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 2015  gennaio 18 Domenica calendario

GUANTANAMO, IL DIARIO DEL PRIGIONIERO 760 TRA TORTURE E MINACCE

Prigioniero numero 760. Arrivato nel 2002 a Guantanamo, il centro di detenzione più tristemente noto del post 11 Settembre, Mohamedou Ould Slahi ha subito abusi, minacce e torture. A distanza di 13 anni, sebbene non sia stato incriminato, è ancora lì. Slahi ha raccolto i suoi anni di prigionia in un diario che è un ulteriore atto di accusa verso gli Stati Uniti e le «enhanced interrogation techniques», per usare l’eufemismo caro a Rumsfeld. Il diario sarà pubblicato questo mese in vari paesi, tra cui l’Italia, dopo essere stato pesantemente censurato per evitare che fossero rese note informazioni coperte da segreto. Il Guardian ne ha anticipato alcuni estratti.

L’inizio
Slahi, che oggi ha 44 anni, viene arrestato nel suo paese, la Mauritania, nel novembre 2001. Sono passati solo due mesi dagli attacchi alle Due Torri e l’America cerca risposte – e colpevoli. Dieci anni prima era stato un sostenitore di al Qaida e si era addestrato in Afghanistan. Lui giura che i rapporti si sono interrotti da anni, ma per gli americani ha contatti con qaidisti e ha reclutato estremisti alla causa di bin Laden. Dalla Mauritania viene portato ad Amman, dove resterà per sette mesi. Poi viene trasferito presso la base di Bagram in Afghanistan e infine a Guantanamo Bay.
Il viaggio
Slahi descrive nel dettaglio il trasferimento verso Cuba: la cintura di sicurezza così stretta da impedirgli di respirare, la maschera sul viso, i piedi incatenati a terra, i colpi delle guardie. A quel punto «ero un morto vivente, le gambe non mi sorreggevano più». All’arrivo prova un momento di sollievo: «Il caldo sole cubano mi ha toccato con delicatezza».
Le torture
A Guantanamo è bendato, costretto a bere acqua salata, in un’occasione viene tenuto su una barca in mezzo al mare per quattro ore. Le guardie riempiono i suoi vestiti di cubetti di ghiaccio e lo colpiscono in volto a intervalli regolari. Slahi racconta di aver fatto finte confessioni pur di mettere fine ai tormenti. In un caso ha raccontato di aver preparato un attentato in Canada. È la verità? gli chiedono. «Che importa, basta che siate contenti».
Il futuro
Una corte federale ha ordinato il rilascio di Slahi ma, secondo il Guardian, l’uomo si trova in una sorta di limbo giuridico dalla fine 2012. Probabilmente non verrà rilasciato nemmeno quest’anno. È ancora il prigioniero numero 760.
[a. riz.]

Prigioniero numero 760. Arrivato nel 2002 a Guantanamo, il centro di detenzione più tristemente noto del post 11 Settembre, Mohamedou Ould Slahi ha subito abusi, minacce e torture. A distanza di 13 anni, sebbene non sia stato incriminato, è ancora lì. Slahi ha raccolto i suoi anni di prigionia in un diario che è un ulteriore atto di accusa verso gli Stati Uniti e le «enhanced interrogation techniques», per usare l’eufemismo caro a Rumsfeld. Il diario sarà pubblicato questo mese in vari paesi, tra cui l’Italia, dopo essere stato pesantemente censurato per evitare che fossero rese note informazioni coperte da segreto. Il Guardian ne ha anticipato alcuni estratti.

L’inizio
Slahi, che oggi ha 44 anni, viene arrestato nel suo paese, la Mauritania, nel novembre 2001. Sono passati solo due mesi dagli attacchi alle Due Torri e l’America cerca risposte – e colpevoli. Dieci anni prima era stato un sostenitore di al Qaida e si era addestrato in Afghanistan. Lui giura che i rapporti si sono interrotti da anni, ma per gli americani ha contatti con qaidisti e ha reclutato estremisti alla causa di bin Laden. Dalla Mauritania viene portato ad Amman, dove resterà per sette mesi. Poi viene trasferito presso la base di Bagram in Afghanistan e infine a Guantanamo Bay.
Il viaggio
Slahi descrive nel dettaglio il trasferimento verso Cuba: la cintura di sicurezza così stretta da impedirgli di respirare, la maschera sul viso, i piedi incatenati a terra, i colpi delle guardie. A quel punto «ero un morto vivente, le gambe non mi sorreggevano più». All’arrivo prova un momento di sollievo: «Il caldo sole cubano mi ha toccato con delicatezza».
Le torture
A Guantanamo è bendato, costretto a bere acqua salata, in un’occasione viene tenuto su una barca in mezzo al mare per quattro ore. Le guardie riempiono i suoi vestiti di cubetti di ghiaccio e lo colpiscono in volto a intervalli regolari. Slahi racconta di aver fatto finte confessioni pur di mettere fine ai tormenti. In un caso ha raccontato di aver preparato un attentato in Canada. È la verità? gli chiedono. «Che importa, basta che siate contenti».
Il futuro
Una corte federale ha ordinato il rilascio di Slahi ma, secondo il Guardian, l’uomo si trova in una sorta di limbo giuridico dalla fine 2012. Probabilmente non verrà rilasciato nemmeno quest’anno. È ancora il prigioniero numero 760.
[a. riz.]