Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 18/1/2015, 18 gennaio 2015
FED PRONTA A CORREGGERE LA ROTTA SULLA «STRETTA»
La Federal Reserve sta a guardare. Ma con gli occhi aperti, pronta a virare per evitare gli scogli. E, soprattutto, a esorcizzare lo spettro di «sorprese svizzere». La tempesta sulle valute scatenata dalla decisione delle autorità monetarie di Berna di sganciare il franco dell’euro non dovrebbe alterare i propositi della Fed, i suoi preparativi per un rialzo di tassi d’interesse americani. Né dovrebbe farlo una continua e ragionevole svalutazione della divisa unica europea o dello yen giapponese sul dollaro. Le due aree, in fondo, hanno bisogno di significative manovre di Quantitative easing, con costo del denaro ai minimi e divise competitive perché preda di difficoltà in grado di mettere a rischio la crescita globale e, in ultima analisi, le prospettive statunitensi. Un’incognita riconosciuta dal presidente Fed, Janet Yellen, oltre che dalla Casa Bianca di Barack Obama.
Una divergenza di politica monetaria tra le grandi banche centrali e una stretta targata Fed – o meglio l’avvio d’una rimozione di tassi ultra-accomodanti – rimane così nelle carte verso metà anno. Con un caveat che però oggi diventa sempre più attuale, frutto del pragmatismo diligentemente seguito da Yellen e dai suoi colleghi: «Entro sei mesi saremo in grado di capire meglio se possiamo agire subito oppure se dobbiamo aspettare. Non c’è ragione per affrettarsi ad alzare i tassi; allo stesso tempo non vogliamo arrivare in ritardo». Le parole di cautela sono di John Williams, il governatore della sede di San Francisco, proprio mentre investitori, banche e broker ai quattro angoli del mondo sono ancora sotto shock per le tensioni sulle valute. L’inequivocabile lezione tratta dalle ripercussioni a catena delle scelte della Banca Nazionale Svizzera è piuttosto un’altra, e suona anche come un monito ai banchieri centrali d’oltreatlantico perché non complichino la sua missione: «Non abbiamo alcuna intenzione di sorprendere o scuotere i mercati». La posizione “centrista” di Williams – che pronostica un’espansione statunitense a passo moderato del 2,5%-3% quest’anno e con fondamentali positivi – è emblematica. Non nasconde un dibattito interno acceso. Ma promette una sintesi il più equilibrata e trasparente possibile, nella quale tutti devono sperare all’indomani d’un esempio di mosse scomposte in un clima internazionale segnato da fragilità. È una sintesi, quella indicata da Williams, tra le preoccupazioni di Narayana Kocherlakota, governatore della sede di Minneaoplis, colomba che sostiene come “occorra credere ai dati” sull’inflazione troppo bassa negli stessi Stati Uniti, sotto il target del 2%, e rispondere con ulteriori stimoli e non con strette. E quelle del falco James Bullard di Chicago, che evoca i progressi di crescita e occupazione e afferma che le pressioni sui prezzi non sono affatto tanto basse da giustificare un costo del denaro vicino allo zero. Posizioni aperte a caccia di soluzioni calibrate, che fanno oggi della strategia di comunicazione della Banca centrale americana l’arma forse più efficace contro lo spettro di nuove crisi. E della Fed un credibile punto di riferimento, non solo per l’economia Usae e non solo perché è la Banca centrale più influente al mondo.
Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 18/1/2015