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 2015  gennaio 17 Sabato calendario

EURO VERSO LA PARITÀ COL DOLLARO FINALMENTE UNA BUONA NOTIZIA

Il primo sorpasso è già avvenuto. L’euro, a sei giorni del varo del Quantitative Easing da parte della Bce, vale meno di un franco svizzero. Ma a piangere, una volta tanto, sono i vicini elvetici, preoccupati dalla valuta troppo forte. Trema la Borsa, che ieri ha perduto un altro 5% abbondante mentre i titoli di Stato a dici anni della Confederazione sono scivolati terreno negativo. «La banca centrale si è inginocchiata di fronte agli speculatori - ruggisce Blick, il tabloid più diffuso - ma adesso che sarà delle nostre imprese, del nostro lavoro o dei nostri risparmi?». Tutt’altra atmosfera nelle piazze finanziarie dell’eurozona: Milano ha recuperato le perdite accumulate ad inizio anno, chiudono in terreno positivo gli altri listini, da Parigi a Francoforte. E prima di un week end all’insegna del buonumore, si è brindato alla rottura di una barriera che resisteva da 13 anni: l’euro vale meno di 1,15 sul dollaro. E tutti i broker prendono sul serio la “profezia” di Sergio Marchionne che martedì, da Detroit, aveva scommesso che presto il rapporto di cambio tra euro e dollaro sarebbe stato di 1 a 1, «una novità da cui noi europei abbiamo solo da guadagnare» aveva aggiunto. Da allora, però, c’è stato lo tsunami elvetico, che ha accelerato i trend in atto. E così ieri il Credit Suisse si è spinto a sottolineare che il trend al rialzo del dollaro non è finito. La valuta Usa si sta avvicinando al livello di 1,05-1,10 nei confronti dell’euro. A spingere in questa direzione contribuiscono vari fattori. Innanzitutto il differenziale tra i tassi di interesse sui T bond rispetto ai titoli di Stato di Eurolandia. Basti dire che il Btp a 10 anni è scivolato ieri a 1,66, una ventina di punti in meno dell’analogo Bond degli Stati Uniti. Ma fino a quando un operatore finanziario preferirà un titolo del Bel Paese, che stenta ad uscire dalla recessione, in luogo della moneta degli States, economia in pieno recupero? A maggior ragione lo stesso ragionamento vale per il Bund tedesco: per quale motivo rinunciare a quasi un punto e mezzo di rendimento in dollari? Finora il “gap” era giustificato dalla tenuta dell’euro, valuta sostenuta dal surplus della bilancia commerciale dell’eurozona. Ma con l’avvio degli acquisti di titoli di Stato sul mercato finanziati dalla carta stampata da Francoforte (almeno 6-700 miliardi secondo Merrill Lynch) il quadro è cambiato. Che cosa può comportare per noi la parità (o quasi) tra euro e dollaro? «Per i prossimi 12-18 mesi - commenta Alessandro Fugnoli di Kairos Partners - l’Europa godrà di due formidabili vantaggi ciclici: la svalutazione dell’euro e il crollo del petrolio», fenomeno che comporta non pochi inconvenienti per l’America, il primo produttore mondiale. «Ai due vantaggi ciclici citati - continua Fugnoli - andrà poi aggiunta una politica monetaria più espansiva in Europa a fronte di un’America che prima o poi alzerà i tassi». Certo, è sempre pericoloso fare previsioni sull’andamento dei cambi. Ne sanno qualcosa in Polonia, Ungheria e Croazia ove buona parte dei mutui è stata sottoscritta in franchi svizzeri con perdite dolorose per le banche. Non è nemmeno da escludere che dopo i colpi di scena della settimana finanziaria appena conclusa, la speculazione possa incassare i guadagni realizzati, accontentandosi di un cambio attorno a 1,15 in attesa di capire le caratteristiche del piano Draghi (secondo Bankitalia un Qe aggressivo ci porterà una crescita del Pil dello 0,5% in due anni). Ma il trend è chiaro: sull’America continuerà ad incombere la prospettiva di tassi in rialzo, mentre l’Europa li manterrà a zero «finché sarà necessario» come ha continuato a ripetere Mario Draghi. Per un bel po’, dunque.