Niccolò Zancan, La Stampa 17/1/2015, 17 gennaio 2015
L’AMICO CHE LE HA FATTE PARTIRE “LASCERÒ DECIDERE A LORO SE TORNARE”
[Intervista a Roberto Andervill] –
Tutto è incominciato qui, davanti a questo lago nebbioso che certe volte ti impedisce persino di vedere la casa del vicino. Greta Ramelli e Roberto Andervill abitano a un chilometro di distanza, ma si conoscono per la prima volta a Milano. «Era la manifestazione per il popolo siriano, febbraio 2014. Ci ha presentati un amico comune di Varese. Greta era con Vanessa, la sua amica del cuore. Il loro entusiasmo mi ha colpito. Sono state loro a parlarmi del progetto umanitario per la Siria. Non voglio scaricare le responsabilità, anzi, ma sono state loro a chiedermi aiuto...».
Lui ha 46 anni, fabbro di mestiere, da sempre impegnato nel sociale. Sul suo profilo Facebook, in qualità di single in cerca di una donna fra i 25 e i 45 anni, si presenta così: «Gran lavoratore, cultura infinita, generoso. So cucinare, stirare, pulire casa...». E’ Roberto Andervill il terzo responsabile del progetto Horryaty, che si prefiggeva l’obiettivo di aiutare la popolazione siriana. E’ lui che per primo, a luglio, lancia l’allarme: «Era la terza sera della missione. Io ero rimasto in Italia. Avevamo appuntamento telefonico verso le 23, ma non chiamavano...».
Come ha vissuto i mesi del sequestro?
«Non è passato giorno senza che mi chiedessi se potevo fare qualcosa di più».
Crede di aver sbagliato?
«A questa domanda non rispondo».
Che messaggi riceve in rete?
«Valanghe di offese. Mi scrivono: “Pezzo di m...”. “Dovevi andare tu”. “Stai con il culo al caldo e mandi avanti le donne...”».
E lei?
«Non ci bado. Faccio spallucce. So come sono andate le cose».
Può spiegarlo?
«A marzo abbiamo fatto un sopralluogo insieme: io, Greta e Vanessa. Sette giorni, la maggior parte dei quali trascorsi in Turchia. Non siamo amanti del rischio. Le missioni sono fatte per tornare a casa. Non c’era eroismo, solo la voglia di portare aiuto. Semplicemente: a noi interessano le migliaia di vittime civili a cui a nessuno sembra prestare attenzione...».
Cosa portavano Greta e Vanessa in Siria?
«Avevamo raccolto dei fondi insieme. Il piano prevedeva di comprare in Turchia pacchi alimentari, latte in polvere e medicine per poi consegnarli. Era quello che Greta e Vanessa stavano facendo».
Non potevano fermarsi sul confine, data la drammatica e pericolosissima situazione siriana?
«Non si fa volontariato da bar. Stare sul confine, per quanto tu ti possa fidare delle persone che incontri, non è la stessa cosa. Non sai davvero che fine faranno i tuoi pacchi. La scelta era di consegnare gli aiuti nelle mani di chi ne aveva davvero bisogno».
I genitori delle due ragazze sono arrabbiati con lei?
«No, almeno non credo, siamo sempre rimasti in contatto. Abbiamo scelto il silenzio, come ci ha chiesto la Farnesina. E oggi siamo tutti felici, oggi ringraziamo: sono stati fantastici a riportarle a casa. Oggi è un giorno bellissimo».
Le ha sentite?
«Non ancora. Spero di incontrarle presto».
C’è chi l’accusa di essere un cattivo maestro. Cosa risponde?
«Non è vero. Nessuno ha costretto Greta e Vanessa a partire. Poi, ovviamente, capisco: nessun genitore può essere contento di vedere un figlio in zona di guerra».
Come descriverebbe la sua vicina di casa Greta Ramelli?
«Il suo curriculum parla per lei. Ha fatto molti viaggi. Non la puoi fermare, non la puoi costringere. È intelligente. Preparata. Ha entusiasmo. Solo in Italia a vent’anni sei considerato un bambino».
Che ne sarà del progetto Horryaty?
«Adesso conta soltanto che Greta e Vanessa possano riprendersi una vita normale. Ne parleremo, quando sarà il momento. Decideranno loro se andare avanti o chiudere...».
Niccolò Zancan, La Stampa 17/1/2015