Gabriele Romagnoli, Vanity Fair 21/1/2015, 21 gennaio 2015
Era il 1989, stavano per cadere i Muri e le statue dell’Est. Pensavamo che saremmo stati tutti più liberi: di andare, dire, pensare
Era il 1989, stavano per cadere i Muri e le statue dell’Est. Pensavamo che saremmo stati tutti più liberi: di andare, dire, pensare. Sarà l’anno della Tienanmen, della fine della guerra civile libanese, del primo attentato (fallito) al giudice Giovanni Falcone. Si apre in maniera controversa: in gennaio a Praga arrestano lo scrittore Václav Havel e l’allora Urss annuncia il ritiro dall’Afghanistan. Avverrà il 15 febbraio. Ma è il giorno prima, San Valentino, che accade qualcosa di inedito: uno spiffero di intolleranza violenta attraversa l’aria. Percorrerà 26 anni di storia, fino a spalancare la porta della redazione di Charlie Hebdo a Parigi e a farne massacrare vignettisti e collaboratori. Accade a Teheran: alla radio l’ayatollah Khomeini condanna a morte lo scrittore indiano Salman Rushdie per aver scritto un libro giudicato blasfemo, dal titolo I versi satanici. Tutta la vicenda assume contorni improbabili. Il mondo intero parla di «fatwa», termine che nessuno che non sia musulmano conosce: infatti tecnicamente non lo è. Molti che non hanno letto il libro (tra cui il cardinale di New York) si assoceranno alla critica del contenuto pur ritenendo esagerata la conseguenza. Molti si tufferanno nel testo aspettandosi momenti proibiti e verranno travolti da una giostra di fantasie per comprendere le quali occorre una cultura enciclopedica. O, almeno, sapere che i «versi satanici» non sono un’espressione coniata dall’autore ma sure del Corano espunte perché potrebbero far pensare a una concessione del profeta Maometto al politeismo. Nove anni più tardi, pur di riavviare le relazioni diplomatiche con la Gran Bretagna, l’Iran disse che non chiedeva più la testa di Rushdie, pur senza poter cancellare l’editto dell’89. Nel frattempo erano già cadute 38 vittime: il traduttore giapponese e gli ospiti di un hotel incendiato per bruciare quello turco che vi alloggiava. Rushdie, che non aveva certo bisogno di pubblicità, avendo già scritto un capolavoro riconosciuto e insuperato come I figli della mezzanotte, continuò a vivere sotto protezione perché i successori dell’ayatollah ribadirono la condanna e soprattutto, nel frattempo, qualcosa era cambiato. Non in meglio. Non come ci aspettavamo in quell’inizio di 1989. PAUSA PUBBLICITARIA E in questo inizio di 2015 il film da non perdere è: Hungry Hearts. Per me Saverio Costanzo è uno dei migliori registi italiani, il migliore in assoluto quando chiude i personaggi in una scatola ed entra dentro di loro. In questi anni (nel calendario islamico siamo, non a caso, al 1436) ci hanno convinti che bisognava barattare libertà e sicurezza: cedere un po’ dell’una per avere molto dell’altra. In realtà si sono ridotte entrambe. Non solo a Riad è vietato fare pupazzi di neve per la stessa ragione per cui al Cairo è proibito vedere il film Matrix (niente di forma umana può derivare da una fonte diversa da Dio), ma chi oserebbe circolare su una metropolitana di Londra o Parigi leggendo Rushdie, Christopher Hitchens (Dio non è grande), o Houellebecq, non quello frustrato e arrendevole di Sottomissione, quello frustrato e fiero di Piattaforma, aperto alla pagina in cui faceva le sue considerazioni su religioni nate nel deserto, in compagnia dei cammelli? Non so quale grande casa editrice al mondo pubblicherebbe oggi un romanzo sospetto di generare la furia dei fondamentalisti islamici. Non so quale agente letterario lo prenderebbe in carico per farlo uscire. Di più, non so davvero chi oserebbe scriverlo, immaginando poi di fare non tanto la fine di Rushdie quanto una molto peggiore: decapitato davanti a una telecamera in uno scantinato d’Europa. Se nel 1989 la condanna veniva dal vertice, oggi parte dalla base: non c’è bisogno di un ayatollah, basta una cellula, o un invasato. La paura tende a non far ragionare l’opinione pubblica. Nei giorni di sangue a Parigi si è sentita spesso la frase: «Sì, però, anche quei vignettisti hanno provocato...». Mi ha ricordato l’argomento per cui le donne in minigonna sollecitano lo stupro. Certa satira può non piacere, non far ridere (è il mio caso), può offendere. Bene: non si legge, si boicotta, si manifesta davanti alla redazione. Quella è ancora una battaglia tra due libertà, due pensieri. La libertà non è assoluta: confina con quella dell’altro. Condannare a morte Rushdie non fu un atto di libertà e pensiero, ma il riflesso di una tirannide che li abolisce entrambi sostituendoli con un catalogo di verità e prescrizioni a cui sottomettersi può essere perfino comodo e pieno di fiori, mentre il libero pensiero lo è di spine. È triste pensare che nel 1989 Khomeini abbia preso il mondo di sorpresa e nel 2015 i fratelli Kouachi, in fondo, no. Perché ci siamo abituati alla possibilità dell’assurdo. Perché pensiamo in maniera manichea. Vediamo il film American Sniper e non ci viene in mente che la città dove i prodi marines avanzano a piedi protetti dal cecchino è stata precedentemente bombardata allo sfinimento. Ascoltiamo proclami d’intolleranza e ci preoccupiamo di non offendere chi già ci ha offeso. Non avendolo mai fatto prima, è arrivato il momento di leggere quei Versi satanici.