Nel Vecchio Continente, poi, la domanda di credito stenta a decollare anche quando la liquidità c’è. Perchè quando la fiducia scricchiola e la crescita rimane sempre dietro l’angolo, le imprese stentano a bussare a nuovi prestiti. Se, però, l’economia ripartirà, aiutata anche dal prezzo del petrolio, persino l’industria riprenderà a investire, è il ragionamento.
LA CRESCITA
E qui si torna agli altri effetti del bazooka-Draghi. Disinnescare il rischio deflazione significa contribuire a rafforzare l’economia. E allora anche l’indebolimento atteso dell’euro (fino a 1,09 sul dollaro secondo Hsbc) può fare la sua parte per sostenere esportazioni e imprese. Non mancano, tuttavia, i dubbi sui tempi. Ci potrebbero volere due anni per vedere gli effetti, dicono gli analisti. L’istituto francese Societè Generale si spinge anche oltre: gli acquisti avranno un effetto sui prezzi stimabile tra lo 0,2% e lo 0,8% in due anni. Stessa previsione per il Pil. Ma poi, basterà acquistare 40 miliardi di bond governativi ogni mese (su un totale di 60 miliardi) per mettere una toppa a un credito che dal 2009 ha accumulato una contrazione di circa 570 miliardi? Draghi risponde che la Bce non può fare tutto: tocca ai governi fare la loro parte..
Roberta Amoruso

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GIANLUCA PAOLUCCI, LA STAMPA -
«Positivo per ammontare e durata, negativo per lasciare la maggior parte dei rischi in carico alle banche centrali nazionali», sintetizza Marcello Messori, direttore della School of European Political Economy della Luiss. Ma il giudizio sul piano di acquisto titoli della Bce annunciato da Mario Draghi è pressoché unanime tra economisti, esperti delle grandi banche e gestori di fondi. Anche se, nota il capo economista di Intesa Sanpaolo Gregorio De Felice, «con un ammontare così elevato i rischi si riducono». La prima reazione dei mercati è chiara: giù il cambio euro/dollaro, su le Borse, spread a picco. «Lo spread sceso subito dopo l’annuncio. Per l’euro e il petrolio avrà l’effetto di consolidare un movimento già in atto», dice Francesco Daveri, docente dell’Università di Parma e del programma Mba della Sda Bocconi.
Oppositori indeboliti
Un elemento importante è l’unanimità sul fatto che la decisione è stata presa nel mandato della Bce, sottolinea Daveri. Concorda Greg Fuzesi, economista della banca d’affari americana Jp Morgan: «Indebolisce ogni possibile argomento legale che potrebbe arrivare dalla Germania».
I titoli di Stato
«Ci aspettiamo un effetto positivo sugli asset più rischiosi - dice Bill Street, responsabile degli investimenti in Europa di State Street (gestore americano con 2300 miliardi di asset in gestione) - un ulteriore indebolimento dell’euro e un sostegno all’abbassamento ulteriore dei rendimenti tanto nei paesi “core” che nei paesi periferici dell’eurozona». Per De Felice, il deprezzamento dell’euro vale da solo tra lo 0,3% e lo 0,4% di maggiore crescita. Di parere opposto il team di ricerca della banca svizzera Ubs, che si aspetta al contrario un rialzo dei rendimenti una volta che gli acquisti di titoli saranno avviati, in marzo. Di certo c’è che l’entità degli acquisti è notevole. «Si tratta di circa il 16% del debito pubblico dell’eurozona», nota De Felice. Al netto piano di acquisti di Abs (Asset backed securities, titoli del settore privato garantiti da beni reali, come i mutui) che adesso viene ricompreso nei 1140 miliardi di acquisti annunciati da Draghi, fanno oltre 800 miliardi «disponibili» per l’acquisto di titoli di Stato. Secondo i calcoli di Morgan Stanley si tratta di circa il 9% del pil dell’area euro. Inferiore, la banca d’affari, alla quota delle operazioni analoghe fatte in Usa, Giappone e Gran Bretagna. Tra i rischi, per com’è stato strutturato il piano, c’è che i maggiori benefici finiscano a chi ne ha meno bisogno. Ubs ad esempio suggerisce di comprare i titoli delle società tedesche. Ma effetti positivi si avranno, sempre sui mercati , anche per le banche italiane con Intesa e Banco Popolare tra le preferite per Ubs. «Draghi ha spiegato di aspettarsi un effetto positivo su tutti i paesi dell’eurozona per i maggiori capitali in circolazione - sottolinea Daveri -. Ma il rischio che produca un effetto limitato sulle economie più deboli a mio avviso esiste».
«La pazienza sta finendo»
Di certo come ha chiarito lo stesso Draghi in più occasioni e ribadito nuovamente durante la conferenza stampa, la politica monetaria da sola non basta. Riforme, riforme e ancora riforme è il mantra ribadito anche dagli osservatori. «Serve una politica fiscale per spingere la domanda aggregata e prevenire altre cadute dell’inflazione; ulteriori riforme sono necessarie per aumentare il potenziale di crescita; cambiamenti istituzionali, inclusa l’integrazione fiscale, sono ancora fattori critici», nota una ricerca del gruppo britannico Hsbc.
E così suona vagamente sinistro, in particolare per l’Italia, l’avvertimento di Bill Street: «La pazienza nei confronti di chi si attarda nel processo di riforma sta scemando».