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 2015  gennaio 17 Sabato calendario

RONCONI E IL CRAC LEHMAN: LEZIONE SUL CAPITALE

MILANO Il primo a sbarcare a New York fu Heyum. Nome troppo strano per chi doveva prenderne nota. Ed Heyum divenne Henry. «Ok Henry Lehman! Buona fortuna!» lo salutò l’ufficiale. Era l’11 settembre 1844. Data fatale di lì a un secolo e mezzo. Ciò nonostante, mai augurio andò più a segno. In quel Paese tanto sognato, Henry Lehman, figlio di un mercante di bestiame, ebreo circonciso, troverà davvero l’America. A raggiungerlo poco dopo i due fratelli Emanuel e Mayer: la testa, il braccio e quel che serve a tenerli insieme. I Lehman Brothers. Commercianti di cotone, re del ferro, delle ferrovie, dei computer. Delle banche e della Borsa… Un impero costruito dal nulla che regge ogni tempesta finanziaria fino alla clamorosa bancarotta del 2008. Detonatore di una crisi sistemica globale le cui conseguenze scontiamo ancora adesso.
«Una saga familiare per ripercorrere 160 anni di capitalismo, di lotte di classe, di trasformazione del concetto di merce» riassume Luca Ronconi, artefice di questa Lehman Trilogy tratta dal testo di Stefano Massini, dal 29 gennaio al Piccolo Teatro Grassi.
Spettacolo «monumentale», cinque ore divise in due parti molto diverse. «La prima centrata sui tre fratelli, tempi rallentati, la seconda sui figli e nipoti, andamento vorticoso fino ad arrivare a un finale fermo», spiega il regista. Una corsa nel tempo senza cambi di costume né trucchi. Protagonisti Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio (i tre fratelli) ma nel fitto cast anche Paolo Pierobon e Francesca Ciocchetti. Tutti impegnati a raccontare la metamorfosi di quei commercianti di tessuti diventati commercianti di soldi.
«Cambia la mentalità affaristica, l’accumulo di denaro diventa piratesco. Soldi per fare soldi. Ma l’illusione di una crescita eterna è pericolosa. Inevitabile il crepuscolo degli dei di Wall Street». Come quelli del Walhalla. Intuizione che Ronconi aveva già messo in atto nella sua Tetralogia di Wagner.
A fare da contrappunto a quel precario sogno di immortalità compare in scena su un filo un funambolo. «Un’arte che richiede leggerezza e forza — interviene Popolizio —. Simbolo di un’economia dalle gambe d’acciaio e piedi d’argilla. Ma in questa storia c’è anche un lato commovente. Per trasformarsi in signori del capitale quei piccoli immigrati devono sacrificare la loro identità originaria».
«L’unico a conservarla ancora è il capostipite Henry — aggiunge De Francovich —. Gli altri si convertono presto a una nuova religione chiamata capitalismo. Se i primi Lehman hanno ancora qualche barlume d’umanità, i loro discendenti diventano sempre più agghiaccianti». Quanto a Gifuni, già finanziere senza scrupoli ne Il capitale umano di Virzì, sottolinea: «La lezione della Lehman Brothers è stata amara ma è servita a farci risvegliare dall’assurdo miraggio dei portafogli pieni per tutti».
Dopo La compagnia degli uomini di Bond e Lo specchio del diavolo di Russolo, Ronconi prosegue la sua indagine sull’economia. «Tutti testi non scritti per la scena — precisa —. Ad affascinarmi è la drammaturgia aperta, “pericolosa”. Che lascia spazio alla voracità di un teatro alle prese con fenomeni reali. L’economia è certo uno dei principali».