Tomaso Montanari, la Repubblica 17/1/2015, 17 gennaio 2015
L’OPERA D’ARTE NELLA SUA STORIA ECCO LA LEZIONE DI ROBERTO LONGHI
Rimettere le Proposte per una critica d’arte (1950) di Roberto Longhi nelle mani degli italiani del 2014 è come dirigere un potente getto di acqua fresca in una pozza stantìa. E Portatori d’acqua è il nome di coloro che hanno avuto l’idea di farlo, offrendo per sovrammercato una bella prefazione scritta ad hoc da Giorgio Agamben: un’idea coraggiosa e originale quanto lo è fondare oggi, e a Pesaro, un piccolo editore di qualità.
In Longhi (Alba 1890-Firenze 1970) si trovano riunite tre componenti fondamentali della storia dell’arte, dopo di lui tuttavia quasi sempre scisse: la capacità di leggere la lingua formale del figurativo, e dunque di ordinare le opere attraverso lo strumento dell’attribuzione; la capacità di collegare la serie figurativa alle altre serie storiche (da quella letteraria a quelle politica, economica, religiosa e latamente sociale), ritessendo la storia dell’arte come una parte della storia della cultura; infine, la capacità di intervenire con forza, anticonformismo e lucidità nel dibattito pubblico sul destino del patrimonio artistico.
Le Proposte sono il programma attorno al quale un Longhi ormai sessantenne e consacratissimo costruisce Paragone: per almeno vent’anni la principale rivista scientifica di storia dell’arte in Italia. È un “terzo Longhi”, secondo la periodizzazione di Gianfranco Contini: dopo il primo «vociano, fiancheggiatore del futurismo, bigamo tra libertà illimitata nella critica militante e necessità espositive», e dopo il secondo «di stremata eleganza, culminante nel Piero della Francesca e in Officina ferrarese ». Il terzo Longhi, «sublimatore affabile del quotidiano, (...) ha press’a poco inizio coi Fatti di Masolino e di Masaccio» — la cui narrazione, nel corso universitario bolognese del 1940, folgora Pier Paolo Pasolini — , e coincide col Longhi degli interventi civili: testi non sorprendenti, da parte di chi aveva seguito a Torino «clandestinamente, fra i corsi di diritto, le lezioni sfaccettate in una logica adamantina di Luigi Einaudi », e aveva diviso l’appartamento studentesco con Ferruccio Parri. Del 1940è Arte figurativa, carne da cannone, che denunciava l’eterna emarginazione della storia dell’arte dalla scuola: «Quando i pochi storici dell’arte consci del proprio scopo si rivoltano nel letto dello scontento per la minima presa che i loro studi sembrano avere persino sul pubblico di più che mezzana cultura, e si arrovellano sui possibili rimedi, il pensiero ricorre subito alla posizione subalterna che l’insegnamento della storia dell’arte ha fin dalle scuole medie».
Nelle Proposte prende forma il riscatto: una storia dell’arte fedele ai valori intraducibili del figurativo, ma contemporaneamente ansiosa di connettersi ad una storia della cultura senza confini: «È dunque il senso dell’apertura di rapporto che dà necessità alla risposta critica. Risposta che non involge solo il nesso tra opera e opere, ma tra opera e mondo, socialità, economia, religione, politica e quant’altro occorra... Tutto perciò si può cercare nell’opera purché sia l’opera ad avvertirci che bisogna ancora trovarlo, perché ancora qualcosa manca al suo pieno intendimento». Quindi Longhi abbatte il mito (oggi alla base dell’industria dell’intrattenimento a sfondo storico-artstico) del capolavoro assoluto, cioè sciolto da ogni relazione: «L’opera d’arte, dal vaso dell’artigiano greco alla Volta Sistina è sempre un capolavoro squisitamente “relativo”. L’opera non sta mai sola, è sempre un rapporto». Intendere un’opera d’arte del passato vuol dunque dire far risorgere quella rete di rapporti, tutta intera: «Chi si cimenti nella restituzione del tempo di questa o quella opera d’arte, vicina o remota che sia, trova alla fine che... l’impegno assunto dal Manzoni nel 1822, “Io faccio quello che posso per penetrarmi nello spirito del tempo che debbo scrivere, per vivere in esso”, è buono anche per noi». Non si era poi molto lontani dallo storico di cui aveva scritto poco prima Marc Bloch: quello che «somiglia all’orco della fiaba. Egli sa che dove fiuta carne umana, là è la sua preda». Un’idea di storia totale che riprendeva la tradizione ottocentesca francese per cui «la storia è resurrezione» (Jules Michelet), «è pressappoco vedere gli uomini di una volta» (Hyppolite Taine).
Solo una minoranza degli innumerevoli seguaci di Longhi hanno compreso questa evidente sintonia con la storia delle Annales, e forse nessuno è poi riuscito a tenere insieme questa densità e precisione di narrazione storica con l’acuminata, maniacale restituzione verbale dei valori figurativi. Ma la via additata dalle Proposte appare ancora la più bruciantemente attuale: per fare una storia dell’arte che metta i cittadini in grado di tornare a intendere la lingua figurativa, e dunque di esercitare la sovranità democratica anche attraverso l’attuazione dell’articolo 9 della Costituzione.
Tomaso Montanari, la Repubblica 17/1/2015