Andrea Luchetta, La Gazzetta dello Sport 21/1/2015, 21 gennaio 2015
BIN LADEN TIFAVA ARSENAL. MA IL PALLONE DIVIDE TUTTO IL MONDO ISLAMICO
«Si nasconde a Kabùl e tifa per l’Arsenùl! Osama ohooh, Osama oh-ooh» cantava la curva dei Gunners, e forse non a torto. Una delle leggende più radicate sul rapporto fra jihadisti e pallone vuole Osama bin Laden tifoso dell’Arsenal, al punto da aver comprato una maglia di Ian Wright per suo figlio al termine di una partita di coppa nel 1993-94. Mito o realtà che sia, dopo l’11 settembre 2001 la voce ha spinto il club a dire che «se bin Laden si dovesse presentare a Highbury, chiaramente non sarebbe benvenuto». Basta la controversia su questa storia per capire come il rapporto fra jihadismo e pallone si collochi ai limiti della schizofrenia.
Le frange dell’islam più radicale sono assorbite in un dibattito sulla purezza religiosa del calcio: il pallone è haram (proibito da un punto di vista religioso), oppure halal (lecito)? Dibattito reso possibile dall’assenza di una gerarchia univoca: senza un’autorità centrale, l’interpretazione della legge islamica è affidata ai singoli predicatori. Uno dei nemici più fieri del pallone è il saudita Abdel Rahman Al-Barrak, per cui il calcio è «la madre di tutti i peccati», responsabile com’è di «esplosioni di gioia ingiustificate». Alcuni imam si preoccupano dell’applicazione del regolamento, peccaminoso di per sé perché scritto dagli uomini e non da Dio; altri ancora credono che il pallone sia parte di un complotto per distrarre le masse dai propri doveri: un oppio dei popoli declinato in chiave anti-islamica. Interpretazione certo non univoca, se è vero che Hassan Nasrallah (leader degli sciiti di Hezbollah) e Ismail Haniyeh (numero uno dei sunniti di Hamas) sono tifosi, e i loro movimenti finanziano dei club locali.
L’avversione per il calcio di Boko Haram – milizia nel nord della Nigeria – è insita già nel nome del gruppo, che significa «l’educazione occidentale è vietata»: in molte occasioni i fanatici nigeriani hanno preso di mira stadi e bar che trasmettono le partite. Durante Brasile-Messico, all’ultimo Mondiale, una bomba nascosta in una moto ha ucciso una ventina di appassionati a Damaturu, nel Nord-est del Paese. Chiaro il disegno politico che si cela dietro la demonizzazione del gioco: il calcio è uno dei pochi fattori capaci di unire il Paese, superando le linee di faglia confessionali ed economiche; colpirlo significa indebolire lo Stato. La milizia che forse ha più preso di mira i tifosi è quella degli shabaab somali. Non si contano le bombe esplose nei luoghi di ritrovo, gli arresti di fronte allo schermo e le esecuzioni mirate, come quelle per assassinare il portiere dell’Under 17 o il presidente della Federazione. Nel 2010, due kamikaze somali hanno ucciso 74 persone in Uganda mentre guardavano la finale della Coppa del mondo. Lo stadio di Mogadiscio è diventato il luogo prescelto per le condanne a morte, esattamente come l’impianto di Kabul sotto i talebani. Impiccagioni, fucilazioni, lapidazioni, mutilazioni: nulla è stato risparmiato allo stadio Ghazi. Vi si è versato talmente tanto sangue che, secondo una credenza diffusa, l’erba non sarebbe più cresciuta.
Il dibattito divide una minoranza minuscola del mondo musulmano: chiedersi se calcio e islam siano compatibili è semplicemente senza senso, alla luce dei milioni di fedeli – uomini e donne – che lo praticano ogni giorno. Dove un’interpretazione rigorosa dell’islam si è fatta governo, come in Arabia Saudita, il problema non è più la liceità del gioco, quanto il diritto ad assistervi per tutti: a Riyadh le donne non possono entrare allo stadio; l’ultimo arresto risale allo scorso dicembre, quando una ragazza è stata scoperta sulle tribune malgrado fosse travestita da uomo. Oscurantismo condiviso dagli arcirivali dell’Iran: il dibattito sull’opportunità di aprire gli stadi alle donne riaffiora periodicamente. Rarissime però le aperture, che si tratti di calcio o di altri sport: la giovane Ghoncheh Ghavami è stata in carcere la scorsa estate, colpevole di aver tentato di assistere a Iran-Italia della World League di pallavolo.