Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 18/1/2015, 18 gennaio 2015
GUERRA DELLE VALUTE, SVETTA IL SUPERDOLLARO
«La forza del dollaro». È la pellicola proiettata, soprattutto nell’Emu, a fine 2014. Ora, per il 2015, l’attesa è per il sequel del film. Certo, i Cigni neri sono sempre dietro l’angolo. E però non può negarsi che, in un mondo votato alla maggiore volatilità delle valute, l’anno in corso si candida al secondo episodio dello spettacolo.
Per rendersene conto basta guardare al cosiddetto Dollar index. Questo calcola il «valore» della moneta di Washington rispetto alle principali valute mondiali: dall’euro allo yen fino al franco svizzero. Ebbene, nell’ultimo anno l’indice ha guadagnato circa il 14%. Oggi viaggia intorno a quota 92. Il consensus, definito da Bloomberg, indica che a fine 2015 dovrebbe arrivare a 94. Certo, i singoli numeri raccontano metà della storia. Tuttavia, l’indicazione pare chiara.
Anche perché le variabili in gioco non sono, almeno nel medio periodo, d’ostacolo alla forza relativa del dollaro. L’euro, che venerdì è tornato sui livelli del 2003 (1,567), è prossimo al duplice redde rationem: la riunione della Bce il 22 gennaio e, poi, le elezioni greche (il 25 gennaio). Rispetto al meeting della Banca centrale europea l’opinione di molti è che la divisa unica stia scontando l’ipotesi più «incisiva» di Qe. Cioè uno shopping di titoli governativi, seppure con il rischio supportato dagli istituti centrali dei singoli stati, che va oltre 500 miliardi. «Ciò detto - spiega Vincenzo Longo di Ig - è essenziale il timing dell’operazione. Nel caso in cui il Qe, anche per l’incognita delle elezioni di Atene, non venisse avviato a breve la delusione sarebbe alta». Gli effetti? Qui, al di là del balzo della volatilità, le risposte divergono: da una parte Longo sottolinea che «l’euro, venendo meno l’effetto deflattivo dell’operazione, può salire»; dall’altra, invece, molti indicano che Mario Draghi perderebbe credibilità e la moneta rotolerebbe all’ingiù.
Una discesa, peraltro, che potrebbe essere agevolata dalla vittoria, alle votazioni in Grecia, della lista Tsipras (il cui programma ipotizza la ristrutturazione del debito ellenico). Qua però, a ben vedere, da una parte è plausibile che la Bce abbia già definito il modo per tenere in «stand by» il tema (e avviare quindi il Qe); e, dall’altra, che chiunque sia il vincitore ad Atene non «vorrà suicidarsi nell’immediato».
In realtà due altri fattori, nel breve, schiacciano l’euro. Il primo è il venire meno, dopo lo sganciamento del franco dalla divisa unica, del flusso di acquisti da parte della Banca nazionale svizzera. Il secondo la riduzione delle riserve valutarie in dollari della Banca popolare cinese (BpoC). La dinamica è significativa: Pechino, al fine di agevolare lo yuan e sfavorire il biglietto verde, ha sostenuto l’uso dell’euro nelle transazioni commerciali. Il che, giocoforza, induce al rialzo delle riserve (sempre denominate in dollari). Se queste calano, implicitamente, significa che l’euro è utilizzato (e comprato) meno. La prova?
La fornisce Swift: a inizio 2013 la divisa di Eurolandia era la più usata nelle transazioni commerciali; nell’ottobre scorso, invece, il dollaro (43,5% del totale) era nettamente al primo posto. Con una particolarità: lo yuan cinese, dal 13°gradino è salito al 7° della graduatoria. Insomma, si sfrutta di più la moneta del Paese del Dragone e l’euro viene un po’ dimenticato.
A fronte di questo contesto quali, allora, le prospettive dell’euro-dollaro? Secondo Asmara Jamaleh, economista di Intesa Sanpaolo, è «possibile che la valuta, nell’arco di un mese, arrivi a 1,11». Ciò detto, però, «ci sarà un graduale recupero con ritorno verso 1,20 entro un anno». Più basso il consensus di Bloomberg che a fine 2015, analogamente a UniCredit, stima il valore di 1,15. Questi obiettivi, ovviamente, tengono in considerazione della prevista stretta monetaria da parte della Fed. Nel 2015 è (quasi) certo, dopo anni, il primo rialzo dei tassi. E però, di recente, il presidente della Federal reserve, Yanet Yellen, a fronte del rallentamento della congiuntura globale, ha confermato l’intenzione di non avere fretta nel ritocco all’insù del costo del denaro. Il quale, per gli analisti, dovrebbe quindi concretizzarsi tra aprile e fine giugno prossimi.
Fin qui l’euro-dollaro: quali però le indicazioni sullo yen? Anche su questo fronte il mercato stima il rialzo del biglietto verde: attualmente a quota 117,5 a fine anno dovrebbe danzare intorno a quota 125 sulla moneta del Sol Levante. Al che sorge, però, una domanda: come giustificare la recente forza relativa dello yen?
Diversi esperti, al di là della volatilità legata al Pil e alla politica ultra espansiva della BoJ, richiamano il carry trade. La divisa giapponese, infatti, è stata abbandonata quale valuta in cui indebitarsi in favore dell’euro. Questo ha comportato il rimborso delle posizioni aperte nella valuta locale che, così, è salita.
Dai Paesi industrializzati agli emergenti, in particolare i produttori di petrolio. Si parla, evidentemente, di parte delle commodity currency. Su questo fronte, inutile negarlo, il ritmo delle danze lo ha dettato il crollo del prezzo dell’oro nero. Il rublo russo, seppure influenzato anche dalla crisi Ucraina e dalle sanzioni economiche, ne è un esempio.
Negli ultimi sei mesi il cross (in rubli) tra biglietto verde e la moneta di Mosca era a 34,8; adesso viaggia a 65,3. Nello stesso tempo il Wti è passato da circa 100 dollari al barile a 48,7. La correlazione inversa è chiara e lo rimarrà in futuro. Gli analisti non fanno stime. E, tuttavia, l’IIf prevede che nel 2015 i flussi di capitale verso gli emergenti subiranno un ulteriore calo di 25 miliardi di dollari. Altra tegola, insomma, su molte commodity currency. Le quali perderanno valore. Analogamente al franco svizzero. Gli esperti, infatti, stimano che la Banca centrale non potrà tollerare a lungo l’eccessiva forza del franco: sarà quindi costretta ad intervenire di nuovo. Seppure l’obiettivo sia difficile da raggiungere.
Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 18/1/2015