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 2015  gennaio 21 Mercoledì calendario

L’UOMO DELLE STELLE


Ci sono tracce del blu di Yves Klein, il suo pittore preferito, nello sguardo vibrante di Eddie Redmayne. I suoi occhi dalle profondità marine sono incredibilmente comunicativi e hanno un’energia fragorosa, come due pezzi di cielo che cercano spazio tra una barriera di nuvole: è impossibile non notarli subito quando compare in pubblico, in un elegantissimo completo scuro a quadri di Burberry, con pochette bianca immacolata, alla cerimonia del Premio Maserati al Torino Film Festival. È qui per la presentazione di La teoria del tutto (nei cinema italiani dal 15 gennaio) in cui interpreta l’astrofisico Stephen Hawking.
Una sfida rischiosa, che l’affascinante attore londinese perfetta sintesi di freschezza, stile, espressività e talento ha raccolto con un entusiasmo travolgente. «La verità è che questo ruolo l’ho inseguito e l’ho voluto fortemente», ci racconta Redmayne, che ora attende fiducioso e con compostezza tipicamente britannica la notte degli Oscar, mentre si gusta le quattro nomination che il film ha già ottenuto per i Golden Globe, tra cui quella come migliore attore protagonista.
«Non mi ha spaventato l’idea, almeno inizialmente, perché dopo aver letto la sceneggiatura ho passato due intere settimane a cercare di convince il regista James Marsh e i produttori ad affidarmi il ruolo. E quando è arrivato il “sì” ho provato una sensazione di sollievo e soddisfazione, ma è bastato un istante perché tutto si capovolgesse. Mi si è chiuso lo stomaco e mi sono sentito addosso il peso della responsabilità che questa parte ha poi effettivamente richiesto. Da lì in avanti il percorso è stato lungo e impegnativo, ma anche molto emozionante», prosegue.
Non è andato forse lontano, essendo il film interamente ambientato nella sua patria, l’Inghilterra, ma sicuramente è sceso in profondità, fino a toccare le corde del cuore, anche dello stesso Hawking, che ha visto per ben due volte il film, rimanendone molto positivamente impressionato.
Sullo sfondo del film ci sono Cambridge, Londra (dove l’attore abita: la sua famiglia ha sempre vissuto a Chelsea, dove è cresciuto, vicino all’Albert Bridge sul Tamigi) e la contea del Derbyshire che Redmayne adora («Il più bel posto del mondo, secondo me»). Sono paesaggi a lui familiari, intimi, e questo lo ha aiutato a entrare ancora di più in sintonia con il personaggio che dell’Inghilterra colta e geniale è diventato un simbolo.
«Al campus lo incontravo. Era come una rockstar»
«Ho frequentato l’università a Cambridge anche se non ho studiato fisica ma storia dell’arte», aggiunge Redmayne, strofinandosi gli occhi. «Era una cosa abbastanza comune per me incontrare Hawking nel campus, o sentire di passaggio la sua voce sintetica che riecheggiava tra i corridoi. Ho viva nella memoria questa immagine di lui attorniato da un sacco di persone, sempre, come se fosse una rockstar. Quando ho dovuto incontrarlo nella sua casa a Cambridge, sono arrivato all’appuntamento nervosissimo. Ero evidentemente teso, ma era un’occasione preziosa, che non potevo perdere, perché precedeva di cinque giorni l’inizio delle riprese.
Mi ero preparato per quattro mesi a quell’incontro. Andò benissimo. Ho scoperto da vicino l’arguzia e il senso dell’umorismo di un uomo veramente straordinario. E poi, la luce e la vivacità dei suoi occhi... Mi ha anche colpito la sua generosità, quando mi ha comunicato di aver accettato di concederci il copyright della sua voce sintetica, che la produzione in una prima fase voleva simulare. La cosa più strana di quel giorno è stato il ritmo della nostra conversazione, la singolare lentezza delle sue risposte e tutti questi silenzi infiniti che io ho tentato di riempire in qualche modo, magari anche goffamente. Di fatto per 45 minuti ho parlato a Stephen Hawking di Stephen Hawking».
Sulle musiche struggenti e delicate del compositore islandese Jóhann Jóhannsson, La teoria del tutto ripercorre la storia d’amore tra il più importante studioso dell’origine dell’universo e la compagna, poi diventata la sua prima moglie, Jane Wilde. Da quel matrimonio nacquero tre figli: Robert, Lucy e Timothy. E la colonna sonora accentua anche la drammaticità di una malattia che si manifesta gradualmente e che condanna Hawking sulla sedia a rotelle.
«Per entrare nel suo mondo mi è stato molto d’aiuto visitare il Queen Square Centre a Londra, una clinica specializzata nella diagnosi e nei trattamenti della sclerosi laterale amiotrofica. Ho potuto conversare con una dottoressa che mi ha descritto la patologia nei minimi dettagli, illustrandomi tutte le fasi degenerative, e che mi ha messo in contatto con un gruppo di pazienti. È stata un’esperienza toccante, perché per loro come per Stephen questa condizione ha un impatto enorme in termini emotivi. I malati la descrivono come una prigione le cui pareti si restringono sempre di più. Deve essere terribile».
Nell’interpretazione di Redmayne, così dolce e straziante, ma anche impregnata dello stesso amore per la vita che ha permesso a Hawking di resistere tenacemente alle difficoltà più insormontabili, la componente della fisicità raggiunge vette inimmaginabili. «Non è stato facile», ammette con il candore di un ragazzino. In realtà, a parlare è un attore con una solida formazione alla scuola d’arte drammatica dell’Eton College, un background teatrale di alto profilo e diversi film (tra i quali Les Misérables del regista premio Oscar Tom Hooper).
«Per prima cosa non è stato facile perché non abbiamo girato il film seguendo un ordine cronologico. E quindi succedeva che in un giorno di riprese fossi costretto a saltare da un periodo all’altro della sua vita e in momenti diversi dell’evoluzione della malattia», continua.
«Ho dovuto lavorare con grande dedizione sulla fisicità e sulla gestualità. Mi immaginavo i movimenti come una specie di danza. In questo mi ha supportato Alex Reynolds, una ballerina e coreografa che mi ha spiegato come accorciare certi muscoli o come non usarne alcuni specifici. Poi, in modo forse meno ortodosso, mi sono semplicemente incollato al pc cercando su internet tutti i documentari e i video disponibili. Ho provato e riprovato le mie espressioni facciali e i gesti del corpo davanti allo specchio con l’iPad di fianco per riprendermi». Anche questa una prova tangibile di fedeltà alla storia e di empatia con il personaggio. «Ho trascorso infinite ore in posizioni disagevoli, questo è vero, ma non posso neppure lontanamente immaginare che cosa provi Hawking. Io, tutte le sere, alla fine delle riprese, mi alzavo dalla sedia a rotelle e tornavo a casa. Lui no».