Antonio Satta, MilanoFinanza 22/1/2015, 22 gennaio 2015
POPOLARI, LA POLITICA AFFILA LE LAME
I mercati danno più soddisfazione a Matteo Renzi delle aule parlamentari. Mentre Pd e Forza Italia si spaccano al loro interno nel voto al Senato sull’ultima versione della legge elettorale, da destra e dal centro (ma anche un po’ da sinistra) arrivano solo proteste per il decreto legge di riforma delle banche popolari, unite alla rassicurazione che il suo percorso parlamentare non sarà semplice e che il testo ne uscirà profondamente emendato. Il premier però da Davos si gode la nuova impennata dei titoli bancari ed esulta: «Stiamo portando a casa risultati che neanche i più ottimisti avrebbero immaginato». Il risultato, fa notare, non era per niente scontato: «Se era facile, le faceva qualcun altro. Non c’era bisogno di un governo fatto da giovani. Noi stiamo facendo una cosa bella ma difficile ed è normale che ci sia qualcuno che non è d’accordo. Ma il nostro primo impegno è con i cittadini».
Intanto, mentre il testo sta ancora passando il draft dei tecnici ministeriali e della presidenza del Consiglio, si cominciano a conoscere altri particolari della riforma. Il limite dei 18 mesi per cambiare gli statuti vale solo per le banche che già ora superano la soglia degli 8 miliardi di attivi. Le altre popolari che dovessero superare l’asticella in un secondo tempo, avrebbero solo un anno di tempo per adeguarsi. L’articolo in questione, infatti, recita: «In caso di superamento del limite» degli 8 mld, il cda convoca l’assemblea per le determinazioni del caso».
In ogni caso la trasformazione in spa ha bisogno di una maggioranza qualificata. In prima convocazione sono richiesti i due terzi dei voti espressi, ma la votazione sarà ritenuta valida solo se si sarà presentato almeno un decimo dei soci della banca. In seconda convocazione varrà sempre il quorum dei due terzi dei voti espressi, ma non ci sarà più bisogno di una soglia limite di partecipazione.
Se nonostante le due convocazioni il passaggio a spa non avviene, allora si rischia anche la messa in liquidazione della banca. Il decreto stabilisce infatti che «se entro un anno dal superamento del limite l’attivo non è stato ridotto al di sotto della soglia né è stata deliberata la trasformazione in spa o la liquidazione, Bankitalia può adottare il divieto di intraprendere nuove operazioni» o «proporre alla Bce la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e al ministro dell’Economia la liquidazione coatta amministrativa. Restano fermi i poteri di intervento e sanzionatori attribuiti a Bankitalia dal presente decreto legislativo».
Novità anche sul diritto di recesso, che può essere limitato da Bankitalia. Nel decreto, infatti, c’è scritto che «nelle banche popolari il diritto di rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione, morte o esclusione del socio è limitato secondo quanto previsto da Bankitalia, anche in deroga a norme di legge, laddove ciò sia necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini Bankitalia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi».
Come detto, però, in Parlamento continuano ad arrivare attacchi alla riforma voluta da Renzi e i più insidiosi giungono dal Pd. Dopo Giuseppe Fioroni, un altro ex Margherita, come il presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, annuncia battaglia: «Il capitalismo italiano», ha detto, «è caratterizzato da centinaia di migliaia di piccole imprese con rapporti molto territoriali. Le popolari non quotate e le piccole banche locali hanno un loro cordone ombelicale con gli oltre 200 territori italiani superiori al numero di province che fatturano dai 300 ai 500 milioni di euro. Quella funzione straordinaria è svolta dalle popolari e questo decreto di fatto le annacqua in un tentativo indistinto di intercettare nuovi investitori».
Duro anche l’intero fronte sindacale, Susanna Camusso, leader della Cgil, dopo aver messo pesantemente in dubbio che esistano i presupposti di necessità e urgenza per il ricorso al decreto legge, ha aggiunto che il provvedimento giustifica «qualche sospetto che l’accanimento visto nei confronti del mondo del lavoro ci sia anche verso le piccole imprese».
In controtendenza, invece, la posizione di Giampiero Samorì, che pur facendo parte di Forza Italia si differenzia dalle dichiarazioni di fuoco dei suoi colleghi del centrodestra. «Il presidente Renzi», ha osservato Samorì, «non ha dato un avviso di sfratto alle banche popolari bensì lo ha dato ai loro gruppi di comando autoreferenziali che negli ultimi anni, pensando che questa situazione potesse durare in eterno, si sono preoccupati di gestire le banche più nel loro interesse di continuità gestoria che non nell’interesse dei soci, dei dipendenti e del territorio».
Antonio Satta, MilanoFinanza 22/1/2015