Roberto Bertinetti, il Messaggero 17/1/2015, 17 gennaio 2015
“ROTH SCATENATO” UNA BIOGRAFIA TRA LIBRI E PRIVATO
Si conobbero nel 2002 a una festa di compleanno. Un paio di anni più tardi Philip Roth inviò a Claudia Roth Pierpoint una lettera commentando un articolo della giornalista. Nacque così una amicizia che ha permesso alla prestigiosa firma del “New Yorker” di preparare il primo saggio biografico sullo scrittore, con il quale condivide per caso il cognome, in uscita in Italia per Einaudi con un titolo che ricalca quello di un suo ben noto romanzo (Roth scatenato, 300 pagine, 22 euro). Si tratta di un volume indispensabile per capire la genesi delle opere di un artista «che per l’intera vita ha raccontato solo se stesso», secondo Martin Amis, e che nell’autunno del 2012 annunciò a sorpresa di aver deciso di mettere da parte per sempre la letteratura.
L’indagine di Claudia Pierpoint parte dall’infanzia vissuta all’interno della comunità ebraica di Newark e dal conflitto con l’etnia di origine dall’epoca dell’esordio tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. In Addio Columbus e Il lamento di Portnoy fissava con aspra sincerità il suo punto di vista sugli ebrei attraverso antieroi picareschi che non rispettavano le regole religiose o per le idee politicamente corrette. In seguito Roth ha continuato ad analizzare questo tema affiancandolo con l’analisi della storia Usa del Novecento (il mirabile Pastorale americana) o del contrasto tra arte e vita (i testi che hanno per protagonista Zuckerman, il suo alter ego per eccellenza).
Il ritratto di Claudia Pierpoint mette a fuoco il percorso compiuto da un uomo ormai anziano (ha superato gli ottanta), sagace, per nulla misogino (accusa mossagli dalle femministe), spesso vivace e cordiale.
NARCISISMO
Quando la giornalista gli chiede conto di un presunto narcisismo, Roth replica citando I fatti il testo più autobiografico. Dove afferma: «Sul pendolo dell’esposizione pubblica che oscilla tra l’aggressivo esibizionismo di un Mailer e l’esistenza monacale di Salinger ho sempre occupato una posizione mediana, provando a oppormi nella pubblica arena sia all’autocompiacimento personale sia alla gratuita curiosità senza fare un feticcio troppo sacro del riserbo e dell’isolamento».
Quindi alla domanda sui motivi che lo hanno spinto ad abbandonare la narrativa replica: «Dopo aver terminato “Nemesi” nel 2010 ho ripreso a leggere a ritroso i miei libri. Volevo vedere se avevo perso tempo a scrivere. Nel complesso credo di non aver fallito. Concordo con quello che affermò al termine della vita il pugile Joe Luis: “Ho fatto del mio meglio con i mezzi che avevo a disposizione”. La stessa cosa direi della mia opera. Poi ho scelto di riprendere in mano i miei autori preferiti: Dostoevskij, Conrad, Turgenev, Hemingway. E mi sono sentito in pace».
Il saggio biografico offre anche una sintesi delle idee politiche di Roth, che spesso si è speso con coraggio a favore di colleghi meno fortunati.
Come fece nel 1973 dopo un viaggio a Praga quando riuscì a convincere 14 scrittori americani a sostenere economicamente artisti cechi. In patria Roth si è sempre schierato con i democratici, «persino quando mi è costato molto». Rimpianti sembra non ne abbia a giudicare dalle sue parole: «Non mi sono mai fermato e ora voglio godermi il tempo che resta», precisa. L’augurio è che gli accademici di Stoccolma lo incoronino presto con un Nobel riconoscendone il talento e la maestria stilistica.