Giuliano Foschini e Fabio Tonacci, la Repubblica 18/1/2015, 18 gennaio 2015
UN REDUCE DEL CALIFFATO SU DIECI È PRONTO A FARE ATTENTATI IN EUROPA
Al rientro, uno su dieci porterà la Jihad in Occidente. La paura dell’Italia e dell’Europa ora ha la forma di una statistica, elaborata sui reduci che tornano a casa dopo aver combattuto la Guerra Santa. Da tempo l’intelligence ha ben chiaro da dove arrivi la minaccia, come dimostrano i cablo dei servizi stranieri battuti mesi prima dell’attentato a Charlie Hebdo, ma adesso a far alzare l’allarme c’è pure l’ultimo dato prodotto dal Brookings Doha Center, uno dei più documentati centri di analisi americani che studia lo Stato Islamico. «Il nemico non è affatto lontano» scrivono, in un report di 56 pagine pubblicato a novembre e sottoposto all’attenzione delle polizie internazionali. Al contrario, è al confine.
UNO SU DIECI È TERRORISTA
«Tra i tremila e i cinquemila i foreign fighters europei andati in Siria e Iraq nelle file dell’Is e di Al Qaeda», stima Europol, sulla base di indagini tuttora in corso. Tra loro ci sono anche i 53 individuati dal Viminale. A questi due numeri ufficiali, e solo a questi, bisogna aggrapparsi se si vuole evitare di scivolare nel facile gioco dello sparare cifre a caso. Nessuno sa davvero quanti siano quelli rientrati, al momento. L’unica certezza è che sono pericolosi, sanno usare kalashnikov e armi da guerra, sono ideologizzati. «Realisticamente — sostengono gli analisti della Brookings Institution — la possibilità che un combattente una volta tornato compia un attentato è abbastanza imprevedibile e plausibile. Stando ai dati degli ultimi 20 anni, circa l’11 per cento diventa una effettiva minaccia alla sicurezza pubblica. Non un piccolo numero. Per l’Europa significa che, al momento, esistono circa 330 potenziali terroristi».
REDUCI E ATTENTATORI
Quell’11 per cento non è un’indicazione casuale. Dietro c’è la schedatura, fatta dagli esperti di Brookings, di tutti i jihadisti reduci dal 1990 al 2010. La cronaca ne è una conferma spietata. Nel rapporto si citano gli ultimi tre attentati di matrice islamica in Occidente: «Mehdi Nemmouche, accusato di aver ucciso quattro persone al Museo Ebraico di Bruxelles il 24 maggio 2014, è sospettato di aver passato più di 12 mesi combattendo in Siria. Tamerlan Tsarnaev, uno dei due fratelli coinvolti negli attentati maratona di Boston il 15 aprile 2013, aveva trascorso del tempo nel nord della Russia in Daghestan nel 2012, dove in una moschea di Makhachkala ha sposato l’Islam radicale. Infine Michael Adebolajo, uno dei due uomini responsabile dell’omicidio di un soldato britannico fuori servizio a Londra il 22 maggio 2013, è stato arrestato in Kenya nel 2010, mentre probabilmente stava acquisendo una formazione militare con Harakat Al-Shabaab al-Mujahideen». Poi c’è stata la strage di Charlie Hebdo, dove ancora una volta si nota la firma di due reduci: i fratelli Kouachi, secondo alcune fonti, avevano combattuto in Siria.
IL «MINISTRO»
Del resto, l’importanza degli stranieri nell’esercito di Abu Bakr Al-Baghdadi (circa 31.000 unità) viene fuori anche dall’organigramma della struttura “para-statale” e “verticistica” che si è data l’Is, così come è stata ricostruita dagli analisti statunitensi. Il capo è lui, Al-Baghdadi, l’autoproclamatosi Califfo. Accanto ha due persone: Abu Muslim al-Turkmani, referente per l’Iraq, e Abu Ali al-Anbari, referente per la Siria. Sono stati creati poi una decina di “ministri”, tra i quali il ceceno Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili detto Umar al-Shishani, responsabile delle operazioni militari. E c’è poi tale Abu Kassem, vero nome Abdullah Ahmad al-Mashadani, che ha il ruolo di “ministro dei foreign fighters e dei martiri suicidi”. È lui che arruola, che controlla la rete dei reclutatori, che raccoglie le informazioni dei tanti militanti su Internet. Il suo archivio, oggi, è l’arma che fa più paura all’Occidente
IL PERICOLO ITALIANO
«Il nemico non è affatto lontano », scrivono quelli di Brookings. E lo sa bene anche l’Italia che ha visto poche ore fa arrestare due presunti jihadisti belgi proprio al confine. Anche in questo caso non è stata una sorpresa. Nell’offrire infatti l’elenco dei 53 italiani, quasi tutti immigrati di prima e seconda generazione, il governo (tramite il sottosegretario Marco Minniti) non ha nascosto al Copasir la preoccupazione delle nostre agenzie Aise e Aisi proprio per ciò che potrebbe entrare dai confini europei. Quelli che tornano in Occidente, certo. Ma anche quelli che vanno in Medio Oriente in cerca di guerra.
«Dopo l’attentato di Parigi le rotte aeree — spiega una fonte dell’intelligence — sono particolarmente controllate. Per raggiungere la Siria l’unico metodo è arrivare in Turchia, o via terra, oppure con la nave. E in questo senso l’Italia è il confine ideale». D’altronde l’allarme arrivato dai servizi stranieri già nella primavera scorsa era chiaro. «La Siria — si legge in un’informativa che Repubblica ha potuto visionare — è attualmente l’area di crisi che esercita il più forte richiamo per i volontari stranieri che provengono dall’Europa. Il loro possibile ritorno potrebbe sensibilmente aumentare la minaccia terroristica nei paesi di origine». Nel documento si fa cenno ad «alcune centinaia di persone già rientrate» e vengono individuati, tra i paesi più interessati quindi con rischi maggiori per la sicurezza, «la Francia, l’Olanda ed il Belgio». Segnalando tra le altre cose, con incredibile preveggenza, il possibile attacco a forbice tra i «vecchi qaedisti» e «i nuovi vicini ad Al-Nusra o all’Is». Esattamente quello che è accaduto in Francia.