Paolo Berizzi, la Repubblica 17/1/2015, 17 gennaio 2015
NEL COVO DEI “CECENI” QUELLA CONNECTION CON LE BANDE DEL CAUCASO CHE FA TREMARE L’EUROPA
VERVIERS.
Il marciapiede di fronte al numero 32 di rue de la Colline è una distesa di schegge di vetro. Le esplosioni hanno annerito la facciata: si vedono pezzi di cemento sfaldato, una chiazza scura, la calotta dello specchietto di un’auto. I due finestroni a piano terra — dai quali sono penetrate le teste di cuoio — sono sbarrati con pannelli di legno. Anche il portoncino blu: la carta della pubblicità ancora infilata nelle cassette. Il covo della cellula jihadista di Verviers era lì, al primo piano di questo piccolo edificio di mattoncini rossi. Centro città, cinque minuti a piedi dalla stazione ferroviaria. Settanta metri quadrati intestati, raccontano, a tal Marwan, il terzo del gruppo, quello ferito e arrestato: forse di origini marocchine come i due complici rimasti uccisi nel blitz della polizia: Redwane Hajaoui e Tarik Jadaoun (i nomi sono stati riportati da alcuni media belgi). Chi sono? Che cosa avevano pianificato assieme agli altri della banda islamista arabo-cecena con basi in Belgio (gli investigatori la declinano con una doppia definizione: «cellula terroristica » e «cellula logistica»)? In che rapporti erano con gli altri presunti jihadisti fermati nelle ultime ore nel paese, in Francia e al confine con l’Italia?
Per capire meglio e provare a bucare il riserbo delle indagini conviene partire da due punti. Primo: quello che hanno trovato in casa dopo l’assalto. Quattro kalashnikov, materiale esplosivo, munizioni, walkie talkie, uniformi della polizia, diecimila euro in contanti, documenti falsi. L’attrezzatura — e sembra sia solo parte di un arsenale ancora più robusto — adeguata per colpire «in grande». Per «uccidere e sgozzare i poliziotti... appena li vedete»: esattamente quel che predicano nelle loro truci minacce tre combattenti francofoni apparsi in un video postato su Fb dalla Siria quarantotto ore fa. Secondo punto: come si muovevano. E per cosa. Rue de la Colline è una strada silenziosa che sale da rue du Palais, uno dei viali che tagliano Verviers. Prima ci sono un agenzia di assicurazioni, un atelier e una scuola di danza. «Terroristi? Mai visto nessuno, mai fatto caso» sgrana gli occhi ancora terrorizzata madame Chantal, genitori originari del basso Lazio. Abita nella casa accanto e dice quello che chiunque di noi direbbe adesso se vivesse lì. Poi magari è vero che si spostavano come pipistrelli di notte. La spola con Bruxelles città e Anderlecht — a bordo di un furgone e di una utilitaria — i voli da e verso la Siria (l’ultimo a ottobre 2014); i viaggi per recuperare armi provenienti dai Balcani e dall’ex Jugoslavia. Grazie ai “facilitatori” ceceni con buone entrature tra gli ex miliziani della «prima» Europa dell’est. Forse, il venerdì, qualche puntata nei dintorni di una delle otto moschee di questa città di nemmeno sessantamila abitanti vicina al confine con la Germania e i Paesi Bassi. «Cercateli altrove, i terroristi e gli amici dei terroristi non hanno niente a che fare con noi e con la nostra religione », spiega l’imam Franck Hensch, il faro della comunità musulmana locale. Fino a ieri era conosciuta per le sue acque Verviers: ma Redwane Hajaoui e Tarik Jadaoun — stando a quanto sostiene l’antiterrorismo di Bruxelles — volevano fare scorrere il sangue. Ne parlavano al telefono. Assieme al loro complice, Marwan, il «basista». Era tutto pronto, cementato dall’amalgama tra le due costole della cellula: quella arabo-magrebina, e quella cecena. Spieghiamo. Dei tredici sospettati fermati in Belgio, sono cinque quelli incriminati per terrorismo e rinchiusi in carcere. Almeno tre — trapela dalle indagini — sarebbero originari della Repubblica a Nord del Caucaso. Là avrebbero iniziato il loro percorso di radicalizzazione e di addestramento. Poi continuato nei territori siriani vicini a Aleppo. Dove si compie la saldatura con i foreign fighters nordafricani. Gravitavano tutti attorno a Bruxelles. I tre di Viviers andavano e venivano. Sono indicati come «cittadini belgi». «Li abbiamo tenuti tutti costantemente sotto controllo — spiega una fonte che ha avuto un ruolo nell’operazione — . Da quando sono rientrati dalla Siria non abbiamo mai perso le loro tracce». Alcuni elementi della cellula jihadista, dopo il blitz di giovedì, si sono dati alla fuga. Due erano diretti in Italia, li hanno arrestati a Chambery mentre stavano superando il confine del Frejus. «Era quello che volevamo: stanarli — dice ancora la fonte — . Costringerli a uscire allo scoperto. Li abbiamo fermati prima che si mettessero in azione».
Paolo Berizzi, la Repubblica 17/1/2015