Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 18 Domenica calendario

GLI EFFETTI GLOBALI DEL «BAZOOKA» EUROPEO

Ancora non è partito, ma già i primi effetti del «bazooka» di Mario Draghi si sentono in tutto il mondo. Non solo quelli benefici per l’Europa (derivanti per esempio dal forte ribasso dell’euro), ma anche quelli collaterali per il resto del globo: dalla Svizzera agli Stati Uniti, dai Paesi dell’Est Europa fino a quelli dell’America Latina, non c’è area della Terra che non si stia preparando a fare i conti con l’imminente «quantitative easing» della Bce.
Perché in un mondo sempre più globalizzato, con mercati finanziari interconnessi l’uno all’altro, politiche monetarie così poderose producono effetti collaterali ovunque. È accaduto alla Fed Usa, poi alla Bank of Japan. Ora tocca alla Bce: il «quantitative easing» che dovrebbe (si spera) sollevare le sorti dell’Europa, sta già facendo pagare il conto in giro per il mondo. Dalle famiglie ungheresi ai broker neozelandesi, dalle banche svizzere alle imprese statunitensi: ecco i mille volti delle vittime di un mondo troppo globalizzato.
IL CASO SVIZZERO
Il primo effetto tangibile (che già si vede) del «quantitative easing» è il ribasso dell’euro. La stessa cosa è accaduta al dollaro quando era la Fed a tenere in mano il suo «bazooka»: se una banca centrale stampa moneta in grandi quantità, produce infatti l’ovvia conseguenza di ridurre il valore della propria valuta. Infatti da fine agosto, quando si è iniziato a parlare esplicitamente di questa manovra della Bce, la moneta unica ha perso il 12,6% nei confronti del dollaro e il 7,13% nei confronti di tutte le valute dei partner commerciali dell’Eurozona. L’export europeo tira un sospiro di sollievo. Ma, per contro, l’export di altri Paesi soffre.
La prima vittima, clamorosa, è la Svizzera. La Confederazione da anni difendeva con tutte le sue forze il franco, per evitare che si rivalutasse troppo rispetto all’euro. Ma ora che la Bce abbraccia il suo «bazooka», Berna ha capito che non può più resistere: giovedì scorso ha così alzato bandiera bianca, annunciando che non difenderà più la propria moneta. Risultato: in due giorni il franco ha guadagnato il 20% sull’euro. Per la Svizzera il colpo è duro: il Paese vive di export, per cui questo peserà molto sul Pil.
Ma il balzo del franco ha provocato anche uno tsunami mondiale: varie società di brokeraggio (dagli Usa, alla Gran Bretagna fino alla Nuova Zelanda) sono fallite, e le più grandi banche del mondo hanno accusato perdite per 100-150 milioni a testa. E altre vittime potrebbero arrivare: segnala per esempio Rbs che le banche di Austria, Ungheria e Polonia hanno erogato molti mutui in franchi svizzeri. Se il franco si rivaluta, i mutuatari potrebbero non riuscire più a pagare le rate causando problemi sia alle famiglie indebitate sia alle stesse banche.
EST EUROPA E STATI UNITI
Effetti indesiderati del «quantitative easing» potrebbero farsi sentire anche in alcuni Paesi dell’Est Europa. Soprattutto negli Stati che hanno un cambio variabile con l’euro, come Polonia, Ungheria e Romania. «Prevediamo che la manovra della Bce possa provocare una rivalutazione delle loro monete, un forte afflusso di capitali nei loro Paesi e il ribasso dei tassi dei loro bond», scrive Barclays in un recente studio. Questo potrebbe far scattare la reazione delle banche centrali, per proteggere la competitività: riduzione dei tassi o altro. Insomma: una nuova «guerra valutaria».
E lo stesso, chissà, potrebbe accadere negli Stati Uniti. Il rialzo del dollaro va infatti inevitabilmente a ridurre la competitività delle aziende americane e a frenare la corsa del Pil. «Se l’impennata dovesse continuare - osserva Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo - la Fed potrebbe cambiare la propria politica monetaria». Insomma: potrebbe rinviare ulteriormente il rialzo dei tassi e cercare di svalutare il dollaro. Stessa opinione tra gli economisti di Morgan Stanley, secondo i quali una Bce più aggressiva del previsto potrebbe portare il cambio euro-dollaro fino alla parità. Questo, sembra inevitabile, non potrà che causare la reazione della Federal Reserve. Il che suona ironico, se si pensa che fino a poco tempo fa era l’euro ad essere troppo forte (strozzando l’Europa) per colpa della politica monetaria della Fed.
EXPORT DI DEFLAZIONE
L’altro grande problema è quello che l’economista di Morgan Stanley Manoj Pradhan chiama «grande commercio di deflazione». Ormai quasi tutti i Paesi del mondo ne soffrono, complice anche il calo del petrolio. Se l’euro e lo yen si svalutano per effetto del «quantitative easing» di Bce e Bank of Japan, le valute degli altri Paesi si apprezzeranno: questo importa negli Stati che più commerciano con Europa e Giappone ulteriore deflazione. Per fortuna il problema per molti è annullato dal super-dollaro (con cui si pagano le materie prime), ma se il trend dovesse continuare qualche problema potrebbe emergere. È il caso, per esempio, della Svizzera che già è in deflazione: il super-franco peggiora la situazione.
Questo potrebbe far scattare, in molti Stati, le contromisure: ulteriori ribassi dei tassi d’interesse (anche se sono già molto bassi e i margini di manovra sono ridottissimi) e politiche monetarie espansive. Insomma: potrebbe scoppiare un’altra guerra delle valute. Forse ha ragione il presidente della Banca centrale indiana Rajan, che auspica maggiore collaborazione internazionale tra le banche centrali: il rischio, altrimenti, è di continuare a scaricare il barile della crisi tra un Paese e l’altro.
m.longo@ilsole24ore.com
Morya Longo, Il Sole 24 Ore 18/1/2015